di Andrea Romanazzi

Quando ogni ottobre le vetrine si riempiono di zucche ghignanti e scheletri di plastica, è facile credere che Halloween sia una festa d’importazione americana, arrivata da oltreoceano insieme alle bibite gassate e ai film dell’orrore. Eppure, le sue radici affondano ben più vicino a noi: nel cuore dell’Europa celtica e nelle sue propaggini meridionali, che comprendono anche vaste aree dell’Italia settentrionale. Prima che il mondo anglosassone la trasformasse in una celebrazione spettacolare, la notte del 31 ottobre — la notte di Samhain — segnava, per i popoli celtici, il confine tra il vecchio e il nuovo anno, tra la vita e la morte, tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti.

Le testimonianze etnografiche raccolte fra Ottocento e Novecento dimostrano che le usanze collegate al culto dei morti — banchetti, offerte di cibo e accensione di luci — erano radicate in quasi tutta l’Italia settentrionale.
In Lombardia, nel Veneto, in Friuli e nel Piemonte occidentale la notte dell’1 novembre era considerata il momento in cui le anime dei defunti tornavano alle loro case. Le famiglie lasciavano la tavola apparecchiata con dolci e bevande: latte e castagne, piatti di caldarroste, bicchieri di sidro, oppure semplici ciotole d’acqua “per dissetare i morti”. I dolci tradizionali — pan dei morti, ossa dei morti, fave dei morti — sono l’eredità concreta di questi banchetti funebri, simbolo del nutrimento condiviso con l’aldilà.

In molte zone, inoltre, si accendevano lumi o si disponevano lanterne davanti alle case e lungo i sentieri che portavano al cimitero. Questi lumi erano le lümere.

La nascita e il significato delle lümere

In questo scenario di culto domestico e memoria collettiva si inserisce la pratica delle lümere. Le lümere erano vere e proprie zucche svuotate, incise e illuminate con una candela al loro interno. Il rito della loro preparazione era affidato ai bambini, ma sempre sotto la guida degli anziani. Gli occhi, il naso e la bocca venivano intagliati nella scorza, e la candela accesa all’interno trasformava il frutto in un volto luminoso, al tempo stesso grottesco e affascinante.

Le lümere venivano collocate sui davanzali, sui balconi, ai cancelli, lungo le strade o nei pressi dei cimiteri, “per illuminare la via alle anime”. In molti paesi, i ragazzi le portavano in processione o le usavano per spaventare i passanti, mescolando sacro e profano, devozione e burla — proprio come avviene nell’Halloween moderno.

L’usanza era diffusa in gran parte della Pianura Padana e si concentrava proprio nei giorni a cavallo tra ottobre e novembre. La preparazione era un momento comunitario e pedagogico: i bambini si occupavano di svuotare la zucca sotto la guida degli anziani, che insegnavano gesti e significati. Gli occhi, il naso e la bocca venivano incisi nella scorza; all’interno si accendeva una candela. Talvolta, la bocca veniva decorata con stecchini o semi disposti come denti, mentre orecchie e altri dettagli erano realizzati con granoturco, piume o pezzi di stoffa.

Accese al tramonto, le lümere venivano portate in processione lungo i sentieri o poste davanti alle case, sui davanzali, ai cancelli e nei pressi dei cimiteri. Servivano ad “illuminare la via ai morti”, ma anche a spaventare — in un gioco ambiguo di paura e devozione che riecheggia la doppia natura del Samhain: momento di contatto con gli spiriti, ma anche di festa liberatoria. Le candele lasciate accese per tutta la notte servivano così a “nutrire” i defunti con la dolcezza della polpa sciolta. Spesso ogni famiglia preparava una zucca per ciascun morto da ricordare, e non mancavano i biglietti infilati all’interno, veri e propri messaggi agli spiriti.

La mattina seguente, gli abitanti controllavano se la posizione degli oggetti o della zucca fosse cambiata: un segno che le anime erano passate, e che avevano accettato l’offerta. Si trattava di un dialogo domestico e silenzioso con l’aldilà, un modo contadino e affettuoso di affrontare l’ineluttabilità della morte.

Nelle campagne friulane e lombarde, il rito assumeva significati ancora più profondi. I semi estratti durante lo svuotamento della zucca venivano conservati per la semina dell’anno successivo, segno del ciclo vita-morte-rinascita. In alcune famiglie si preparava una zucca per ogni defunto della casa; al mattino, si controllava se gli oggetti sul tavolo erano stati spostati, interpretando ciò come prova del passaggio delle anime.

In Friuli, le candele venivano lasciate ardere tutta la notte, perché la polpa ammorbidita servisse “da nutrimento ai morti”. A volte, nella zucca veniva inserita una lettera destinata all’anima di un familiare defunto. La lümera diventava così una lanterna-ponte, un messaggio di luce fra i mondi.

Le lümere resistettero a lungo, fino agli anni Cinquanta del Novecento, quando la modernizzazione e la perdita dei rituali rurali ne decretarono il declino. Solo di recente, con la diffusione di Halloween, il gesto di intagliare e illuminare zucche è tornato di moda — ma svuotato del suo senso originario. Oggi le chiamiamo Jack o’ Lantern, dimenticando che le loro antenate brillavano già da secoli nei cortili della Pianura Padana.

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