di Andrea Romanazzi
La spiritualità celtica affascina e ispira, invitandoci a immergerci in un universo ricco di simboli, miti e rituali. Questa tradizione millenaria, radicata in un profondo legame con la natura, ci offre strumenti per esplorare i misteri dell’anima e comprendere le connessioni invisibili tra il visibile e l’invisibile. Dalle arti divinatorie come l’uso degli ogham o la lettura dei segni naturali, ai viaggi sciamanici per incontrare spiriti guida e riscoprire frammenti perduti di saggezza ancestrale, il mondo celtico ci invita a riscoprire un modo di vivere che intreccia il sacro e il quotidiano. Questo percorso non è solo uno sguardo al passato, ma un’opportunità per riconnetterci con le energie che ancora permeano il nostro presente.
È noto che i Celti possedevano un sistema completo di magia, ampiamente rispettato nell’antico mondo. Diodoro Siculo e Clemente di Alessandria, un influente insegnante cristiano del II secolo, affermarono che i sacerdoti celtici della Gallia studiavano la filosofia mistica con Pitagora. Nel I secolo d.C., il retore greco Dio Crisostomo paragonò i Druidi celtici ai Magi persiani, ai Brahmini indiani e ai sacerdoti egiziani. Le nostre conoscenze attuali sulla spiritualità celtica e sulla pratica magica si basano su descrizioni greche e romane, alcune opere degli stessi Celti (principalmente provenienti da Galles, Irlanda e Scozia), canzoni popolari e fiabe, e su un considerevole numero di invenzioni immaginative. Nonostante le sfide legate a queste fonti, è possibile identificare facilmente elementi sciamanici, come pratiche magiche di guarigione, danneggiamento e guerra spirituale, nonché abilità straordinarie quali incantesimi, voli dell’anima, visioni a distanza, trasformazione animale e comprensione del linguaggio degli uccelli e degli animali.
In epoche passate, una rete di istituti formali per la formazione dei druidi si estendeva attraverso le terre celtiche, con la scuola più significativa situata sull’Isola di Mona (oggi Anglesey). Secondo quanto riportato da Giulio Cesare, l’educazione druidica, che poteva durare fino a vent’anni, abbracciava discipline come la scienza, la legge, la religione pratica, la filosofia e la storia. Dato che la scrittura era vista con diffidenza per la conservazione e la trasmissione delle informazioni importanti, ogni dettaglio doveva essere memorizzato. Purtroppo, i particolari riguardanti l’educazione sono andati perduti, e non è noto in che modo, o se, l’iniziazione magica venisse conferita formalmente. La spiritualità pagana celtica comprendeva che gli Altri Mondi soprannaturali fossero così intimamente legati a questo da sovrapporsi frequentemente e che l’elemento magico e numinoso fosse presente in ogni aspetto della vita e dell’ambiente circostante. I Celti osservavano attentamente la natura per acquisire una comprensione dei suoi segreti più profondi, sia dal punto di vista fisico che metafisico. La terra stessa era considerata animata e consapevole, conscia dell’attività umana ma intrinsecamente diversa nei suoi bisogni e nella sua natura.

Immergiamoci nei dettagli delle antiche arti divinatorie, dove il viaggio dell’anima non si limitava a una semplice predizione del futuro, ma abbracciava la ricerca nell’”altra natura” delle cose apparentemente ordinarie. Gli Awenyddion, poeti magici gallese del dodicesimo secolo, sono tra i protagonisti di questa pratica. Ne parla Giraldo Cambrensis, descrivendo il loro ingresso in uno stato di profonda estasi ispirazionale, con il corpo in movimenti frenetici, mentre intonavano canti selvaggi. Un’ispirazione così potente da costringere gli ascoltatori a estrarre le parti utili da un flusso incomprensibile di parole. Il viaggio dell’anima, eseguito attraverso l’estatica trance poetica, l’osservazione attenta delle forze naturali e il volo dell’anima verso reami sconosciuti, svela la profonda connessione tra i druidi celtici e le forze spirituali che permeavano il loro mondo. Un capitolo significativo di questa narrazione si svela nella figura di Merlino, protagonista della saga arturiana. Merlino, abituato a viaggiare nell’anima in reami non ordinari, dove spazio e tempo assumevano forme diverse, è descritto come colui che “vive all’indietro nel tempo”. Per lui, la profezia non era una pratica di divinazione, ma piuttosto un atto di ricordare il futuro. La sua capacità di profetizzare con facilità era il frutto di una connessione straordinaria con le forze mistiche che permeavano il suo essere.
La profezia celtica, tuttavia, non era solo un’esercitazione spirituale, ma aveva un intento pratico. Nei racconti delle saghe irlandesi, i druidi erano spesso chiamati a fare auspici su giorni particolari per eventi cruciali, come nascite o battaglie. Si racconta di madri che ritardavano il parto dei loro bambini fino a un giorno favorevole, secondo la profezia dei druidi. Cathbad, un druido irlandese, profetizzò che chiunque prendesse le armi in un giorno specifico avrebbe avuto una vita breve, ma con fama eterna. Un giovane guerriero di nome Cuchulainn colse l’opportunità e divenne l’eroe di un ciclo di saghe irlandesi.
La cristallomanzia praticata da Fedelm nella Tain e l’uso delle scapole di pecore da parte dei veggenti delle Highlands scozzesi ci aprono una finestra su un mondo in cui la natura è un libro aperto di simboli e presagi. Strabone, storico del I secolo a.C., ci racconta di antiche pratiche dove una persona scelta veniva colpita alla schiena con un pugnale per predire il futuro attraverso le sue convulsioni. Ogni elemento della natura, dal fumo del fuoco alla disposizione delle stelle, dalle nuvole nel cielo all’auspicabilità di certi giorni e ore, diventava un portale attraverso cui scrutare il futuro.
La pratica della divinazione celtica si estende anche al regno animale, dove gli alleati animali giocano un ruolo chiave. Parti del toro venivano usate come strumenti divinatori, e la regina guerriera Iceni Boadicea utilizzò addirittura una lepre per predire l’esito di una battaglia contro i Romani. L’osservazione attenta di animali e uccelli, come evidenziato dalle pitture rupestri ritrovate nella Valle di Camonica in Italia, rivelava un antico dialogo tra l’umanità e la natura.
Tra gli animali, i corvi emergono come figure significative nella divinazione celtica. La pratica, simile a quella ancora presente nel Tibet contemporaneo, coinvolge l’osservazione dei corvi per presagi di fortuna o avvisi imminenti. Le antiche saghe irlandesi e le raccolte di poesia orale, come il Carmina Gadelica, ci narrano di come l’avvicinarsi di corvi potesse essere interpretato come un presagio di morte imminente. In questo dialogo millenario tra druidi e natura, emergono chiaramente i legami profondi tra l’umanità e il mistero della vita. La divinazione attraverso la natura non solo svela il futuro, ma apre una porta alla comprensione più profonda della connessione intrinseca tra gli esseri umani e il mondo che li circonda. Una connessione che, anche nei secoli successivi, continua a risuonare con il richiamo degli uccelli e il susurro del vento tra le foglie degli alberi.





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