Viaggio tra i Musei delle Streghe: Museo Etnografico e della Stregoneria di Triora

di Andrea Romanazzi

Dopo aver recensito il Museo delle Streghe di Pejo

e il Museo torinese di Madama Mabel

Arriviamo oggi a Triora e al suo famoso Museo della Stregoneria. Al pari di Benevento e del suo Noce dove si narrava si riunissero le streghe, figlie di ciò che rimaneva dei culti arborei, Triora è un’altra importante località la cui storia ci conduce davanti alle streghe che si diceva infestassero il paese e il circondario.

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Il processo di Triora, la “Salem” Italiana

di Andrea Romanazzi

Questo nuovo approfondimento sui luoghi della stregoneria in Italia ci porta in un piccolo paese della Liguria, noto come la Salem Italiana. Siamo a Triora, ovvero tria ora, in latino “tre bocche”, in riferimento allo stemma civico del paese che rappresenta appunto il mitologico cane a tre teste Cerbero, abitatore degli Inferi e, per estensione, delle profondità della psiche: un simbolo complesso e carico di suggestioni che ben si addice a quest’antico borgo montano dell’entroterra ligure, così ricco di natura selvaggia e di folclore, di tradizioni religiose e di eventi storici e culturali, meta di escursionisti nonché crocevia di varie civiltà, dalla ligure a quelle piemontese, provenzale e, per vie trasversali, perfino fiorentina. La storia di Triora è antichissima, visti i ritrovamenti preistorici che possono essere ammirati nel museo, punto strategico d’accesso alla valle Triora era tenuta in gran conto già dai romani e al centro della città si ergeva un importante centro di culto pagano, esattamente dove oggi sorge la chiesa. Ma ciò che rende Triora un luogo di interesse e una “città delle streghe” e quanto accadde nel 1587 quando durante l’imperversare di una carestia, i malefici di presunte streghe furono considerati la causa della piaga che affliggeva il paese.

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Il Mistero svelato dell’Homo Selvatico, il Bigfoot italiano

Di Andrea Romanazzi

 

Facea sovente pe’ boschi soggiorno
Inculto sempre rigido in aspetto
E l’volto difendea dal solar raggio
Con ghirlanda di pino o verde faggio.

Così scriveva Poliziano parlando dell’Uomo Selvatico. Chi è costui? La sua figura è effettivamente diffusa in tutto l’arco alpino italiano dove assume differenti nomi. Nel Trentino è detto Om Pelos, in Valtellina Omo Salvadego, per diventare l’Ommo Sarvadzo in Val d’Aosta, l’Om Salvadegh in Val Pusteria, l’Urciat nel biellese e così via. E’ sempre descritto avente tratti umani ma ricoperto di un pelo ispido e irsuto, tranne le mani e il viso, particolare molto importante su cui ci soffermeremo, in alcuni casi vestito d’indumenti rozzi e primitivi, in genere di pelli, armato con un bastone o una clava. Il liber Monstrorum, lo descrive “…pilosum toto corpore quoddam genus hominum didicimus, qui in naturali nuditate, setis tantum more ferino contencti…”.

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Una leggenda Ligure sulle Fate delle pozze

Esistono racconti nel folklore italiano che parlano di Fate che lavano i panni nei fiumi e nelle sorgenti. Ogni volta che un uomo, pastore o contadino, si imbatteva in queste figure, perdeva la vita. Le “lavandaie” possono essere fate, streghe o fantasmi, certamente creature dell’acqua. Sono donne viste nei pressi di una sorgente a lavare i panni. Si fanno aiutare dai viandanti incauti, che sono così costretti a strizzare i panni finché si ritrovano spezzate le ossa delle braccia. Questa leggenda è propria della Liguria.

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