Il Misterioso popolo dei Liguri e il Megalitismo Alpino

di Andrea Romanazzi

Quando si parla di Piemonte e valle d’Aosta e delle loro popolazioni, vengono subito in mente i Celti. Ma è davvero così?

Pochi sanno che fu la gens mediterranea ad esplorare per prima questi territori. La regione alpina piemontese e valdostana fu sicuramente abitata già 100.000 anni fa come testimoniato da rinvenimenti presenti lungo tutto l’arco alpino. La vera e propria colonizzazione, però,  avvenne attorno al 7000-6000 a.C. In tutta l’area si assistette, infatti, alla nascita di una cultura omogenea denominata “del vaso a bocca quadrata” dal tipico vasellame ritrovato ed identificati dal nome di “gruppi transalpini occidentali”. Esempi di questo tipo di ceramica sono stati ritrovati,  ad esempio, a Santa Maria di Pont o tra i ruderi del castello di San Martino, nella zona di Ivrea.

E’ il periodo della graduale trasformazione da cacciatori ad agricoltori-allevatori, come testimoniano i ritrovamenti della grotta Boira Fusca, nella valle dell’Orco o del villaggio neolitico del sito “La Maddalena”, presso il comune di Chiomonte. Caratterizzato da capanne ciotolate e diversi focolari, quest’ultimo mostra come l’area fosse popolata da cacciatori-raccoglitori, probabilmente ascrivibili alla civiltà Chasseana  (4400-3300 a.C.), dal nome dalla località di Camp-de-Chassey, caratterizzati da un sistema economico agro-pastorale già elaborato e basato su un’organizzazione del territorio legata socialmente ed economicamente da una rete complessa di scambi di materie prime. Altra interessante testimonianza del popolamento alpino organizzato è il villaggio lacustre identificato sul lago Pistono, costituito da non più di quattro capanne ed una serie di passerelle lignee sospese che però mettono in evidenza la stanzialità, nell’area, di piccoli gruppi familiari dediti all’agricoltura e all’allevamento.

Verso il 4000 a.C., con la fine del grande freddo, un maggior numero di gruppi di uomini iniziarono a portare i loro insediamenti in alta montagna, ovvero in zone ricche di cervi, stambecchi, tassi e marmotte,  sistemandosi in piccole cavità naturali risistemate chiamate Balme o Barme. Il miglioramento climatico, permettendo di raggiungere i 2400 metri di quota e dunque l’apertura di nuovi pascoli, favorisce, inoltre, l’inizio di un continuato allevamento di vacche, capre e pecore. Si sviluppano così, nelle Alpi occidentali, piccole società agro-pastorali autoctone religiosamente legate a culti femminili come testimonia, ad esempio, una statuetta fittile dalle sembianze di donna ritrovata nella caverna delle Arene Candide a Finale Ligure. A questa prima ed embrionale fase di colonizzazione ne seguirono altre. Nella Figura 0 si mostra il popolamento dell’Europa. Ad oggi, il popolamento dell’arco alpino può essere diviso in tre fasi, una pre-indoeuropea o ligure, una uralo-altaica ed infine una indoeuropea. Tra il 5000 e il 4500 a.C., infatti, la Pianura Padana fu interessata dall’arrivo di popolazioni di agricoltori provenienti dal bacino danubiano e dall’Adriatico che si mescolarono con le popolazioni già precedentemente stanziate  identificate con la misteriosa etnia dei Liguri, erroneamente collegata ai Celti, e che, invece, ha una origine mediterranea. Non sappiamo molto di questo popolo. Secondo Levi “…I Liguri sono certamente una delle popolazioni meno chiaramente definibili e meno aperte alla conoscenza storica di tutta l’area peninsulare italiana…”. Qualcosa ci viene detta dagli scrittori classici. Strabone, parlando dell’Italia nord ovest, afferma che “…questi monti sono abitati da moti popoli celtici a eccezione dei Ligures”. Diodoro Siculo scrive che “….essi abitano una terra aspra e molto povera. Il paese, essendo boscoso, gli uni fanno il mestiere di boscaiolo tutto il giorno, maneggiando pesanti asce di ferro, altri lavorando la terra, tagliando la pietra…le donne vivevano come gli uomini, e gli uomini hanno la robustezza e la forza degli animali selvaggi; sovente pare il più grande Gallo è vinto in combattimento singolo da un magro Ligure…”. Il Balbo e il Cibrario reputavano discendessero dai Tirreni, termine piuttosto generico con cui gli autori greci, indicavano popolazioni non originarie della loro terra. Secondo Françoise Bader deriverebbe dall’antichissima radice indoeuropea *trh, ovvero “attraversare” collegando questa etnia così, ai popoli del mare, più noti come Shardana. Questo legame è maggiormente avvalorato dagli studi di Platone che li mette in relazione con i “costruttori di torri”, ovvero il popolo dei Nuraghi. Anche da un punto di vista geografico, del resto, la navigazione dall’isola sarda e corsa all’attuale Liguria non doveva poi essere davvero proibitiva: Lo afferma l’archeologo Filippo Maria Gambari per il quale nell’area alpina è presente “…un quadro di influenze culturali di evidente provenienza marittima riscontrabile anche nella comparsa coeva di ceramica con evidenti raffronti nel Mediterraneo occidentale e in Corsica…”. Dello stesso parere è l’archeologo francese Rubat Borel: Il popolo ligure, originario dell’Anatolia, secondo il mito guidato da Sardus, eroe libico, circa 3000 anni a.C., giunse in Sardegna alla ricerca di metalli preziosi e ivi si stanziarono. Per molti sarebbero i continuatori di una grande Civiltà anatolica e gli ultimi grandi adoratori, nonché i diffusori, del culto della Grande Madre e del Megalitismo che oggi è testimoniato, nel nord Italia, dal bellissimo cromlech del Piccolo San Bernardo presente presso la Thuile in valle d’Aosta o quello di Cavaglià nel biellese (fig.1). Ne parleremo a breve.

Appare davvero curioso, dunque, come i primi popoli abitatori delle nostre Alpi fossero dei marinai. Questa affermazione, per quanto può apparire assurda, è appoggiata dalle ultime ricerche genetiche dell’Università di Torino che evidenzia come la “componente ligure” è fortemente presente nell’Italia del nord-ovest. A simili risultati sono pervenuti i ricercatori guidati dalla prof.ssa Olga Rickards studiando il DNA di alcune ossa rinvenute nel sito megalitico valdostano di Saint-Martin de Corlèans che parla di origini anatoliche.

Dai Liguri ai Celti

Almeno fino al 1200 a.C. i Liguri dominarono l’area in questione. In realtà questo gruppo venne presto in contatto con popolazioni di provenienza uralica che, fondendosi con le popolazioni liguri locali, portarono in dote le credenze animistico-sciamaniche tipiche dell’area della Mongolia e che ritroviamo nel substrato religioso alpino. Questo nuovo meltin pot rimase indisturbato fino alla fine del 500 a.C. quando i territori furono interessati da una nuova migrazione. La crisi del sistema politico e la diffusione delle armi in ferro, nonché una nuova fase di raffreddamento del clima, comportò una nuova invasione di popolazioni provenienti dalla Gallia e dall’Europa centrale. L’invasione delle popolazioni dette “celtiche”  è ascrivibile ad ondate successive mosse d’oltralpe nel V secolo a.C. ed interessarono tutta l’Europa, inclusa l’Inghilterra e l’Irlanda. I preesistenti Uro-Liguri subirono così  nuove influenze dalle prime invasioni indoeuropee che, tra il V e il IV secolo a.C. raggiunsero le aree del Rodano e delle Alpi Marittime (Fig.2). Tra il 450 e il 400 a.C. i Boi, provenienti dalla Boemia e i Ligoni dalla Borgogna attraversarono il passo del gran San Bernardo per dirigersi verso la pianura padana. Gli antichi scrittori greci etichettarono genericamente questi nuovi “invasori” con il nome di Keltoi, Galli per i latini, ma in realtà si trattava, anche questa volta,  di un insieme di tribù differenti per usi, costumi e credenze religiose. In una prima fase l’arrivo di questi popoli spinse i Liguri ad occupare le aree montuose mentre le nuove popolazioni si posizionarono nelle pianure come testimoniano molti studi sulla toponomastica. Secondo Strabone la Cispadania era abitata da popoli liguri e celti “…quelli sui monti, questi al piano…”.. In un secondo periodo le tribù autoctone dovendo sempre più convivere con i nuovi invasori, non si opposero agli stessi ma si adattarono subito alla nuova cultura fondendosi pacificamente in quella che, secondo alcuni, divenne una sorta di confederazione tra clan Liguri e Celti,  tanto che storicamente queste popolazioni furono classificate, appunto, come Celto-Liguri. L’arrivo di queste popolazioni celtiche rappresentò una vera rivoluzione in Piemonte in quanto questi ultimi erano portatori di una visione del mondo profondamente legata alla religione nella quale i sacerdoti erano la classe dominante insieme ai nobili.

I fenomeno dell’indo-europeizzazione creerà un nuovo mescolamento di razze tale che dal II-I secolo a.C. non si riuscirà più a distinguere tra paleo-Liguri e Celto-Galli. E’ il periodo in cui fioriscono le più note popolazioni piemontesi e valdostane. I primi a stabilirsi in particolare nel nord del Piemonte furono i Leponti di cui ci sono giunti dei reperti con iscrizioni in una lingua battezzata come Lepontica appartenente alla Cultura di Golasecca. Interessante è soffermarsi poi su due popolazioni da sempre credute celtiche. Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historiae parla della città di  Augusta Taurinorum, la futura Torino, città della tribù piemontese dei Taurini di “Antiqua Ligurum Stirpe”. Stessa cosa dicasi per il noto popolo dei Victimuli e dei Salassi. Secondo il Lambroglia anche loro sarebbero il frutto della stratificazione etnica delle Alpi ovvero di un substrato ligure su cui si impiantarono i Galli. Secondo studi etimologici l’origine “ligures” sarebbe confermata dalle persistenze dei toponimi in –asco che ritroviamo nel loro territorio. Soffermandoci sui più noti Salassi,  anche questi appaiono come il risultato dell’addensamento ligure verso le vie alpine a causa delle invasioni galliche del IV-V secolo a.C.. Per alcuni studiosi il nome sarebbe stato dato loro dagli scrittori latini, accostandoli ai Salii e ai Salluvii, popolazioni attestate nell’area di Marsiglia il cui nome potrebbe essere ipoteticamente legato al sale,  in riferimento ai commerci che i Salassi tenevano nelle loro aree controllando il transito delle merci tra i maggiori valichi alpini. Ed ecco il primo mistero. Non è ben chiaro quale fosse il loro territorio. Alcuni parlano dell’area piemontese oggi occupata, in grandi linee dalla provincia di Biella, altri della Valle d’Aosta. Strabone afferma che “…il paese del Salassi ha pure delle miniere, di cui un tempo, quando erano potenti, i Salassi erano i padroni, così come erano padroni dei varchi alpini…”. Parla sicuramente dell’area valdostana che oggi confina con il Piemonte. Capitale del regno sarebbe stata la mitica città di Cordelia, nome che deriva dal suo fondatore, Cordelio, capostipite dei Salassi, di cui però non sono mai state ritrovate evidenze storiche. Molto più probabilmente, invece Cordelia, era situata nelle vicinanze di Aosta, per alcuni nell’area del sito archeologico di Saint-Martin de Corléan.

Il megalitismo alpino: una storia dimenticata

Nel 1805 il francese Jacques Cambry iniziò a studiare il misterioso fenomeno del megalitismo attribuendolo, erroneamente, ai Druidi e ai Celti. Il megalitismo è sicuramente di origine mediterranea, lo ritroviamo in Anatolia, Israele, Italia del sud, Malta, Francia e Spagna. Le manifestazioni più tipiche dell’architettura megalitica sono i “menhir” ed i “dolmen”. Fu l’inglese Legrand d’Aussy a coniare questi termini dalla lingua bretone “men”, pietra, che si coniuga ora ad “hir”, lungo, oppure a “dol”, piatto, dunque “pietre lunghe” i primi e “pietre piatte”. Se il megalitismo mediterraneo è piuttosto conosciuto, poco considerato è invece il megalitismo dell’Italia nord-occidentale ascrivibile proprio a quel popolamento mediterraneo-ligure di cui abbiamo parlato. Molti sono i menhir presenti in Piemonte, pensiamo a quelli di Mazzè, Chivasso (fig.3),

Sant’Anna di Vinadio, Lago Monastero di Lanzo e Lugnacco (fig.4), solo per citare i più noti. Sono presenti anche dolmen, come il Roccio da diaou, in val Germanasca o la struttura dolmenica di Gorge di Mondrone in val d’Ala.  Altrettanto enigmatiche sono le “strade megalitiche” che si ritrovano tra le alpi piemontesi, come sul monte Pietraborga o nei pressi di Groscavallo, spesso erroneamente confuse con vie armentizie. Il fenomeno megalitico alpino più interessante è, però, quello delle stele-antopomorfe, manufatti tipici della cultura pontico-mediterranea, diffusi in Anatolia, in Crimea, nel Caucaso, nella Spagna e Francia meridionale e in Puglia.

Non possiamo approfondire, in questa sede ciò che questa evidenza archeologica nasconde, sicuramente, comunque, questi elementi litici rappresentavano entità superumane legate al culto degli Antenati e degli Eroi. Il territorio alpino è ricchissimo di esempi. Prova ne sono come le stele di Tina-Vestigliè, nel canavese, datate 3500-3000 a.C. che rappresentano figure proto umane adorne di collari, pendagli altre interessanti incisioni, oggi visibili nel museo della Preistoria di Cuorniè, ed appartenenti ad un vasto complesso sepolcrale megalitico oggi disperso (fig.4 bis).

Steli antropomorfe sono poi state ritrovate nell’area del Monte Bego, nella valle delle Meraviglie, Colle di Tenda, in territorio francese. Le più note steli sono però quelle presenti in quello che fu il territorio successivamente occupato dal Salassi: Aosta o meglio Saint Martin de Corleans. La vasta area, di circa 10000 mq, databile V millennio a.C., cioè più antica delle Piramidi e di Stonehenge, fu scoperta casualmente a causa di lavori di sbancamento per una serie di edifici abitativi negli anni 2000. Essa appare come un insieme monumentale progettato con sapienza in relazione con l’ambiente naturale e gli elementi morfologici salienti, oltre che uno straordinario palcoscenico per rituali e cerimonie. E’ qui che troviamo le note steli antropomorfe, prima manifestazione megalitica del sito. Per la comunità scientifica non è ancora ben chiaro cosa queste raffigurino. Queste statue-stele, con evidenti tratti umani, sono a volte armate con pugnali o punte di lancia o, nel caso di donne, rappresentate con seni e, a volte, con ornamenti (Fig.5-6). Ogni stele antropomorfa è caratterizzata da curiose simbologie. Triangoli puntinati, piccole spirali, gioielli ed ornamenti nonché mani adagiate sul ventre caratterizzano le raffigurazioni femminili. Le raffigurazioni maschili sono invece caratterizzate dalla presenza di un pugnale (fig.7). Questo strumento, è sicuramente in relazione con la simbologia uranico-maschile del Compagno della Divinità, l’elemento fallico che poi distingue il “sesso” delle steli caratterizzate dalla posizione di questi elementi che compaiono ovunque all’altezza della cintura. Non meno importante è la simbologia del pendente a spirale che ricorda la Torque celtico (fig.8). Detta anche torquis  o torq,  era un collare o un girocollo,  realizzato con una disposizione a tortiglione da cui deriva il nome. In realtà, noto come uno dei gioielli caratteristici delle società celte, i più antichi sono datati Età del Ferro e sono stati ritrovati presso Alpi italiane. Un particolare curioso è il perché nelle statue-stele non viene data importanza ai tratti somatici del volto, spesso mancante o solamente accennato? Questo particolare potrebbe essere messo in relazione con il culto delle teste di cui abbiamo parlato nel numero scorso di Hera. E’ comunque chiaro che si tratta della rappresentazione di divinità o meglio di antenati mitizzati e capi tribù la cui spiegazione risiede nei cambiamenti sociali e religiosi dell’età del Rame dove iniziano ad emergere le personalità di prestigio e nobili tra i nuclei tribali. E’ l’età degli Eroi, raffigurazioni dell’Uomo e della Donna Primordiali, a cui venivano dedicati i rituali di fertilità ed accoppiamento che si svolgevano nel sito e che assicurano la vita eterna e la continuità della creazione come sottolineato anche dalla simbologia a “coppella” presente su molte di queste steli (fig.9).

Insomma, differentemente da quanto spesso creduto, le popolazioni alpine, in origine erano di provenienza mediterranea e portarono, tra le nostre vette, gli antichi culti legati alla Grande Madre e agli Antenati. Le silenti pietre che oggi affiorano nel nostro territorio sono testimonianza di questi atavici culti purtroppo dimenticati.

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