di Andrea Romanazzi
A Turi, il Carnevale non è soltanto sinonimo di maschere e allegria, ma porta con sé il peso di una storia antica e affascinante. Dietro i festeggiamenti si cela una leggenda che narra di un miracolo avvenuto nel 1799, quando il paese fu risparmiato da un grave pericolo grazie all’intervento delle anime del Purgatorio. È questo intreccio tra storia, fede e tradizione popolare a rendere il Carnevale di Turi unico, trasformando una festa di spensieratezza in un momento di memoria collettiva.
Il Carnevale è, senza dubbio, la festa più curiosa e meno sacra dell’anno, un periodo in cui l’allegria sfrenata e l’eccesso prendono il sopravvento sulle consuete regole sociali. Il termine stesso “Carnevale” sembra portare con sé un senso di ambiguità e mistero, con origini linguistiche tutt’altro che univoche. Secondo l’interpretazione più diffusa, deriverebbe dal latino carnem levare, ovvero “eliminare la carne”, un chiaro riferimento al periodo di astinenza e digiuno della Quaresima che segue i giorni di festa. Tuttavia, esistono ipotesi alternative, come quella che lo collega al termine carnualia, che significava “giochi campagnoli”, suggerendo un legame con le antiche celebrazioni agresti. Secondo la tradizione popolare, il Carnevale prende il via il giorno di Sant’Antonio Abate, ovvero il 17 gennaio, un numero spesso evitato per la sua fama di portare sfortuna. Non a caso, molti preferiscono indicare questa data come il “16+1 gennaio”, un simpatico stratagemma che riflette il folklore legato al calendario. È in questo giorno che simbolicamente si accendono i fuochi del Carnevale, celebrando l’inizio di un periodo di festa in cui il mondo sembra capovolgersi. I momenti culminanti del Carnevale sono il Giovedì grasso e il Martedì grasso, gli ultimi giorni prima dell’inizio della Quaresima. Queste date rappresentano l’apice della celebrazione: il cibo abbonda, le maschere popolano le strade, e l’intera comunità si lascia andare agli eccessi prima del rigore quaresimale.
La festa che si celebra a Turi l’ultimo giorno di Carnevale ha però origini leggendarie. Si narra che, nel 1799, le orde del cardinale Ruffo, dopo essersi fermate ad Altamura e Gioia per compiere massacri contro i liberali – molti dei quali furono bruciati nelle piazze – fossero dirette verso Turi per accostarsi al mare. Il paese era nel panico quando, improvvisamente e inaspettatamente, quelle truppe presero un’altra direzione.
I turesi interpretarono l’accaduto come un miracolo e raccontarono di aver visto le anime del Purgatorio schierate a difesa della città. Da questa leggenda ha avuto origine una festa che, ogni anno, in passato, l’ultimo giorno di Carnevale, rievocava il ricordo di quel miracolo.
Nella vasta piazza del paese, in quel giorno, veniva innalzato un trono reale sormontato da un baldacchino damascato, ornato con fregi dorati disposti simmetricamente. Sulla sommità della struttura era posta l’effigie delle anime del Purgatorio, un quadro antichissimo custodito con cura dalla confraternita omonima. Sotto l’immagine, il presidente del Sedile, insieme alle guardie, tutte vestite in costume del secolo scorso, prendeva posto sul trono dopo aver percorso il paese in corteo accompagnato dalla banda cittadina.
Intanto, dalla via chiamata “dei Pozzi”, arrivava una comitiva di briganti che rappresentavano i Sanfedisti, intenzionati a mettere a sacco e fuoco il paese. Ne seguiva una lotta corpo a corpo tra guardie e Sanfedisti, con una scarica di petardi da entrambe le parti che segna la fine dello scontro, decretando la vittoria delle guardie cittadine. Tuttavia, la situazione si ribaltava: le guardie facevano pace con i Sanfedisti e, d’accordo, iniziavano a girare per il paese obbligando tutti, giovani e anziani, ricchi e poveri, a depositare una moneta nel grande vassoio che il presidente del Sedile tiene davanti a sé. Chiunque si rifiutava veniva trascinato a forza.
La piazza era gremita di gente, che osserva va e rideva aspettando il proprio turno, mentre petardi scoppiettavano in ogni angolo. La festa si animava ulteriormente quando, dai balconi e dai terrazzi, piovevano fagioli, farina e altri scherzosi lanci che aumentavano il chiasso e l’allegria. Il tumulto si prolungava fino a sera inoltrata, con la banda che continuava a suonare e i petardi che esplodono incessantemente.
La festa si concludeva con lo sparo di una batteria e uno spettacolo pirotecnico di razzi e bengala, che creava scompiglio e sgombravano la piazza in un batter d’occhio. Il denaro raccolto, al netto delle spese, veniva destinato a “rinfrescare”, come si dice, le anime del Purgatorio, oltre che a confortare i festaioli, che quella sera si concedevano grandi banchetti e festeggiamenti fino al rintocco della campana della chiesa.
Un tempo, il Carnevale di Turi non era solo festa e divertimento, ma un rito che univa la comunità, dando voce a credenze antiche e a leggende affascinanti come quella delle anime del Purgatorio. Oggi, purtroppo, questa tradizione non viene più celebrata, e con essa si perde un pezzo della nostra memoria collettiva. È un peccato lasciare che queste storie svaniscano nel tempo, perché custodiscono simbolismi profondi e legami con il passato che meritano di essere ricordati e tramandati alle nuove generazioni.





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