di Andrea Romanazzi

La Garfagnana, terra aspra e generosa, è stata per secoli una valle in cui la sopravvivenza delle comunità montane dipendeva in gran parte dal castagno. Non a caso i contadini lo chiamavano “l’albero del pane”, poiché dalla sua farina si ricavava il nutrimento quotidiano. La castagna era vita, sostentamento, certezza di poter attraversare l’inverno. Per questo motivo ogni minaccia al raccolto era percepita come un vero disastro. Un’annata scarsa non significava soltanto meno frutti, ma fame, miseria, spopolamento dei villaggi. Nei secoli bui, quando malattie e carestie erano sempre in agguato, il timore che le castagne “andassero in malora” diventava ossessione collettiva. Ecco allora che si attribuivano le annate cattive a forze oscure: gli streghi, spiriti maligni maschili della tradizione garfagnina, capaci di rovinare il raccolto con incantesimi e maledizioni.

Contro di loro, la comunità aveva un’arma rituale: il Maconeccio, un rito rumoroso, collettivo e suggestivo, che per secoli ha risuonato nei boschi dell’alta Toscana.

Le storie popolari legate al Maconeccio nascono da leggende di paura. Una tra le più diffuse racconta di uomini che, durante la battitura delle castagne raccolte nei sacchi di canapa, intravedevano, alcune volte, strane processioni di luci che sembravano anime in cammino, senza meta precisa. Erano gli streghi, figure tipiche della tradizione garfagnina. Non semplici stregoni, ma spiriti maschi legati al mondo della notte, capaci di parlare con i morti e di farli tornare tra i vivi, dediti a fatture e malie. Le cronache popolari li descrivono, come detto, intenti a processioni notturne a cui partecipavano persino le anime dei defunti. La loro inclinazione non era quella di arricchirsi o dominare, ma di danneggiare: rovinare raccolti, far ammalare animali, terrorizzare le persone. Di notte chiamavano i viventi per nome, e chi rispondeva rischiava la vita.

In questo contesto, il Maconeccio nasceva come rito collettivo per “cacciare via” queste presenze, proteggendo i frutti preziosi del castagno. Il più antico documento noto sul Maconeccio risale al 1671. Nella Descrittione cronologica della Garfagnana, Anselmo Micotti descrive così l’usanza:

«In questa terra anch’oggi conservano un’usanza molto strana. Ogn’anno la notte di S. Michele di Settembre gli huomini vanno fuori alla campagna e come essi dicono a cacciare gli streghi, suonando campane, tamburi e scaricando archibugi e facendo altri strepiti, gridando ad alta voce – maconeccio, maconeccio – parole cred’io affatto barbare e credono in questo modo di assicurare la raccolta delle castagne dalle stregharia».

Siamo dunque di fronte a una pratica che almeno nel XVII secolo era viva e radicata, associata al giorno di San Michele Arcangelo, il 29 settembre, protettore contro il demonio.

L’usanza viene confermata anche nel 1728 da Antonio Vallisneri, celebre naturalista e viaggiatore, nel suo Viaggio per i monti di Modena. Vallisneri riporta la voce popolare e si sofferma sul significato della parola “maconeccio”. Alcuni lo intendevano come “polenta di castagne”, ma lo studioso, richiamandosi all’Accademia della Crusca, annota che il termine “maco” significa “abbondanza”. Dunque “maconeccio” sarebbe da intendere come “abbondanza di neccio”, ossia abbondanza di farina di castagne. Un secolo e mezzo dopo, nel 1879, anche Raffaello Raffaelli nella sua Descrizione geografica storica ed economica della Garfagnana parla del rito, chiamandolo “macconeccio”. Ciò dimostra che la tradizione non era scomparsa, ma sopravviveva ancora tra le comunità rurali.

La forza del rito fu tale che ancora nel Novecento se ne conservava memoria. Il professor Oscar Guidi, studioso della cultura garfagnina, raccoglie voci di anziani di Careggine che ricordavano il Maconeccio praticato fino a pochi anni dopo la seconda guerra mondiale.

Questi testimoni raccontavano che al tramonto del 29 settembre tutta la comunità si radunava in piazza. Ognuno portava un mannello di paglia, che veniva incendiato. Con le torce accese, uomini, donne e bambini si dirigevano in processione verso i castagneti, gridando frasi augurali. Al termine, tornavano in piazza e accendevano un grande falò purificatore.

Le formule raccolte da Guidi hanno il sapore di antiche filastrocche propiziatorie:

«Che bel boccone è la castagna, quest’anno chi la mangia ne sente il sapor».

«Quanta abbondanza che abbiamo quest’anno, lo ridiranno per l’avvenir?».

«Anche quest’anno abbian l’abbondanza, a crepa pancia se n’ha a mangià».

La potenza evocativa di queste parole mostra la fusione di speranza, ritualità e vita quotidiana che animava il Maconeccio.


San Michele contro gli streghi

Il legame con la data del 29 settembre non è casuale. San Michele Arcangelo, secondo l’Apocalisse (capitolo 12), è colui che sconfigge Satana e i suoi seguaci. Nella tradizione garfagnina, tra questi seguaci erano annoverati anche gli streghi. Celebrando il Maconeccio proprio nella notte di San Michele, gli abitanti della Garfagnana si sentivano protetti dal guerriero celeste. Curiosamente, però, il rito non aveva carattere religioso: i preti non partecipavano, non venivano recitate preghiere cristiane. Era un rituale laico, una lotta diretta tra gli uomini della comunità e le forze oscure che insidiavano il raccolto.

Gli elementi principali del Maconeccio erano il rumore e il fuoco. Il rumore, prodotto da campane, tamburi e spari di archibugi, serviva a scacciare gli spiriti maligni. Il fuoco delle torce e del falò finale purificava i luoghi, bruciava simbolicamente le maledizioni.

Il rito aveva anche una funzione sociale: riunire tutta la comunità in un gesto collettivo, rinsaldare i legami, trasformare la paura in azione condivisa. L’eco di quelle grida «Maconeccio! Maconeccio!» doveva diffondersi nelle valli come una dichiarazione di resistenza.

Oggi il rito non si pratica più nella sua forma originaria, ma il suo ricordo sopravvive nelle sagre della castagna che animano l’autunno toscano. Pistoiese, Lunigiana e soprattutto Garfagnana celebrano ancora la “regina del bosco” con feste popolari, rievocazioni e racconti.

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