di Andrea Romanazzi
Il Carnevale e le sue origini
A differenza della maggior parte delle feste religioso-popolari, successivamente assorbite dalla religione cristiana e da essa trasformate, il Carnevale ha mantenuto il suo spirito tipicamente pagano che fortemente riecheggia tra le danza e le grida di gioia. Molti studiosi fanno risalire la festività alle tradizioni dei Saturnali romani ma sicuramente questi stessi hanno come origine le antichissime feste primitive di fertilità e ricchezza dei campi.
Del resto i Saturnali furono le feste latine più antiche dell’ Impero Romano, dedicate alla semina e all’antico dio Saturno da cui prendono il nome. Nei poemi omerici Enea, dopo la distruzione di Troia, si imbarca verso occidente alla ricerca della nuova terra e, dopo varie vicende, approda alla foci del Tevere dove le sue navi saranno trasformate da Cibele in ninfe per indicare all’eroe la fine del suo viaggio. E’ qui che Enea incontrerà le popolazioni autoctone adoratrici di Saturno, il dio del Ciclo stagionale, della spontaneità e fertilità della terra. Lo stesso nome del dio deriverebbe dal latino serere, cioè “seminare” o sata, “campi seminati”. La leggenda racconta che Saturno, dopo essere stato detronizzato da Giove, trovò rifugio in Italia, chiamata anche Saturnia Tellus e precisamente nel Lazio, la cui etimologia deriverebbe da Latium, latere e cioè “nascondere”. Come moltissime altre divinità agricole insegnò agli uomini arare i campi, introdusse l’uso del falcetto, la diffusione della coltivazione e al taglio della vite. Con lo sviluppo e la crescita di Roma gli antichi dei non furono dimenticati così i Saturnali divennero vere e proprie feste religiose. La parte più importante della feste era un sacrificio che si teneva nel tempio del dio e al quale poi seguiva un banchetto. La leggenda narra che all’inizio i sacrifici erano umani fin quando, Ercole, figura mitologica non casuale come ritroveremo in seguito, passando per quelle terre convinse gli abitanti a non sacrificare vite umane ma ad offrire altri doni votivi. La festa ben si inserisce in quell’insieme di rituali che caratterizzano i rituali dedicati allo spirito arboreo. Il sacrificio dell’uomo altro non è che la morte del dio vegetazionale che solo così potrà risorgere e assicurare fertilità.
La Maschera, il Mostro, il Meraviglioso
Descritta l’idea di questo “culto arboreo” e delle sue regole basate sulla morte e resurrezione esamineremo adesso cosa si nasconde dietro le maschere apotropaiche. Abbiamo parlato di “Carnevale” come personificazione di un essere mitico che deve morire per assicurare la rinascita. ebbene, spesso questa figura ha le sembianze di un Uomo Selvatico. Il mito è antichissimo, viene già descritto nell’epopea di Gilgamesh ove si parla di Enkidu, il selvaggio ed irsuto uomo che si nutre di erbe e delle bestie del bosco. “aveva trecce lunghe come quelle di una donna e andava vestito di pelli”. L’uomo selvaggio potrebbe così essere una prima trasposizione antropomorfa dello spirito vegetazionale come sottolineerebbe anche la sua capacità di trasformarsi anche in animale, caratteristica che sempre più lo identifica con lo spirito arboreo. E’ da questa figura appena descritta che deriva uno dei più famosi simboli del carnevale italiano: la maschera di Arlecchino, uomo selvatico e scontroso di natura, sempre raffigurato con il randello dell’homo selvadego, tipica delle comunità alpine. Se dunque all’inizio l’uomo selvatico ha notevoli valenze positive legate alla fertilità vegetazionale, successivamente, con l’avvento del Cristianesimo viene demonizzato, la Chiesa trasforma Herlechinus in un essere diabolico che apre il corteo delle streghe e dei demoni durante i sabba. “…Chi non è de cortesia non intragi in chasa mia se ge venes un poltron ge darò col mio baston…”
Carnevale, il Selvatico e l’Orsa
In alcuni casi questa figura Carnevalesca è associata all’orso-dendrofago, simbolo della fertilità e dei riti agricoli e metereologici. La tradizione vuole che rappresenti il simbolo della fine dell’inverno e l’arrivo della primavera. Con la sua danza e le sue canzoni, l’Orso invita la comunità a scacciare i mali e le paure, e a celebrare la rinascita e la gioia della vita. Egli è Annus, o Anus, il dio che si sveglierebbe dal letargo e uscirebbe fuori dalla sua tana per vedere come è il tempo per valutare se sia o meno il caso di mettere il naso fuori. L’Orso della Segale è un personaggio tipico del carnevale alpino in alcune regioni del nord Italia. La sua figura rappresenta un orso vestito con abiti tradizionali e una maschera che imita il muso dell’animale. Durante le festività del carnevale, l’Orso della Segale viene solitamente ballato e cantato nelle strade delle città e dei paesi della montagna, accompagnato dal suono di zampogne e tamburi. Molto probabilmente nell’antichità realmente veniva catturato un orso e portato al centro del paese per poi ucciderlo. In seguito questo uso scomparve e in alcuni paesi, per mantenere la tradizione, l’orso fu sostituito da una persona appositamente mascherata che ripeteva la stessa pantomima. Al termine di una caccia simulata, l’orso veniva catturato e portato all’interno del paese dove era fatto oggetto di dileggi e di scherzi. L’epilogo può variare dall’”uccisione” dell’orso alla sua liberazione/fuga e ritorno alla natura. In alcune versioni l’orso, prima di essere ucciso, entra nella casa di una certa Rosetta e con lei cerca il coito, ma prima di commettere l’atto viene appunto ucciso dai cacciatori. Sono i segni di rituali propiziatori. È l’idea del dio vegetazionale, pronto a morire per poi risorgere e assicurare la fertilità dei campi.
Il Selavatico e le Maschere cornute di Aliano
Siamo ad Aliano, un borgo situato nella regione della Basilicata, conosciuto per essere stato la casa natale del celebre scrittore Carlo Levi, che ha descritto la vita dei contadini lucani nel suo famoso libro “Cristo si è fermato a Eboli”. Il borgo di Aliano ha una lunga storia che risale all’antichità. Durante il periodo romano, la zona era conosciuta come un importante centro agricolo, mentre durante il medioevo, fu una fortezza fortificata che proteggeva i confini della regione. I secoli non hanno modificato la bellezza dei luoghi ed infatti ancora oggi le strade strette e tortuose del borgo, i vicoli ripidi e le case in pietra costituiscono un paesaggio unico e incantevole. Nel borgo è possibile visitare diversi siti storici e culturali, tra cui la Chiesa di Santa Maria degli Angeli e la Torre dell’Orologio, edifici che testimoniano la ricchezza storica e culturale del borgo e offrono ai visitatori una finestra sulla vita quotidiana dei lucani di un tempo. Da non perdere è la Casa Museo di Carlo Levi. Nel XX secolo, infatti, il borgo è diventato famoso grazie al celebre scrittore che ha trascorso alcuni anni esiliato nel borgo durante il periodo fascista. Durante questo periodo, Levi ha scritto il suo famoso libro “Cristo si è fermato a Eboli”, che descrive la vita dei contadini lucani e la loro lotta per la sopravvivenza. E’ proprio nel saggio leggiamo, a proposito del Carnevale “Venivano a grandi salti, e urlavano come animali inferociti, esaltandosi delle loro stesse grida. Erano le maschere contadine . Portavano in mano delle pelli di pecora secche arrotolate come bastoni , e le bandivano minacciosi , e battevano con esse sulla schiena e sul capo tutti quelli che non si scansavano in tempo …“. In queste righe Levi descrive proprio le maschere cornute di Aliano. L’ultima domenica di Carnevale, e il giorno di Martedì Grasso che, nel bellissimo borgo lucano ha inizio la fras, la rappresentazione carnescialesca che vede girare per il paese strane creature. Sono note come Cauzenitt, persone vestite con i mutandoni invernali, una cintura di cuoio da cui pendono numerosi campanelli di bronzo ed una grossa maschera composta di argilla e cartapesta. Tali stravaganti maschere, che rievocano creature demoniache, sono caratterizzate poi, nel loro aspetto, da enormi e coloratissimi cappelli con un foro in cima decorato con penne di galli e nastri di carta colorata. Queste maschere rappresentano, attraverso la maschera, il già citato Uomo Selvatico, espressione della forza naturale che deve essere risvegliata. In passato avevano anche altri simboli della cultura agreste ed agricola che connotava le maschere come ci descrive sempre Levi. Leggiamo:“Vidi sbucare dal fondo tre fantasmi vestiti di bianco in mano portavano pelli di pecora secche e arrotolate come bastoni, e le brandivano minacciose, e battevano con esse sulla schiena e sul capo di tutti quelli che non si scansavano in tempo”. Anche questo particolare descritto testimonianza di una tradizione dalle origini ataviche è strettamente connessa ai culti di fertilità. Infatti anche in altre tradizioni era uso “battere” donne e alberi per assicurarne rispettivamente il risveglio vegetativo e per favorirne la fertilità. Infatti il “Camuffamento” aveva la capacità di trasumanare l’uomo che la indossava trasformandolo in divinità e, per questo, con la capacità di perpetuare il mistero della nascita e della fertilità. Culti simili sono presenti in molte altre aree di Italia e d’Europa. Il Mannhardt, per esempio, ne descrive moltissimi relativi il “battere” gli alberi o le piante in primavera o a fine inverno per cacciare gli spiriti maligni e ostili alla rinascita vegetazionale. In Italia, durante i Lupercali, uomini vestiti con le pelli degli animali sacrificati, percuotevano le donne che incontravano con lo scopo propiziatorio di trovare presto marito o per ottener una numerosa prole.