di Andrea Romanazzi

Nel cuore della tradizione cristiana, il culto di San Michele Arcangelo emerge come un affascinante intreccio di sacro e profano. Nella prima parte della nostra esplorazione, “Il Culto di San Michele e i legami Pagani: Parte 1 – L’acqua e la Roccia”, ci immergeremo nelle profonde connessioni tra i rituali dedicati a San Michele e le antiche pratiche pagane. Attraverso simboli potenti come l’acqua e la roccia, scopriremo come questi elementi naturali abbiano plasmato le celebrazioni e i luoghi di culto nel corso dei secoli. Unisciti a noi in questo viaggio alla scoperta delle origini e delle trasformazioni di uno dei culti più affascinanti della storia religiosa.

l’Arcangelo: l’acqua

Il culto delle acque è una pratica antica e diffusa in molte tradizioni culturali e religiose. Secondo il Talmud, l’arcangelo Michele è associato alle acque, conferendogli una dimensione aggiuntiva come custode e benefattore di questi elementi. L’arcangelo Michele, in quanto “angelo dell’acqua”, rappresenta un legame tra il divino e il mondo naturale, sottolineando ulteriormente la sacralità e il potere curativo delle acque. Non è un caso che in molte grotte naturali, luoghi spesso venerati per la loro bellezza e mistero, siano state rinvenute tracce di culto delle acque. Questi siti sacri, dove le acque erano considerate fonte di potere e guarigione, testimoniano una continuità di pratica spirituale che si è evoluta nel tempo. Le virtù salutifere attribuite alle acque, che in origine erano associate a divinità pagane, sono state assimilate e reinterpretate nel contesto del culto cristiano, passando sotto la protezione e l’intercessione di San Michele Arcangelo.  C’è però, probabilmente, un’associazione ancora più arcaica, che vede Michele legarsi al culto della grotta e della Grande Madre. L’associazione dell’angelo con la grotta non è casuale, infatti con la nuova religione le grotte, primi santuari dell’uomo antico, furono viste come luoghi pagani, sede di entità diaboliche e spesso ingressi per il regno degli inferi, luogo dunque da sorvegliare e da affidare al primo nemico di Lucifero, l’Arcangelo. Nell’immaginario dell’Antico le grotte rappresentavano il primordiale utero della dea e la stalattite diviene così immagine acheropita della divinità. Lo stillicidio di acque sature in un ambiente riparato e parzialmente illuminato porta alla formazione di concrezioni stalattitiche particolari che si accrescono per incrostazione successiva di muschi e altri organismi vegetali a costituire una massa spugnosa rotondeggiante. Queste concrezioni richiamano nell’aspetto la morfologia delle mammelle infatti al posto del capezzolo lo stillicidio mantiene sulla sommità di queste un tubicino non ancora incrostato sempre ripieno d’acqua lattescente. Anche le acque che si accumulavano nelle coppelle carsiche erano considerate sacre perchè simboleggiavano gli umori uterini della dea. Attorno alle stalattiti spesso si creavano piccole coppelle carsiche naturali dove si accumulava il “sacro liquido” o spesso era la stessa stalagmite a fuoriuscire da pozze naturali, generata dai depositi carbonatici  contenuti nell’acqua. Era nella sua umidità l’energia vitale insita in Lei. In una visione macrocosmica la grotta rappresenta, per il Antico, le profondità uterine della dea, e più essa è ricca di acqua, sia presente come sorgenti che accumulata in coppelle, più essa è sacra. Era nella sua umidità l’energia vitale insita in Lei. In una visione macrocosmica la grotta rappresenta, per il Antico, le profondità uterine della dea, e più essa è ricca di acqua, sia presente come sorgenti che accumulata in coppelle, più essa è sacra. L’Apocritico, un testo antico, evidenzia le qualità miracolose della “Stilla”, una forma di acqua considerata benedetta o sacra. Questa credenza nella capacità delle acque di apportare benefici straordinari e guarigioni è rimasta viva e radicata nella devozione popolare, riflettendo una lunga tradizione di attribuzione di poteri speciali all’acqua. Il culto delle sorgenti e delle fonti termali è dunque strettamente connesso a quello della Mater. Dalle dee venerate nei santuari paleolitici, spesso sede di laghi o fiumi sotterranei. Anche in periodo storico è ben noto che le popolazioni osco-sannite, avevano un pantheon ricco di divinità legate alla natura e alle sorgenti tra cui Mefite, come testimoniato dai Santuari a Rossano del Vaglio, Chiaromonte o nei santuari  di Moliterno che mettono in evidenza l’importanza delle sorgenti e delle acque nel culto locali con ex voto anatomici rinvenuti che rinforzano l’associazione tra acqua e divinità curative. Con il cristianesimo questi attributi, fortemente radicati nella religiosità popolare, vengono associati all’Arcangelo che diviene così anche protettore della maternità e signore delle acque. La tradizione ctonia dell’Arcangelo e delle sue acque sacre è molto diffusa soprattutto nel sud Italia e in particolare in Puglia ove, nel Medioevo, vasche naturali utilizzate dai precedenti culti di abluzione, furono denominate “culle dell’Angelo”, e molte tradizioni parlano di miracoli di Michele e delle sue acque terapeutiche. si parla di  rituali iatrici che prevedevano l’immersione dei pellegrini nelle acque ritenute miracolose, dimostrando la continuità del culto delle acque attraverso le varie epoche.

l’Arcangelo: il betile

Vi è però un altro legame con i culti pagani. Il culto delle pietre, noto anche come culto betilico, è una delle forme più antiche di venerazione religiosa conosciute dall’umanità. Le pietre, spesso considerate manifestazioni fisiche del divino, sono state oggetto di culto in diverse culture e civiltà, dal Vicino Oriente all’Europa, dall’Africa all’Asia. Esso risale ai tempi preistorici, quando le comunità umane iniziarono a percepire il mondo naturale come abitato da spiriti e forze sovrannaturali. Le pietre, con la loro permanenza e solidità, furono presto associate a queste forze, diventando oggetti di venerazione. In molti casi, le pietre venivano considerate dimore di spiriti o divinità, rendendole centri di culto e rituali. Il termine “betilo” deriva dal greco “baitylos”, che si riferisce a una pietra sacra ritenuta abitata da una divinità. Queste pietre erano spesso non lavorate, ma in alcuni casi venivano scolpite o decorate. La loro importanza risiede nel fatto che rappresentavano un punto di contatto tra il mondo umano e quello divino. Nel Vicino Oriente antico, il culto delle pietre era particolarmente diffuso. Le stele, pietre erette con iscrizioni o immagini, erano comuni in Mesopotamia e in altre regioni. Queste pietre servivano non solo come oggetti di culto, ma anche come strumenti di comunicazione tra le divinità e gli esseri umani. In Israele, la Bibbia fa riferimento a numerosi esempi di pietre sacre, come le pietre di Giacobbe a Bethel, che egli consacrò dopo aver avuto una visione divina. In Grecia, le pietre sacre erano spesso associate a miti e leggende. Un esempio famoso è l’Omphalos di Delfi, una pietra considerata il “centro del mondo” e venerata nel tempio di Apollo. Secondo la leggenda, Zeus liberò due aquile dai confini del mondo, e queste si incontrarono al centro, dove cadde l’Omphalos. Questo simbolismo del centro cosmico rendeva la pietra un potente oggetto di culto. Il significato simbolico delle pietre nel culto betilico è profondo e variegato. Le pietre rappresentano la stabilità e la permanenza, qualità spesso associate al divino. Inoltre, la loro presenza naturale e la resistenza agli agenti atmosferici le rendevano simboli di eternità e immortalità. La forma e la posizione delle pietre potevano anche avere significati particolari, come nel caso delle pietre erette che simbolizzavano l’asse del mondo o l’unione tra cielo e terra.  Le pratiche di culto associate alle pietre variavano notevolmente tra le diverse culture, ma condividevano alcuni elementi comuni. In molte tradizioni, le pietre venivano unte con oli o decorate con fiori e ghirlande come offerta agli spiriti o alle divinità che si credeva risiedessero in esse. In altri casi, venivano eretti altari attorno alle pietre, dove si svolgevano sacrifici animali o offerte di cibo e bevande. Con l’avvento delle grandi religioni monoteiste e l’evoluzione delle società, il culto delle pietre viene associato ai santi cristiani come, appunto Michele. La “Cava” di San Michele, situata presso Monte Sant’Angelo, è un luogo emblematico di venerazione delle pietre. Anche se la datazione più precisa del culto risale al 1600, la tradizione di utilizzare queste pietre come elementi sacri è radicata in una leggenda storica che ne conferisce una dimensione mistica. Secondo le cronache locali, le pietre estratte da questa cava erano considerate cariche di energia spirituale e benefici, portando con sé il potere e la protezione dell’arcangelo Michele. Il culto delle pietre non è limitato al Gargano ma si estende attraverso la costruzione di santuari in Occidente, noti come Michaelstein, risalenti all’XI secolo. Questi santuari erano spesso costruiti con frammenti di pietra considerati sacri e dotati di poteri protettivi e curativi. I Michaelstein, dedicati a San Michele Arcangelo, rappresentano l’integrazione della sacralità della pietra nella tradizione cristiana, riflettendo un’antica pratica di venerazione di elementi naturali. E’ nella penombra che risuonano ancora, riportate in una iscrizione, tracce dell’antico culto betilico presente nelle parole del Magister Militum delle Milizie Celesti “…ubi saxa pandutur, ibi peccata hominum dimittur, haec est domus specialis, in qua quaeque noxialis actio diluitur/ qui dove le rocce si aprono vengono rimessi i peccati degli uomini questa è la dimora speciale nella quale le colpe vengono lavate…”. Come detto questo aspetto del culto, che ben si lega a quello arcaico delle acque, si radicalizza nella popolazione solo attorno al 1600. Il XVII secolo fu un periodo travagliato per l’Europa, segnato da conflitti, carestie e epidemie devastanti. La peste che colpì l’Europa con una serie di ondate epidemiche, rappresenta uno dei periodi più bui della storia sanitaria del continente. Le condizioni di vita precarie, la mancanza di conoscenze mediche avanzate e le frequenti guerre contribuivano alla diffusione rapida e letale della malattia. Le città e i villaggi erano devastati, e la paura della peste portava le persone a cercare qualsiasi forma di sollievo e protezione, spesso ricorrendo a pratiche religiose e superstiziose.

In questo clima di disperazione, la figura di San Michele Arcangelo emerse come un simbolo di speranza e difesa contro le forze invisibili del male e della malattia. L’arcangelo, noto per il suo ruolo di protettore e guerriero celeste, divenne un punto di riferimento spirituale per coloro che cercavano salvezza e guarigione. Secondo la tradizione popolare, infatti, le pietre sacre all’Arcangelo, raccolte nel santuario del Gargano, avevano il potere di allontanare la peste “…chiunque con divozione adroprerà i sassi della mia basilica nelle case, città e luoghi si partirà diliguata la peste…” Le pietre sacre, provenienti dai luoghi di culto dell’arcangelo, erano considerate portatrici di poteri speciali e protettivi. La tradizione voleva che queste pietre avessero la capacità di allontanare il male e proteggere dalle malattie. Le pietre della “Cava” di San Michele, situata presso Monte Sant’Angelo, erano particolarmente ricercate. Queste pietre erano spesso raccolte dai pellegrini e conservate come amuleti o portafortuna. L’idea era che il potere sacro dell’arcangelo potesse essere trasferito attraverso le pietre, offrendo protezione contro la peste e altre calamità. Le persone portavano con sé questi amuleti nella speranza di trovare una barriera contro la malattia e la morte. Nelle comunità afflitte dalla peste, le pietre venivano utilizzate in una varietà di modi: appese al collo come amuleti, conservate in casa per proteggere la famiglia e collocate nei luoghi di culto per invocare la protezione divina. La devozione alle pietre di San Michele ha continuato a essere una parte importante della spiritualità popolare anche dopo il termine della peste. Non a caso una cavità della grotta è rimasta sempre a disposizione dei fedeli che volessero cavarne pietruzze. In una commistione tra sacro e profano sarà così che le pietre della grotta, iniziano ad esser considerate reliquie, venivano usate per consacrare altari e chiese dedicate a San Michele, o poste a dosso come elementi magico-religiosi contro i mali del corpo e dell’anima. In Basilicata i ragazzi attendevano con grande entusiasmo il ritorno dei pellegrini da Monte Sant’Angelo, noti come “Santangilesi” che ri-portavano con sé diversi oggetti, tra cui pietruzze di marmo dalla Grotta e altri amuleti. Tali oggetti, tra cui còzzole (cocciole o conchiglie) e campanari (conchiglie a spira), venivano appesi al collo dei bambini dalle loro madri come protezione contro il malocchio, una credenza diffusa nella cultura popolare.

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