di Andrea Romanazzi
Uno dei più grandi misteri sui quali l’uomo si è interrogato è la “nascita”. Il De Gubernatis, mostrando una incredibile lungimiranza sui costumi della nuova generazione, nel 1800 scriveva
“…La prima e l’ultima curiosità dell’uomo è quella di sapere in che modo egli venga al mondo, e dov’egli vada quando ne esce. Questa curiosità non potrà mai venire intieramente soddisfatta; ma la scienza popolare ha trovato alcune risposte che parvero sufficienti ai fanciulli di una volta, non oserei dire che bastino più agli odierni fanciulli, i quali nascono, come si dice, con gli occhi aperti…” Ancora oggi, quando un bambino chiede da dove egli nasca, spesso si ricorre alla spiegazione “vegetale”
. In molti paesi e contrade di Italia, si risponde che è stato trovato sotto un albero o è uscito dal suo tronco, tipico esempio potrebbe essere il detto popolare abruzzese “sei nato nel cavo di una quercia”.
In realtà la tradizione, però, non individua una ben precisa “origine” vegetale, e così moltissime sono le specie e le piante “natalizie”. Troviamo fagioli, lattuga, granturco,ceci, in Inghilterra si dice che i bambini siano nati dal Parsley Red, in Piemonte, come in molte regioni tedesche, sotto un frassino. Diversamente in Tirolo si crede che essi si ritrovino sotto un rovere, mentre in Toscana i bimbi orfani si dice siano stati raccolti nella macchia e proprio per questo comunemente vengono chiamati “macchiaiuoli”.
Moltissime sono poi le tradizioni legate al cavolo, non esclusiva prerogativa della cultura popolare italiane ma la presente in diverse nazioni europee tra cui la Germania o la Francia ove è ancora il cavolo a far da “padre” al bimbo.
Il legame tra l’elemento vegetazionale e il nascituro non termina però qui. Comunemente, nel gergo popolare, quando un bambino cresce bene si di che “è ben piantato”, o che “è un fiore”, e numerose sono le tradizioni popolari che vogliono piantato, alla nascita del bimbo, un albero che lo accompagnerà lungo il suo cammino, chiamato appunto, albero natalizio.
Questa credenza la ritroviamo in moltissime novelle popolari italiane ed europee ove si narra di alberi nati o piantati nel giorno della nascita di un eroe e che appassiscono e muoiono nello stesso giorno in cui avviene la morte dell’uomo.
Sicuramente non solo mere superstizioni contadine, ma qualcosa di più se Lord Byron piantò a Newstead un querciolo per ottenere responsi sulla sua salute, mentre Walter Scott trovava vaticinio dei propri successi dal germogliare di alcune ghiande che appositamente piantava nel terreno.
Ancora molti termini, che sono in qualche modo legate alla nascita, hanno origine arborea, pensiamo a stirpe, stipite, ceppo, o ancora a stemma, che deriverebbe dal termine tedesco stamm, cioè tronco. Non da trascurare poi è la tradizione dell’”albero geneaologico” il cui concetto e la cui relazione albero-nascita è ben chiara. E’ partendo da questa curiosità, per spiegarne le origini, che faremo un viaggio nelle tradizioni popolari del sud Italia tra le fronde dell’antico spirito arboreo.
La Sposa frutto e la Donna Albero
Altra fonte interessante è la novellistica popolare italiana. In Toscana un esempio potrebbe essere la diffusa novella che narra di un principe che abbandona la casa paterna alla ricerca della sua sposa. Durante il percorso incontra una vecchia che gli indica un monte sul quale cresce un albero di melo, gli consiglia di coglierne tre dicendo che in ognuna avrebbe trovato una bellissima fanciulla. Ovviamente il luogo non è senza difficoltà dato che è abitato da un orco. Dopo molte tribolazioni il principe raccoglie le mele, apre le prime due da cui escono due fantastiche fanciulle che però, chiedendo all’uomo dell’acqua, e non essendo accontentate spariscono. La terza mela viene tagliata vicino ad un corso d’acqua e qui finalmente avviene l’unione. Questo racconto, presente in tutta Italia, seppur con piccole variazioni, ripropone due temi interessanti, i tre pomi e la fanciulla che nasce, anche se già adulta, dal frutto.
A Perugia si narra di donne nate da delle noci, con la stessa prerogativa della mancanza d’acqua-scomparsa della storia precedente, mentre a Spoleto il frutto “miracoloso” è un cocomero.
Interessanti poi sono le numerose novelle popolari umbre che parlano di uomini che trovano il loro amore in una melangola, una specie di arancia amara e stesso tema lo troviamo nella novellistica veneta che narra delle imprese di un giovane che “…resterà melanconico finchè non avrà trovato la bella dalle tre melarance…”.
L’immagine della sposa-sposo-frutto non è che una variante del culto arboreo che cambia logica ed immagine al cambiare della società e della civiltà, ma che conserva intatta la sua idea: se l’uomo nasce da un albero allo stesso modo in esso egli può trovare la sua sposa.
Ecco che però il tema della donna che si rende immanente nell’albero è molto antico, molti asono i miti greci che parlano di queste strane metamorfosi. Pensiamo così a Leuke, inseguita da Ade e trasformata in un pioppo bianco o ancora a Filira, figlia di Oceano e mutata in Tiglio, la virginia Fillide e il mandorlo, per giungere alla già citata Mirra.
Forse la più celebre e nota è la trasformazione di Dafne nell’albero di Lauro.
“…anche l’albero adora e, poggiando la testa sul tronco
Sente che palpita il petto pur sotto la nuova corteccia.
Come se fossero membra ne stringe le rame, le abbraccia
L’albero bacia, ma l’albero i baci disdegna tutt’ora.
Quindi così le favellas:”Poiché non puoi essermi sposa
Sarai almen la mia pianta. O Alloro, di te s’orneranno
I miei capelli per sempre, il turcasso e la cetra”[1]
Tra le metamorfosi donna-albero, divine interessante, perché legata ad un tema stregone sul quale ci soffermeremo successivamente, soffermarci però su Caria perché legata al Noce e al culto Dionisiaco. Il mito narra che durante un suo viaggio il dio viene ospitato da re Dione in Laconia e qui si innamora perdutamente della figlia di quest’ultimo Caria.
Ecco che però le due sorelle gelose riferiscono il tutto al padre e per punizione furono trasformate dal dio in rocce. Caria, per la disperazione muore e viene trasformata dal dio in Noce.
In realtà questo mito è davvero molto antico, la ninfa Caria sembrerebbe infatti nascondere entità ben più vetuste come la pelagica Kar o Ker, trasformata poi in ninfa dal mito greco e da cui deriverebbe Carmenta.
Da sempre il tema della “pianta” e del culo vegetazionale è stato legato alla riproduzione. Queste credenze, lungi dall’esser dimenticate, sono state trasposte in toto nelle fiabe e nei racconti popolari. E’ qui che ritroviamo il tema della nascita e del matrimonio arboreo. Moltissime sono le storie di donne popolari che non riescono ad avere figli e che dunque rivolgendosi al santo di turno ottengono da lui tre pomi mangiando i quali potranno rimanere in cinta. Molto spesso, poi, nella fiaba, capita un evento inatteso, per errore è lo stesso marito a mangiare tali miracolosi frutti, rimanendo così in gravidanza.
Del resto l’idea del ritrovamento della sposa è metafora ben più arguta di quello che potrebbe essere un ricongiungimento spirituale, l’idea di una unione che avviene “all’ombra dell’albero” che è ricettacolo di vita.
Altro esempio potrebbe essere la fiaba del Barone di Selvascura riportataci da G. B. Basile
La storia narra della giovane sorella del barone che “…un giorno, trovando una rosa tutta aperta, posero pegno tra loro [era un gioco tra amiche n.d.A.] che chi la saltasse netta, senza toccar una foglia, guadagnasse un tanto. E, saltandovi molte di quelle ragazze a cavalcioni sopra, tutte si urtavano e nessuna la scavalcava netta. Ma, quando fu fu la volta di Lilla, che era la sorella del barone, essa, tolto un po’ di vantaggio, prese tale rincorsa che saltò di peso di là della rosa. Pure una foglia cadde, ed essa fu così accorta e destra che, cogliendola, di terra, senza lasciarsi scorger, la inghiottì e guadagnò la scommessa.
Non passarono tre giorni che Lilla si sentì incinta…Corse dunque da certe fate sue amiche le quali, udito il caso, le dissero che stesse tranquilla, perché la causa n’era stata la foglia di rose che aveva ingoiata…”.
Nell’area napoletana vi è una bella romanza che recita “…Nel mio orto c’è un’erba, bianca, bionda e colorata. La donna la calpesta, d’essa resta ingravidata…”.
Se questa la novellistica italiana, non fa eccezione l’Europa, così in Germania il tema rimane lo stesso. In molte incisioni popolari viene raffigurato un albero che ha come frutti degli uomini e donne sottostanti che cercano di raccogliere questi “frutti”. Il tema non è estraneo neanche ai paesi orientali se in Medio Oriente si parla di terre ove gli uomini nascono senza né padre né madre essi sono generati da alberi.
In Egitto si narra la storia di una sposa adultera che scongiura il re del luogo di tagliare un albero ove lei sa essersi reincarnato il marito tradito. Durante il taglio, però, una scheggia entra casualmente nella di lei bocca rendendola gravida. Il figlio concepito, come tutti i miti di uomini nati da alberi diventa poi un grande re od eroe.
Stessa strana tradizione ritroviamo in Africa ove si narra di donne che rimangono in stato interessante per aver calpestato un’erba o bevuto del succo d’albero.
Il tema arboreo che fa da sfondo a tutte le tradizioni fin qui esaminate è facilmente individuabile: vi è la donna che ha problemi legati alla procreazione ed è il dio vegetazionale maschile che la rende fertile.
In realtà per alcuni queste tradizioni potrebbero esser nate come spiegazione a certe “gravidanze inopportune” giustificate così dalla leggerezza della donna che si avvicina all’albero. In realtà c’è sicuramente qualcosa di ben più radicato nell’animo popolare.
La Nascita Arborea nel Mito
La nascita arborea, oltre che nella tradizione e nella novellistica è presente già nella mitologia.
Da sempre la nascita è stata legata all’elemento arboreo, per Esiodo Zeus creò gli uomini da un frassino e stessa tradizione ritroviamo in Apollodoro, che narra del primo uomo, Foraneo, creato dallo stesso albero.
Virgilio, nell’Eneide ci parla di aborigeni nati da tronchi e da dura rovere “…haec remora indigenae fauni, nympheaque tenebant, Gensque virum trunci et duro de robore nata…”
Giovenale, nelle satire, dice che i primi uomini nacquero da un albero o dal fango, e l’albero universale e lo stesso fango hanno un ruolo importantissimo nella stessa Genesi.
Ancora potremmo pensare ad Osiride, sulla cui cassa cresce un albero di melograno, od ancora ad Odino, la cui ri-nascita avviente attraverso l’albero universale.
Sicuramente più esplicito è invece il mito di Adone o Tammuz.
Le popolazioni dell’Egitto e dell’Asia occidentale chiamavano con i nomi di Tammuz o Adone la divinità legata alla decadenza e rinascita annuale della vita vegetale. Il mito racconta che il semidio fosse nato da Mirra e da suo nonno Cinira, durante le feste dedicate a Cerere. Si narra, infatti, che la nutrice della giovane fanciulla, sapendo dell’amore che la ragazza nutriva per il padre, propose allo stesso, la cui moglie aveva fatto un voto di castità, di accoppiarsi con una giovane donna della quale però non avrebbe mai visto il volto. Cinira accettò e per nove notti di seguito, si incontrò con questa misteriosa fanciulla, fino a quando Mirra non fu ingravidata. Spinto dalla curiosità l’uomo cercò di scoprire di chi si trattasse e con sorpresa si accorse che la donna era in realtà sua figlia. Adirato il padre sguainò la spada e, deciso a uccidere Mirra, la inseguì tra i boschi,così la giovane, terrorizzata chiese aiuto agli dei che la trasformarono in un albero. Dopo nove mesi dalla corteccia uscì un bambino, Adone, poi accudito da Diana e Persefone.
[1] Ovidio, Metamorfosi, I, 542, 545, 554-560
[2] Brosse J., Mitologia degli Alberi, Edizionu BUR