di Andrea Romanazzi
Nelle terre del Nord, dove il vento trascina la pioggia sulle colline e l’erba s’inchina davanti al mare, la notte del 31 ottobre non è mai stata solo una vigilia festosa o un preludio ai santi e ai morti. È il confine dell’anno, la soglia dell’inverno, il momento in cui il mondo visibile e quello invisibile si toccano. Prima che Halloween diventasse una festa globalizzata, nelle regioni celtiche d’Europa quella notte era un rito arcaico di fuoco e divinazione. In Irlanda si chiamava Samhain, nell’Isola di Man era Hop Tu Naa, in Galles Nos Galan Gaeaf, mentre nelle Highlands scozzesi la si conosceva semplicemente come la vigilia d’inverno.
Fuochi sull’orizzonte: la notte della soglia
In Scozia, tra le brughiere di Sutherland e Caithness, al tramonto del 31 ottobre le colline si illuminavano di falò. Le fiamme avevano una duplice funzione: scacciare gli spiriti maligni e stabilire un ponte con l’invisibile. Si credeva che il fuoco bruciasse ogni influenza negativa, e che il suo fumo, mischiato alla cenere, fosse sacro.
Fino all’Ottocento, le torce erano portate in processione intorno ai campi, seguendo il moto del sole, in un gesto propiziatorio e purificatore. Quando le fiamme morivano, la cenere veniva raccolta in un cerchio: per ogni persona presente si posava una pietra. Se, all’alba, una di esse appariva spostata o scheggiata, significava che il suo proprietario non avrebbe visto la primavera successiva.
Era una forma di divinazione silenziosa, dove il destino parlava attraverso la materia: la pietra, il fuoco, la paura.
Il Samhain marittimo delle Ebridi
Sulle isole Ebridi, il Samhain si tingeva di mare. A Bragar, sull’isola di Lewis, gli abitanti preparavano una birra d’orzo da offrire al dio del mare Shony, affinché garantisse una buona raccolta di alghe, essenziali per concimare la terra. La bevanda veniva gettata tra le onde accompagnata da preghiere, in un dialogo antico tra l’uomo e l’acqua.
L’offerta, simbolo del sole che declina e della vita che si rinnova, mostra il perfetto equilibrio tra economia contadina e religione arcaica: il mare, pericoloso e vitale, riceveva in dono ciò che l’uomo aveva trasformato con il fuoco della fermentazione.
Nos Galan Gaeaf: mele, fuoco e presagi
In Galles, la “vigilia dell’inverno” era anche la notte delle mele e delle candele. Si accendevano fuochi di ginestra sulle colline, si arrostivano mele e patate, si ballava e si cantava. I giovani saltavano sopra le fiamme per garantirsi salute e fortuna, ripetendo inconsciamente l’antico gesto solare di rigenerazione.
Anche qui, come in Scozia, si praticava la divinazione delle pietre: ogni partecipante gettava la propria nel fuoco, e all’alba si osservava il risultato. Una pietra intatta significava protezione; annerita o spostata, presagiva sventura. Il fuoco, in quella notte, non scaldava soltanto: parlava.
Hop Tu Naa: la voce dei bambini dell’Isola di Man
Sull’Isola di Man, la transizione stagionale prendeva il nome di Savin, il capodanno celtico. I bambini percorrevano le strade con lanterne scavate nelle rape, chiedendo doni in cambio di canti rituali. La festa, nota come Hop Tu Naa – “questa è la notte” – conservava il gusto dell’antica questua magica.
Si lasciavano aghi d’acciaio nei colletti per tenere lontani gli spiriti, si praticavano divinazioni sul clima e sui matrimoni. Molte di queste tradizioni migrarono poi verso Natale e Capodanno, mantenendo intatto il loro senso di protezione e rinnovamento.
I canti dei bambini dell’isola anticipano di secoli il moderno “trick or treat”: la richiesta di un dono in cambio della benevolenza, eredità diretta di un mondo che credeva nel potere delle parole.
La Cailleach Bheur, signora del gelo
Nel folklore scozzese, la notte di Samhain segna il risveglio della Cailleach Bheur, la dea dell’inverno. Vecchia dal volto azzurro e dai capelli di ghiaccio, è la personificazione del freddo e della terra addormentata. Quando si destava, iniziava il suo regno.
Le famiglie accendevano i fuochi per scaldarsi e per rendere omaggio alla sua potenza. In lei convivevano la morte e la rinascita, la distruzione e la custodia del mondo naturale. La sua figura ricorda che il gelo non è solo fine, ma sospensione feconda, incubazione del futuro.
Le rape bretoni e la luce dei morti
Sulla costa opposta, in Bretagna, la notte del 31 ottobre custodiva ancora il respiro del Samhain, ma già velato di cristianesimo. Si lasciava cibo sulle soglie per le anime in visita, e i bambini svuotavano rape per creare le prime lanterne dei morti.
Occhi, naso e bocca erano scavati nella polpa, e una candela accesa brillava all’interno. Era insieme offerta e minaccia: la luce della vita che sfida il buio. Quando, nell’Ottocento, gli emigrati irlandesi portarono la tradizione in America, sostituirono la rapa con la zucca. Così nacque il simbolo che oggi illumina ogni Halloween.
Maschere, scherzi e caos rituale
Nelle Highlands, la notte era anche dedicata agli scherzi. Si spostavano cancelli, si scambiavano carri e animali, si indossavano abiti grotteschi per sfuggire agli spiriti. Il travestimento, più che gioco, era protezione: un modo per ingannare le forze dell’aldilà.
Il disordine controllato aveva un valore sacro. Ribaltare le regole significava accettare la potenza del caos, ricordando che l’universo si rinnova solo dopo aver attraversato il suo punto di dissoluzione. Chi non accettava lo scherzo, chi interrompeva il rito del rovesciamento, rischiava la beffa peggiore l’anno successivo.
Purificazione e ritorno
Ovunque, dal Galles alle Ebridi, un unico filo lega le tradizioni: la rinascita attraverso il fuoco. Le comunità danzavano in cerchio seguendo il corso del sole, saltavano le fiamme per oltrepassare simbolicamente la morte, e infine spargevano la cenere sui campi per nutrire la terra.
Era un linguaggio della natura, non superstizione. Il fuoco distrugge, ma purifica; brucia, ma promette. In quel buio di ottobre, la fiamma ricordava agli uomini che il sole sarebbe tornato. Il Samhain segnava così la fine e l’inizio, la paura e la speranza, il momento in cui la comunità si riconosceva parte del ritmo cosmico.
Dalla soglia celtica alla festa globale
Oggi Halloween scintilla di maschere, luci e dolciumi, ma dietro la superficie resta l’eco dei falò antichi. Nelle Ebridi si narra ancora del dio Shony, sull’Isola di Man i bambini cantano Hop Tu Naa, in Galles si arrostiscono mele profumate per la Nos Galan Gaeaf.
Ogni gesto moderno porta la memoria di un rito remoto: attraversare l’oscurità per ritrovare la luce.
Halloween, nella sua essenza più profonda, non celebra il macabro, ma il coraggio. È la notte in cui il mondo dei vivi si fa permeabile a quello dei morti, e l’uomo, riconoscendo la propria fragilità, rinnova il patto con la vita.





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