di Andrea Romanazzi

Nell’Italia del XIX secolo, prima dell’unificazione nazionale, il Regno delle Due Sicilie rappresentava uno degli stati più estesi e influenti della penisola. Governato dalla dinastia Borbone, il regno era noto per il suo rigore amministrativo e la sua complessa burocrazia. In questo contesto, la “Carta di Permesso” era un documento fondamentale per regolare gli spostamenti delle persone all’interno e all’esterno del regno. Durante il regno di Ferdinando II, il controllo dei movimenti delle persone era cruciale per mantenere l’ordine pubblico e prevenire eventuali ribellioni. Questo documento permetteva a chiunque volesse viaggiare, sia per motivi di lavoro, commercio, o visita, di farlo in modo legale e tracciabile.

La carta era un mezzo di controllo sociale, ma anche uno strumento che garantiva ai cittadini protezione e legittimità durante i loro spostamenti. Senza un permesso adeguato, gli individui potevano essere arrestati o multati, il che rendeva questo documento di vitale importanza per la vita quotidiana.

La Carta di Permesso e la Transumanza dei Pastori dall’Abruzzo alla Puglia

Come già approfondito in altri scritti, tra le montagne dell’Abruzzo e le pianure della Puglia si sviluppava un’antica tradizione, che affonda le sue radici in epoche remote: la transumanza. Questo movimento stagionale di greggi e pastori, dal clima rigido degli altopiani abruzzesi verso i più miti pascoli pugliesi durante l’inverno, era un fenomeno di vitale importanza per l’economia rurale del Regno delle Due Sicilie. In questo contesto, la Carta di Permesso diveniva un documento essenziale, regolando e legittimando il viaggio dei pastori attraverso queste terre.

In un regno governato da un’amministrazione rigida e centralizzata come quello delle Due Sicilie, la libertà di movimento era un privilegio che doveva essere formalmente concesso. Per i pastori, la Carta di Permesso era quindi un documento indispensabile per poter effettuare la transumanza senza incorrere in sanzioni o problemi legali. La carta specificava chiaramente il motivo del viaggio — in questo caso, la transumanza — e delineava i confini della regione di destinazione, che generalmente erano le pianure della Puglia. Poiché i pastori dovevano attraversare diverse province, era cruciale che il documento fosse riconosciuto dalle autorità locali in ogni territorio attraversato. La Carta di Permesso quindi non solo legittimava il movimento dei pastori, ma fungeva anche da garanzia di protezione contro potenziali accuse di vagabondaggio o furto di bestiame.

Per ottenere la Carta di Permesso, i pastori dovevano rivolgersi alle autorità locali, come l’intendente della provincia abruzzese da cui partivano. L’intendente verificava l’identità del richiedente e, in base alle informazioni fornite, rilasciava il permesso. Questo documento, come molti altri dell’epoca, includeva dettagli personali del richiedente e veniva autenticato con un sigillo ufficiale.

Il controllo sui pastori era stretto: lungo il cammino, le forze dell’ordine e le guardie locali potevano richiedere la presentazione del permesso, e in assenza di esso, i pastori potevano essere fermati o multati. Questo sistema garantiva che i movimenti dei pastori fossero sempre sotto sorveglianza, riducendo il rischio di conflitti con le comunità locali o con altri proprietari terrieri. La Carta di Permesso indicava anche la durata della validità del documento, solitamente limitata alla stagione della transumanza.

Oggi, documenti come la Carta di Permesso sono preziosi reperti storici. Essi forniscono agli studiosi informazioni cruciali sulle pratiche amministrative, sui costumi sociali e sulle dinamiche di potere del Regno delle Due Sicilie. Conservati in archivi e musei, o in collezioni private, questi documenti sono studiati per comprendere meglio la vita quotidiana in una delle epoche più turbolente della storia italiana.

Avendo avuto l’opportunità di esaminare dal vivo una di queste antiche Carte di Permesso, il pensiero non può che volare indietro nel tempo, immaginando le vite che un documento simile potrebbe aver toccato. L’inchiostro sbiadito, il sigillo reale, i campi compilati a mano evocano un mondo ormai lontano, fatto di tradizioni, sacrifici e lunghi viaggi attraverso terre aspre e selvagge. Vi proponiamo dunque una storia, ovviamente inventata, ma basata sui dati reali che questa carta contiene, per dar vita a uno dei tanti possibili racconti legati a questo documento.

Storia Immaginaria: Il Viaggio di Nicola Romito

Era l’11 maggio del 1857 quando Nicola Romito, un giovane pastore di 30 anni originario di Rivisondoli, si presentò all’intendente della provincia di Capitanata. Figlio di Domenico, Nicola era conosciuto per la sua serietà e il suo rispetto delle tradizioni, un uomo legato alla sua terra e ai suoi doveri. Nativo dell’aspra e montuosa provincia dell’Aquila, aveva occhi castani e capelli dello stesso colore, portava la barba folta, e la sua statura giusta rifletteva una vita di lavoro e sacrifici nei campi e tra le montagne.

Nicola non era nuovo al rito della transumanza. Come i suoi antenati prima di lui, ogni anno lasciava Rivisondoli in Abruzzo per condurre le sue pecore verso i pascoli più miti e fertili della Puglia, una tradizione che segnava il ritmo della sua vita. Quella mattina di maggio, con il sole già alto nel cielo, Nicola era giunto a Manfredonia, una cittadina della Capitanata, pronto a ricevere la Carta di Permesso che gli avrebbe permesso di proseguire il suo viaggio senza problemi.

Davanti all’intendente, Nicola consegnò i documenti necessari, e dopo una breve attesa, ricevette la tanto attesa Carta di Permesso, firmata dal sindaco di Manfredonia. Il documento, semplice ma essenziale, riportava tutte le informazioni personali di Nicola: il nome, l’età, il luogo di nascita, e i dettagli fisici che lo identificavano con precisione. La carta, valida per sei mesi, avrebbe accompagnato Nicola durante il suo soggiorno in Puglia, garantendogli protezione e legittimità durante il suo lavoro nei pascoli. Il costo del permesso era di 20 grana, una somma che Nicola pagò senza esitazione, consapevole dell’importanza di quel documento per la sua attività. Con la Carta di Permesso ben custodita, Nicola riprese il cammino, guidando il suo gregge verso i rigogliosi pascoli pugliesi. I mesi estivi passarono rapidamente tra i lavori quotidiani, la cura delle pecore e la preparazione per il ritorno. Nicola era un uomo di poche parole, ma di grande dedizione; ogni giorno seguiva con attenzione il ciclo della natura, curando il gregge e garantendo che ogni pecora fosse in salute.

Il 22 ottobre 1857, con l’arrivo dei primi freddi, Nicola si preparò a ritornare a Rivisondoli. Il viaggio di ritorno era sempre un momento speciale, una sorta di rito di chiusura del ciclo annuale. Le pecore, ingrassate dai pascoli pugliesi, erano pronte per affrontare l’inverno tra le montagne abruzzesi. 

Con la Carta di Permesso  e il gregge in ordine, Nicola intraprese il viaggio di ritorno verso l’Abruzzo. Attraversò le pianure pugliesi, salì le colline, e infine, dopo giorni di cammino, arrivò alle amate montagne di Rivisondoli. Al suo ritorno, la comunità lo accolse con calore; il ritorno di un pastore dalla transumanza era sempre un evento che segnava l’inizio dell’inverno e il ritrovo delle famiglie.

Nicola, soddisfatto e sereno, ripose la Carta di Permesso tra i suoi documenti più preziosi, consapevole che quello era più di un semplice pezzo di carta: era la testimonianza di un anno di lavoro, di una tradizione antica e del suo ruolo nel perpetuarla. Con l’arrivo dell’inverno, Nicola e il suo gregge si prepararono per affrontare i mesi freddi, pronti a ripetere, l’anno seguente, il ciclo della vita pastorale che tanto amava e rispettava.

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