Il Culto di san Michele Arcangelo

di Andrea Romanazzi

Il Culto Dell’Angelo
Se si traccia su una cartina geografica una linea che da Mont San Michel, in Normandia, giunge fino al Monte Tabor in Terra Santa, si scoprirà che questa tocca una serie di località legate alla figura dell’Arcangelo Michele come la sacra di San Michele in Val di Susa in Piemonte o Monte Sant’Angelo nel Gargano in Puglia. Secondo un’antica tradizione questa linea rappresenterebbe il cosiddetto “Cammino dell’Angelo” che taglia trasversalmente tutta l’Europa (Fig.1).


Questo percorso, in realtà una invenzione moderna, mette però in evidenza l’importanza europea di un culto fortemente diffuso nella cultura e nel folklore di tutto il continente ovvero quello dell’ Arcangelo Michele.

Da sempre gli angeli fanno parte del costume e del folklore di ogni Popolo, presenti nelle maggiori religioni come l’Isla, il Cristianesimo e l’Ebraismo.
Tra questi un ruolo privilgiato hanno gli Arcangeli, coloro che guidano le Milizie di Dio nella lotta contro Satana. Tra questi il più noto e il più cultuato è sicuramente Michele, che in ebraico significa “chi come Dio” condottiero dell’intero esercito Celeste, difensore del bene, nonché giudice delle anime, nonché Colui che porta in cielo la Vergine Maria come riportato nell’apocrifa Leggenda Aurea.
Il culto nasce in Oriente, in Grecia e in Asia Minore, e successivamente si consolida con i bizantini. E’ Costantino che, convertito, dedica a S. Michele un imponente santuario eretto a Bisanzio noto come Micheleion. Il culto giunse in Italia meridionale. Successivamente, con il giungere dei Longobardi attorno al 650 dopo Cristo in quelle terre, trovarono in San Michele gli stessi attributi dell’antico loro dio della guerra, Wodan, e lo adottarono come loro santo protettore. Furono sempre i Longobardi del Ducato di Benevento a diffondere poi il culto di San Michele a Pavia e nel nord della penisola e a promuovere il pellegrinaggio dalla Bretagna alla grotta di Monte Sant’Angelo, elevata a santuario nazionale, dopo la vittoria sui Bizantini l’8 maggio dell’anno 663, che essi ritennero propiziata da San Michele. Il culto dell’Arcangelo divenne ancora più popolare durante le crociate. Guerrieri e cavalieri lo invocavano per le loro imprese e per essere protetti durante la battaglia contro gli infedeli. 

Le origini pagane del culto
Il culto dell’Arcangelo, almeno in Italia, si sovrappone ad antichissimi rituali pagani. Soffermandoci sull’area di culto primigenia, come vedremo, il Gargano, in Puglia, l’Arcangelo si sovrappone a diversi culti locali. Per alcuni riprende le caratteristiche di Giove Dodoneo, da Dodona, centro greco sacro alla divinità nonché sede di un oracolo dedicato al padre degli Dei. Le predizioni, secondo quanto riportato da Erodoto nelle sue Storie, avvenivano attraverso l’interpretazione, da parte dei sacerdoti, del fruscio delle foglie degli alberi di quercia. Rituali simili dovevano essere presenti anche sul Gargano. Quando i greci infatti colonizzarono l’area, colpiti dai boschi di querce la associarono appunto a Giove. Per altri studiosi il culto si sovrapponeva e confondeva con quello di Calcante, altro noto veggente greco, forse perchè in assonanza con un precedente eroe dauno di nome Khalkos, venerato come semidio. I Greci mutarono così l’originario Khalkos in Kalkas, l’indovino omerico, mantenendo però sempre la funzione oracolare dell’area. Qui accorrevano i fedeli per chiedere i responsi, spesso trascorrendo le notti avvolti nelle pelli degli animali sacrificati. Tali pratiche ricordano certamente l’incubatio greca, già narrata da Strabone: i malati usavano dormire ai piedi della statua del dio dopo esser stati sottoposti a cerimoniali molto suggestivi e impressionanti. Riti simili li descrive anche Pausania parlando ad esempio del tempio di Ino in Laconia, celebre per gli oracoli e per i rituali del sonno incubatore. Il malato, dunque, riceveva la guarigione attraverso un’esperienza mistica consumata durante il sonno. In Abruzzo il culto dell’Arcangelo si lega invece a quello di Ercole, dio delle sorgenti e protettore della pastorizia a cui si edificano e scavavano templi rupestri sulle alture e presso i corsi d’acqua. Di qui la nascita di molti luoghi di culto lungo i percorsi della transumanza, come il tempio di Sant’Angelo a Vasto. C’è però, probabilmente, un’associazione ancora più arcaica, che vede Michele legarsi al culto della grotta e della Grande Madre. L’associazione dell’angelo con la grotta non è casuale, infatti con la nuova religione le grotte furono viste come luoghi pagani, sede di entità diaboliche e spesso ingressi per il regno degli inferi, luogo dunque da sorvegliare e da affidare al primo nemico di Lucifero, l’Arcangelo, detto anche “il principe delle acque”. Lo stillicidio di acque sature in un ambiente riparato e parzialmente illuminato porta alla formazione di concrezioni stalattitiche particolari che si accrescono per incrostazione successiva di muschi e altri organismi vegetali a costituire una massa spugnosa rotondeggiante. Queste concrezioni richiamano nell’aspetto la morfologia delle mammelle infatti al posto del capezzolo lo stillicidio mantiene sulla sommità di queste un tubicino non ancora incrostato sempre ripieno d’acqua lattescente. Nell’immaginario dell’Antico la stalattite diviene così immagine acheropita della divinità. La simbologia della lattazione infatti è trasferita, in epoca longobarda, all’Arcangelo che diviene così anche protettore della maternità. La tradizione ctonia dell’Arcangelo e delle sue acque sacre è molto diffusa soprattutto nel sud Italia e in particolare in Puglia ove, nel Medioevo, vasche naturali utilizzate dai precedenti culti di abluzione, furono denominate “culle dell’Angelo”, e molte tradizioni parlano di miracoli di Michele e delle sue acque terapeutiche.

Terribilis Est Locus Iste
Queste le parole scolpite sull’entrata del Santuario di Monte Sant’Angelo. Il Santuario è il più antico luogo di culto legato all’Arcangelo (Fig.2-3).

L’Apparizione ultraterrena in quel di Puglia è piuttosto strana e prende origine dalle vicende accadute ad un possidente terriero della zona, Gargano. “…Mentre i suoi armenti pascolavano qua e la per i fianchi dello scosceso monte, avvenne che un toro, che disprezzava la vicinanza degli altri animali, era solito andarsene da solo, al ritorno del gregge, non era tornato nella stalla. Il padrone, riunito un gran numero di servi, e cercatolo in tutti i luoghi meno accessibili, lo trova, infine, sulla sommità del monte, dinanzi ad una grotta. Mosso dall’ira perché il toro pascolava da solo, preso l’arco, cercò di colpirlo con una freccia avvelenata. Questa, ritorta dal soffio del vento, colpì quello stesso che l’aveva lanciata…”. L’evento apparve agli abitanti del luogo come uno strano prodigio e subito si rivolsero al Vescovo il quale chiese aiuto il Signore. Ecco che in una visione, tema comune che accompagnerà tutta la nostra ricerca, l’Arcangelo appare all’ecclesiastico “…Hai fatto bene a chiedere a Dio ciò che era nascosto agli uomini…Io sono infatti l’Arcangelo Michele che sto sempre al cospetto del Signore…ho deciso di proteggere sulla terra questo luogo e i suoi abitanti, ho voluto attestare in tal modo di essere di questo luogo e di tutto ciò che avviene, patrono e custode…”. La seconda apparizione dell’Arcangelo avviene in concomitanza della battaglia tra napoletani e sipontini. L’evento riportato dalle leggenda narra, in realtà, di un reale scontro avvenuto tra Bizantini e Longobardi, il popolo protetto dall’Arcangelo, attorno al 650, da cui riuscì vincitore il duca longobardo Grimoaldo I. Nella leggenda si narra che le milizie nemiche furono messe in fuga “…alcuni per le armi dei nemici, altri colpiti dalle frecce infuocate che li inseguirono fino a Napoli…”. Interessante è infine la terza apparizione dell’Arcangelo che sancisce definitivamente il culto sul promontorio “…Non è compito vostro consacrare la Basilica da me costruita. Io l’ho fatta, io l’ho fondata, io stesso l’ho consacrata. Ma voi entrate e frequentate pure questo luogo…”. Il culto dell’Arcangelo e le sue festività dell’8 maggio e del 29 settembre soppiantarono il rito dell’ incubatio: con i primi caldi a primavera, quando le greggi salivano al monte, e i primi freddi quando si apprestavano a ritornare al piano, i pastori transumanti offrivano un ariete nero in sacrificio alla divinità della grotta. Quindi dormivano nella pelle dell’animale per avere la divinatio. Anche l’episodio della freccia scagliata contro il toro può essere spiegato come un rito di oplomanzia, la divinazione con le armi, che compare nel Vecchio Testamento. La freccia che torna indietro segnala il luogo sacro.
Il Gargano e il Santuario diventano così crocevia di pellegrini, prima longobardi, poi cristiani che, prima di partire per le crociate, percorrevano la “via Sacra Longobardorum”, considerata al pari di quella che portava i pellegrini a Santiago di Compostela, un vero e proprio cammino spirituale. Le numerose epigrafi incise sulle mura del Santuario sono il ricordo indelebile (Fig.4-5).


Quasi duecento iscrizioni, infatti, attestano la presenza di fedeli all’arcangelo tra la fine del VI e la metà del IX secolo. La loro collocazione temporale è varia, brevi frasi, semplici nomi, figure geometriche, rune, croci, dimostrano una provenienza sociale eterogenea. Troviamo, ad esempio, la “firma” di Romualdo I e del duca Romualdo II che, con la moglie Gumperga chiedono protezione all’Arcangelo. Compaiono poi, tra le tantissime croci, 97 epigrafi di origine germanica: antroponimi goti, franchi, sassoni, alemanni. Tra le tante iscrizioni se ne possono ammirare alcune anche in runico, non un alfabeto vero e proprio ma un linguaggio di carattere fortemente sacrale e dottrinale che testimonia il passaggio di quelli che potremmo definire i sapienti dell’area nordica (Fig.6-7).

Si tratta di nomi di quattro pellegrini angloassoni che, tra il VII e l’VIII secolo si recarono per devozione nel santuario garganico e ne vollero lasciare traccia. Troviamo così l’iscrizione di Hereberehct, quella di di Wigfus, di Herraed ed, infine, quella di Leofwini. La presenza delle iscrizioni runiche getta luce sul legame delle popolazioni germaniche, il culto micaelico e la montagna pugliese e confermano come il pellegrinaggio fosse diventato un fenomeno europeo. Secondo la tradizione sarà dal culto micaelico del Gargano che poi nascerà quello di Mont Saint Michel in Francia. Infatti alcuni frammenti delle rocce ove, secondo la leggenda, il miles divino lasciò le sue impronte furono trasportate in altri nascenti santuari come a Cuxa, nei Pirenei, alla Sacra di San Michele in Val di Susa e in Normandia presso quello che diverrà, appunto, Mont Saint Michel. Ancora alla fine del Medioevo il santuario francese era noto come “Mont Gargan”, causa proprio la provenienza delle “reliquie”.

Il culto del Betile
E’ nella penombra che risuonano ancora, riportate in una iscrizione, tracce dell’antico culto betilico presente nelle parole del Magister Militum delle Milizie Celesti “…ubi saxa pandutur, ibi peccata hominum dimittur, haec est domus specialis, in qua quaeque noxialis actio diluitur/ qui dove le rocce si aprono vengono rimessi i peccati degli uomini questa è la dimora speciale nella quale le colpe vengono lavate…”. Secondo la tradizione popolare le pietre sacre all’Arcangelo avevano il potere di allontanare la peste “…chiunque con divozione adroprerà i sassi della mia basilica nelle case, città e luoghi si partirà diliguata la peste…”. L’uso dei pellegrini di recare in dono frammenti di roccia della grotta ebbe un vigoroso impulso proprio con la peste quando l’Arcangelo apparve al vescovo assicurando l’immunità ai devoti che portassero al collo ciottoli con l’effigie di San Michele da un lato e la croce dall’altra. Non a caso una cavità della grotta è rimasta sempre a disposizione dei fedeli che volessero cavarne pietruzze. In una commistione tra sacro e profano sarà così che le pietre della grotta, iniziano ad esser considerate reliquie, venivano usate per consacrare altari e chiese dedicate a San Michele, o poste a dosso come elementi magico-religiosi contro i mali del corpo e dell’anima. Nel museo della Basilica si possono ancora notare i piatti settecenteschi che servivano per trasportare le pietre sacre mentre l’Alberti rileva l’usanza di appendere le pietre che i pellegrini portavano sulle spalle per penitenza come metafora dei loro peccati ai rami degli alberi del boschetto sito accanto alla grotta.

Le Vie dell’Angelo in Italia

Come visto la Puglia, ed in particolare il Gargano, sono il centrum del culto dell’Arcangelo.
Vogliamo qui però approfondire il culto nella provincia di Bari.
Un luogo particolarmente legato all’Arcangelo è Gravina, dove Michele è patrono del paese. La leggenda vuole che, nel 1600 l’Arcangelo abbia protetto il paese dall’arrivo degli austriaci che vennero ricevuti “in pace” dal governatore e, immediatamente dopo, lasciarono la città. Si narra che l’Angelo sia apparso nei sogni del generale austriaco, il quale, vedendosi puntare contro la spada affilata e temendo per la sua vita, decise di ritirare le truppe. In realtà come testimoniano i siti rupestri, il culto è antichissimo come dimostra la chiesa rupestre di san Michele (fig.8),

una classica grotta naturale, poi ampliata dall’uomo nel tufo calcarenitico. All’interno sono presenti sversatoi e canaletti naturali per l’acqua che sicuramente possono essere connessi al culto delle pocce lattaie. Qui, secondo la leggenda, si consumò anche l’eccidio dei gravinesi da parte dei Saraceni durante la terza incursione nel 999, evento ricordato da un’epigrafe posta sulla parete della stessa grotta. I teschi e ossa umane qui visibili, tuttavia, più probabilmente appartengono a cadaveri traslati qui nel corso del XVII-XVIII secolo. L’8 Maggio di ogni anno è luogo delle celebrazione della Festa di san Michele delle Grotte a ricordo della leggendaria apparizione di San Michele in una grotta di Monte Sant’Angelo. In questa occasione gli abitanti del quartiere addobbano le vie con i cosiddetti “balloni”, ovvero coperte, copriletti etc…che vengono stesi tra i balconi con appesi fazzoletti, sciarpe di seta, ornamenti femminili per vario uso e biancheria intima femminile come simbolo di fertilità.
Una spettacolare chiesa-grotta è poi presente a Minervino Murge, dove il santo è festeggiato la terza domenica di Settembre, probabilmente insediatosi su un culto di Minerva, e una grotta simile è presente a Santeramo in Colle dove, tra l’altro, si trovano numerosi affreschi in stile bizantino come San Giovanni Battista, la Madonna col Bambino e ancora San Michele, questa volta non guerriero ma “incensiere”. L’ipogeo carsico, adattato al culto da monaci basiliani devoti all’Angelo, è strettamente connesso al già descritto culto delle acque di stillicidio che si raccolgono in pozze naturali nei pressi di una colonna chiamata “Leggìo” perchè ricoperta da incisioni in latino e greco che mettono in evidenza la sacralità e la frequentazione del luogo. Come risulta dagli atti del sinodo del 1595 la diocesi di Ruvo nomina San Michele come protettore della stessa e fa realizzare la chiesa di San Michele Arcangelo all’interno del centro storico oggi scomparsa. La devozione per L’Arcangelo è presente anche nella cattedrale dove sulla facciata principale appare ben visibile una statua dell’Arcangelo nonché all’interno una cappella dedicata a San Michele dove si trova una statua realizzata da maestranze pugliesi del ‘700. A Sammichele, l’Arcangelo è presente sullo stemma del comune. Il culto è legato ad una grazia che il santo concesse al paese e a tutti quelli limitrofi poiché, durante una grave siccità, la popolazione, come estrema ratio, chiese di portare la sacra statua in processione. Qualche memoria storica della comunità sammichelina narra che: al momento dell’uscita sul sagrato della chiesa, dopo un violento tuono, cominciò a scendere una pioggia che durò per qualche giorno e che mise fine ai disagi causati dalla mancanza d’acqua. A circa circa tre chilometri dall’abitato di Putignano, sorge il santuario di S. Michele Arcangelo, secondo la leggenda fatto realizzare dal pontefice San Gregorio Magno. Il Monte Laureto, dove si trova l’antro, doveva essere un luogo sacro al dio Apollo, la cui pianta sacra, l’alloro, ha dato il nome al rilievo. La grotta, dove si sente riecheggiare in sottofondo il gorgoglio dell’acqua, fu poi dimora dei monaci cluniacensi fino a quando Goffredo Normanno, Conte di Conversano, donò tutto il fondo ai Padri Benedettini di Santo Stefano. La chiesa ipogea (costruita all’interno di una grotta) attualmente presenta due edicole, una dedicata all’Arcangelo, con la statua di San Michele, realizzata all’inizio del 500 da Stefano da Putignano, e l’altra alla Madonna del Carmine. Sulle colonne laterali, è poi presente una curiosissima scena, Gesù mentre riceve un calcio nelle parti basse da un soldato. Degno di nota è infine il culto di san Michele a Palese-Santo Spirito. Palese è nato come borgo agricolo l’Arcangelo Michele Patrono a protezione del lavoro nei campi che circondavano il piccolo villaggio. Proprio intorno ad una antica cappella dedicata a San Michele si è sviluppata la religiosità dei primi palesini. La chiesa originaria venne abbattuta in favore di quella nuova chiesa dove ancora oggi gli abitanti di Palese venerano l’Arcangelo con una grande festa.

Rispondi

Effettua il login con uno di questi metodi per inviare il tuo commento:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...