di Andrea Romanazzi
La leggenda di Jack o’ Lantern è una di quelle storie che nascono dove la notte sembra respirare, al confine sottile tra il mondo dei vivi e quello dei morti, tra il fuoco dell’inferno e la luce tremolante della ragione contadina. È un racconto che sa di torba e pioggia, di vecchie locande e di fiammelle danzanti nel vento di Samhain, quando i confini si fanno porosi e gli spiriti camminano accanto agli uomini.
Si narra che, molto tempo fa, nell’Irlanda delle brughiere e dei crocicchi, vivesse un fabbro di nome Jack, detto “Stingy Jack” — Jack l’avaro. Era un uomo scaltro, di parola tagliente e mano ferma sul martello, ma con un difetto che nessuno gli perdonava: amava l’inganno più della verità, e la birra più della sobrietà. Ogni sera, al calare della luce, si poteva trovarlo nella taverna del villaggio, con una pinta in mano e una storia in bocca, pronto a scommettere, a ridere e a prendersi gioco di chiunque gli capitasse davanti. Aveva ingannato amici, nemici, preti e mercanti, e un giorno, si dice, volle tentare la sorte più alta: ingannare il diavolo stesso.
Fu in una notte senza luna che Jack incontrò il suo destino. Stava tornando dalla locanda, barcollando lungo la strada fangosa, quando vide una figura oscura seduta sul muretto, come se lo stesse aspettando. Gli occhi dell’essere brillavano di un fuoco che non era di questo mondo.
«Jack», disse una voce profonda, «è tempo di saldare i conti. Sono venuto a prendere la tua anima.»
Jack, che non aveva paura né di Dio né degli uomini, si fermò e sorrise con la sua consueta finta calma. «Avanti, allora,» rispose, «ma prima offriamoci un’ultima pinta. Non vorrai che un cristiano — o qualcosa di simile — affronti l’eternità con la gola asciutta.»
Il diavolo, divertito da tanta sfrontatezza, accettò. Entrarono insieme nella taverna, dove il fuoco del camino ardeva più del solito e la luce sembrava tremare sulle pareti. Bevvero a lungo, e quando arrivò il momento di pagare, Jack finse di tastarsi le tasche. «Non ho un soldo,» disse, «ma potresti trasformarti tu in moneta d’argento. Ti userò per pagare l’oste e poi potrai riprendere la tua forma.»
Il diavolo rise, credendo di potersi permettere il gioco. Ma appena si mutò in moneta, Jack la afferrò e la infilò nella tasca dove teneva una piccola croce d’argento. La moneta cominciò a bruciare, e il diavolo si trovò prigioniero, incapace di tornare alla sua forma originaria. Solo dopo lunghe suppliche, Jack decise di liberarlo, ma pose una condizione: il demonio non avrebbe dovuto importunarlo per dieci anni. E così fu.
Passarono le stagioni, e Jack continuò la sua vita di sempre — birra, scommesse e astuzie — dimenticando la promessa. Dieci anni dopo, una sera d’autunno, mentre tornava dai campi, incontrò di nuovo la stessa figura, appoggiata a un frassino. «È tempo, Jack», disse il diavolo. «Non puoi sfuggirmi per sempre.»
Jack sospirò e rispose con il suo solito sarcasmo: «D’accordo, ma prima fammi un ultimo favore: prendi quella mela lassù, voglio mangiarla prima di andarmene.»
Il diavolo, infastidito ma curioso, si arrampicò sull’albero. Allora Jack incise rapidamente una croce sul tronco, e il demonio rimase intrappolato tra i rami, incapace di muoversi. Con un sorriso di trionfo, il fabbro propose un nuovo patto: sarebbe stato liberato solo se avesse giurato che Jack non sarebbe mai finito all’inferno.
Il diavolo, furioso ma sconfitto, accettò. Jack cancellò la croce, e la figura nera svanì nel vento, lasciandolo solo nel crepuscolo.
Gli anni passarono ancora, e la fama di Jack crebbe come cresce l’erba attorno alle lapidi: silenziosa e inarrestabile. Ma nessuna astuzia, per quanto geniale, può fermare la morte. Quando infine il fabbro morì, la sua anima si presentò alle porte del Paradiso. Bussò, ma gli angeli lo guardarono con freddezza. «Non possiamo accoglierti,» dissero. «Hai vissuto senza misericordia né pentimento. Non c’è posto per te qui.»
Jack, allora, scese verso le tenebre, sperando almeno di trovare rifugio tra i dannati. Bussò alle porte dell’Inferno, ma il diavolo lo aspettava. Lo guardò e rise, un riso che faceva tremare la terra.
«Hai dimenticato il nostro patto, Jack? Non puoi entrare nemmeno qui. Non avrai Paradiso, né Inferno. Vagherai per sempre, senza casa né riposo.»
Jack impallidì. «Ma come farò a camminare nel buio eterno?»
Il diavolo, in un gesto che era al tempo stesso scherno e pietà, gli lanciò un tizzone ardente tratto dalle fiamme infernali. «Portati questa luce. Ti basterà per vedere dove non c’è più strada.»
Jack prese il tizzone, ma per non bruciarsi le mani lo infilò dentro una rapa svuotata, scavata con cura. La luce vi tremolava dentro come un cuore vivo, e da quel momento egli vagò senza pace nelle notti del mondo, tra i campi e le brughiere, tra i villaggi e le strade deserte, con la sua lanterna infernale in mano.
La gente cominciò a vederlo. A volte era solo un bagliore lontano nella nebbia, a volte un fuoco che si muoveva tra gli alberi, accompagnato da un soffio gelido. Si diceva che chiunque incrociasse quella luce senza pregare per i morti avrebbe perso l’anima.
Per difendersi, i contadini iniziarono a scolpire rape con volti mostruosi e a mettervi dentro una candela accesa. Le posavano sui davanzali, sui muretti o vicino alle porte, per tenere lontano Jack e gli spiriti che, come lui, vagavano nel confine tra i mondi durante la notte di Samhain, il Capodanno celtico. Era una luce di protezione, ma anche di memoria: il fuoco che tiene viva la presenza dei defunti.
Col passare dei secoli, la leggenda non si spense. Quando, nell’Ottocento, una grande carestia costrinse migliaia di irlandesi a lasciare la loro terra per cercare fortuna in America, portarono con sé le loro storie, le loro superstizioni e il ricordo di Jack l’avaro. Sulle nuove coste non trovarono rape come quelle delle brughiere, ma grandi zucche arancioni, facili da svuotare e modellare. Così, la tradizione cambiò forma: le lanterne di Jack divennero zucche-lanterna, e con esse nacque il simbolo stesso di Halloween.
Da allora, ogni autunno, quando l’aria si fa fredda e la notte sembra più lunga, milioni di zucche brillano davanti alle case, con sorrisi sinistri e occhi tagliati nel buio. Pochi ricordano il nome del fabbro che tutto cominciò, ma il suo destino aleggia ancora in quella luce tremula che sfida le tenebre.
Jack o’ Lantern rimane così il guardiano del confine, la fiamma che separa i vivi dai morti, la ragione contadina che illumina la paura. È la memoria di un uomo che volle ingannare il diavolo e finì prigioniero della propria astuzia; ma anche il segno che la luce, pur piccola e imperfetta, può ancora fendere l’oscurità del mondo.
Si dice che, nelle notti di Samhain, se la candela dentro la zucca vacilla senza vento, Jack passa accanto a noi. Non cerca vendetta, né redenzione. Cammina soltanto, con la sua lanterna nella nebbia, portando con sé la fiamma che non appartiene più a nessuno — né ai vivi, né ai morti — ma che ancora ci ricorda che ogni anima, anche la più perduta, continua a cercare la propria strada nel buio.





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