di Andrea Romanazzi
Il culto dell’Arcangelo Michele rappresenta una delle più profonde e diffuse espressioni di religiosità popolare e sacra del mondo mediterraneo. Con la sua figura di guerriero celeste, psicopompo e protettore dei confini sottili tra visibile e invisibile, san Michele ha lasciato tracce indelebili nei paesaggi, nei toponimi e nelle tradizioni devozionali di tutta l’Europa cristiana, ma in particolare nel Sud Italia, dove il suo culto ha attecchito in modo capillare fin dall’alto Medioevo.
Il Centro Studi Misteri Italiani ha dedicato ampio spazio e numerosi approfondimenti a questa figura straordinaria, indagandone le molteplici dimensioni. Tra i luoghi analizzati con maggiore attenzione vi è la Grotta di Sant’Angelo a Sant’Angelo a Fasanella (SA), straordinario esempio di santuario rupestre incastonato nel cuore del Cilento, dove la presenza di elementi precristiani si fonde con il culto micaelico in forma pienamente medievale. Abbiamo inoltre investigato le manifestazioni del culto micaelico nel territorio di Grumo Appula, dove emergono tradizioni popolari ancora vive, legate a processioni, ex voto e invocazioni taumaturgiche. Un ampio spazio è stato naturalmente dedicato all’analisi del Santuario di Monte Sant’Angelo sul Gargano, primo luogo al mondo consacrato all’Arcangelo, che funge da archetipo e matrice simbolica per tutti gli altri santuari micaelici dell’Occidente. Un ulteriore focus ha riguardato il culto altomedievale presso l’antica chiesa di San Michele ad Altamura, testimone della diffusione urbana e religiosa della devozione nell’entroterra pugliese. Tutto questo è stato integrato da un ampio dossier sugli aspetti generali del culto di san Michele, dalle sue origini orientali alla sua iconografia, dal ruolo nell’escatologia cristiana alla funzione apotropaica e guerriera.
La grotta di Sant’Angelo, situata nell’agro di Santeramo in Colle nell’Alta Murgia, costituisce un antico luogo di culto dalle origini remote. Il sito si trova in zona Lago Travato – Lamalunga , dove il toponimo lago travato indica quel che resta di un antico lago ormai prosciugato(resta una cisterna aperta a poca distanza dal sito, nel punto più declive), mentre Lamalunga indica una lunga e ampia lama che scorre parallelamente al primo tratto di via Altamura, ricca di cavità, tratturi e antichi muretti a secco. In questo contesto, incastonata alle pendici delle alture murgiane, si apre la chiesa ipogea di San Michele Arcangelo.

La storia di questo luogo sacro attraversa vari secoli e conosce diverse fasi di utilizzo. Secondo gli archeologi, la prima dedicazione della grotta al culto cristiano risale al V secolo: alcune incisioni parietali e simboli cristiani primitivi (come croci) farebbero infatti supporre che già nei secoli IV-V la cavità fosse consacrata al culto delle acque e frequentata da fedeli. La scelta stessa di insediare un luogo sacro in questa cavità potrebbe non essere stata casuale: come visto, nelle vicinanze sgorgavano sorgenti e ruscelli perenni, preziosissimi in un territorio carsico e arido qual è l’Alta Murgia e dove l’acqua era sinonimo di vita. Certamente, come altre grotte dedicate poi all’Arcangelo da Noi studiate, doveva essere venerata già in epoca protostorica associata alla Madre Terra o ad altre divinità fluviali e ctonie. La successiva trasformazione in luogo di culto di San Michele non fece che ricontestualizzare questa venerazione naturale in chiave cristiana, anziché cancellarla del tutto. Con l’avvento del Cristianesimo, i valori simbolici e terapeutici dell’acqua vennero reinterpretati: le virtù salutari attribuite alle acque, un tempo legate a divinità pagane, furono assimilate nel contesto cristiano sotto la protezione di San Michele. L’arcangelo, infatti, in alcune tradizioni viene associato alle acque come loro custode benefico. Non è un caso che tante grotte micaeliche presentino fonti o stillicidi ritenuti miracolosi. Nel più celebre santuario di Monte Sant’Angelo, le sottili concrezioni calcaree prodotte dall’acqua (chiamate poeticamente Manna di San Michele) venivano distribuite ai devoti fin dal medioevo, ritenute un dono dell’Arcangelo capace di guarire durante pestilenze e calamità.
È dunque evidente come il culto dell’acqua sia stato un ponte di collegamento tra pratiche pagane e cristiane. La sacralità rigeneratrice attribuita all’elemento idrico – fonte di vita, di purificazione fisica e spirituale – è rimasta intatta, sebbene trasposta sotto nuovi significati. Allo stesso modo, le stalattiti e stalagmiti presenti nella grotta potevano aver avuto in passato un significato sacrale (le ricerche di antropologia delle religioni suggeriscono che stalattiti mammellonari che stillano acqua lattea fossero viste come seni della Grande Madre che gocciolano nutrimento. Ebbene, nel culto micaelico queste concrezioni furono probabilmente ancora venerate, ma come manifestazioni della potenza miracolosa di Dio: non più “mammelle di dea” ma pietre benedette dall’Arcangelo (si pensi alle “pietre di San Michele” distribuite contro la peste secondo la leggenda del 1656. In particolare nella grotta di Sant’Angelo a Santeramo, possiamo immaginare che le pozze d’acqua carsica o l’umidità stessa delle pareti venissero benedette e utilizzate per riti cristiani: aspersioni, abluzioni devozionali o persino battesimi. Forse i fedeli bevevano o si bagnavano con quell’acqua ritenendola acqua benedetta dall’Arcangelo, perpetuando inconsciamente l’antico rito di attingere forza vitale dal grembo della terra. Del resto, il cristianesimo primitivo trovò spesso efficace “battezzare” i luoghi di culto naturali anziché eliminarli, incorporando elementi della venerazione precedente. Così, l’acqua che per i pagani era dimora di ninfe o dono di divinità sotterranee, divenne per i cristiani simbolo dell’azione divina: un’acqua di San Michele che risana il corpo e l’anima grazie all’intercessione dell’Arcangelo.
Per approfondire il tema dell’acqua e del culto dell’Arcangelo vi rimandiamo al nostro approfondimento
L’immagine evidenziata sotto, tratta dal rilievo del 2004 di G. Fiorentino e F. dell’Aquila, mostra la planimetria dettagliata della Grotta di Sant’Angelo a Santeramo in Colle (BA), uno dei luoghi rupestri più significativi per lo studio del culto micaelico in ambito rupestre. Le zone cerchiate in azzurro corrispondono a depressioni naturali o artificialmente scavate che ospitano pozze d’acqua, identificate nella legenda come vasche d’acqua.

Alla luce di queste evidenze, si può ipotizzare l’esistenza di un vero e proprio percorso sacro interno alla grotta, articolato in tappe e funzioni rituali che rimandano a pratiche iniziatiche o penitenziali. La presenza di acqua all’interno di uno spazio sacro sotterraneo evoca fortemente la dimensione dell’abluzione, intesa non solo in senso materiale (lavacro del corpo), ma anche simbolico e spirituale (purificazione dell’anima). Tali vasche, collocate in punti nodali della grotta – in particolare all’ingresso meridionale e lungo il percorso occidentale – potrebbero rappresentare stazioni liminari dove il pellegrino era chiamato a compiere gesti di purificazione prima di accedere alle zone più interne e “sacrali” del complesso. La disposizione delle vasche – lungo un tracciato che coincide con il “percorso certo” indicato nella mappa – rafforza l’idea di una progressione rituale all’interno della grotta, un cammino che unisce movimento fisico, trasformazione simbolica e contatto con il sacro. Non è un caso che tali spazi siano frequentemente associati, anche nella documentazione grafica del sito, a aree di decorazione pittorica o presenza di graffiti devozionali.
I Graffiti e Le Testimonianze del Culto Misterico
La presenza di graffiti paleocristiani testimonia una profonda devozione dei visitatori sin dagli albori dell’era cristiana, indicando che la grotta fu probabilmente meta di pellegrinaggi già in epoca tardoantica In assenza di fonti scritte coeve, sono proprio queste tracce materiali – architetture scavate, affreschi stratificati, iscrizioni incise – a permettere di ricostruire l’evoluzione del sito. Il primo studioso a rilevare l’importanza di tali segni fu don Ignazio Fraccalvieri nel 1975, il quale parlava di numerose incisioni raffiguranti croci di diverse tipologie, monogrammi e lettere greche. La croce, in particolare, emerge come il segno dominante, declinato in diverse forme e significati. In un’epoca in cui l’analfabetismo era la norma, la croce fungeva da firma personale del pellegrino. Le varianti più complesse, come le croci monogrammatiche – documentate nella grotta in almeno cinque esemplari – si inseriscono nel contesto tardoantico e paleocristiano, e suggeriscono una frequentazione cristiana risalente quantomeno al V secolo.

Questo dato è di particolare rilievo, poiché testimonia una precoce dedicazione del sito all’Arcangelo Michele, in linea con le trasformazioni spirituali del Mezzogiorno romano-cristiano. Tra le figure più suggestive troviamo anche la cosiddetta croce nel quadrato, simbolo complesso che associa la croce alla geometria sacra del quadrato, rappresentazione medievale dell’uomo perfetto. L’immagine, con evidenti richiami al concetto dell’homo quadratus descritto da Ildegarda di Bingen, riflette una concezione antropologica e cosmologica profondamente teologica, dove l’essere umano è visto come riflesso dell’ordine divino, segnato dal numero cinque: cinque sensi, cinque estremità, cinque proporzioni inscritte nel corpo. Particolarmente significativo è anche il graffito della croce nello scudo, attribuibile all’ambito crociato tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo.
La forma dello scudo, a punta e non più circolare, denota un’evoluzione araldica coerente con quella attestata nella Tapisserie de Bayeux e nei codici bizantini contemporanei, e diventa un valido termine di paragone per una datazione relativa. In questa costellazione simbolica si inserisce infine il pentalfa o Segno di Salomone, stella a cinque punte dalla forte valenza apotropaica.

Questo simbolo, noto anche come pentagramma o pentagono stellato, veniva considerato una chiave della proporzione divina (sectio aurea) e rappresentava l’armonia universale. Non a caso, il pentalfa veniva inciso come protezione contro influssi malvagi, talvolta associato alla croce, suggerendo un sincretismo tra dimensione cristiana e antiche pratiche magiche popolari.
Particolarmente interessante è il graffito qui raffigurato.

Le lettere centrali sembrano formare la scritta “MIHT” o “MIHTY”, letta orizzontalmente. Potrebbe essere una traslitterazione latina (da un contesto cristiano) simile a “MIHI” (per me) o “IN MIHT” → “in forza / per virtù”. Le lettere a sinistra ricordano l’unione tra XP (Chi-Rho), simbolo del Cristo vincitore, con elementi stilizzati che possono richiamare le lettere greche o latine. In basso a sinistra è presente poi un glifo che combina croce, mezzaluna e Chi-Rho, simile a quelli visti nei graffiti paleocristiani o bizantini. In basso al centro vi è poi il simbolo “π + tp6” che potrebbe essere una formula codificata, e che ricorre spesso anche in altre aree, forse numerologica o alfabetica, in cui: “π” può simboleggiare l’eternità o la perfezione geometrica. Questa iscrizione, insomma, sembra costruita con una logica magico-apotropaica cristiana. Potremmo trovarci, dunque, di fronte a una preghiera visiva o invocazione di protezione, in forma simbolica.

Oltre ai simboli, vi sono nomi e brevi iscrizioni lasciate dai visitatori. Probabilmente, come in altri santuari, i pellegrini volevano “fissare” il proprio passaggio e la propria devozione sulla roccia. Potremmo trovare formule tipiche come VOTUM (voto), oppure semplicemente il nome del devoto accompagnato da un segno di croce.
Il Culto Micaelico
Nel corso dell’Alto Medioevo la grotta di Sant’Angelo acquisì nuova vitalità, inserendosi nel fenomeno più ampio dei santuari micaelici. Con molta probabilità, a partire dal VI-VII secolo, essa venne dedicata esplicitamente all’arcangelo Michele, entrando a far parte di una rete di luoghi di culto legati a questo santo.
Sono presenti due raffigurazioni dell’Arcangelo, oggi molto deteriorare, che qui ricostruiamo

Il periodo altomedievale vide infatti il fiorire del culto micaelico in Italia meridionale, specialmente durante la dominazione longobarda (VII-IX secolo). Proprio i Longobardi, convertitisi al Cattolicesimo, scelsero l’Arcangelo guerriero come loro patrono e protettore, diffondendone il culto in grotte e alture considerate sacre. È interessante notare che un documento del 1136 fornisce la prima citazione scritta sia dell’abitato di Santeramo in Colle sia della grotta di Sant’Angelo, segno che nel XII secolo il luogo era ben conosciuto e probabilmente affidato a una comunità religiosa.

Tra XI e XIII secolo il santuario conobbe il suo apice.La frequentazione crebbe al punto che, stando agli studi recenti, fu necessario ampliare gli spazi per accogliere i pellegrini: è probabile che in questa fase venissero scavati ambienti aggiuntivi o adattati quelli esistenti a scopi liturgici e di ospitalità. Inoltre, tra il XI e il XII secolo venne edificata una chiesa in muratura soprastante la grotta. A partire dal tardo Medioevo si registra un progressivo declino. Già nel corso del XIII-XIV secolo la fama del santuario cominciò a offuscarsi e la frequentazione diminuì, complice forse lo spopolamento dell’area o lo spostamento dei principali flussi devozionali verso altri poli (come la vicina Matera o Altamura). Tra il XV e il XVI secolo il culto nella grotta cessò quasi del tutto. Le strutture in superficie vennero riutilizzate in funzione agricola e come ricovero per pastori e animali. Fu solo in anni recenti che sono state condotte esplorazioni sistematiche. Già nel 1972 don Ignazio Fraccalvieri, un sacerdote-archeologo locale, riscoprì l’ubicazione della chiesa rupestre durante ricerche sul territorio. Oggi la grotta di Sant’Angelo a Santeramo in Colle (BA), luogo di straordinaria rilevanza storica, archeologica e devozionale, è affidata alla gestione attenta e meritoria dell’Archeoclub d’Italia – sede di Santeramo, che ha avviato un’importante opera di valorizzazione culturale e territoriale. Dopo decenni di studi, sopralluoghi e segnalazioni rimaste inascoltate, l’associazione ha realizzato il Centro Visite della Grotta di Sant’Angelo, uno spazio espositivo e didattico concepito per accompagnare il visitatore lungo un percorso immersivo tra archeologia, arte rupestre e memoria religiosa. Questo centro rappresenta un risultato di fondamentale importanza, poiché permette non solo la fruizione pubblica e consapevole del sito, ma anche la sua salvaguardia e l’inserimento nel più ampio circuito culturale del Parco Nazionale dell’Alta Murgia.
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