di Andrea Romanazzi
Questo articolo è una virtuale prosecuzione di un mio precedente sull’illuminismo napoletano già pubblicato. Il XVIII secolo, a Napoli, è un periodo ricchissimo di contraddizioni durante il quale convivono due aspetti, quello magico-misterioso e quello scientifico-illuministico. Un luogo poco conosciuto della città di Napoli, ma di ineguagliabile bellezza, punto di incontro tra scienza e mistero è certamente la Farmacia degli Incurabili, dove, tra l’altro, sono state girate alcune scene del bellissimo film di Ferzan Özpetek, Napoli velata. Fa parte del complesso di Santa Maria del Popolo, sulla collina di Capo napoli, una delle zone della città a ridosso del centro storico, sicuramente uno dei luoghi di incontro più importanti tra scienza e magia, pietra miliare della storia della scuola medica italiana nonché noto per la sua meravigliosa farmacia. Qui arte e medicina, assistenza ed estetica, cura del malato ed alchimia si coniugano in un unicum europeo.
Il complesso comprende, oltre l’oltre la famosa Farmacia, un Ospedale e la Chiesa di Santa Maria del Popolo, meravigliosa testimonianza del Settecento partenopeo (Fig.1).

In realtà il primo nucleo del complesso è molto più antico, sorge nel 1524 per volere di Maria Lorenza Longo che decide di fondare questo ospedale per i malati incurabili di sifilide, malattia che la aveva colpita e paralizzata.Dopo qualche anno dalla sua costruzione la Longo si fa monaca di clausura fondando l’ordine delle Trentatrè, che accoglieva, all’inizio, prostitute convertite ammalate di sifilide che erano state curate presso l’ospedale. Con gli anni l’ospedale diviene centro di eccellenza medica, dove lavoreranno medici che poi furono addirittura santificati come san Gaetano Thiene e san Giuseppe Moscati ed è ancora oggi in attività, unico al mondo con una storia così lunga di oltre 500 anni. Nel Settecento viene realizzata una annessa farmacia da Bartolomeo Vecchione composta da due sale ancora oggi visibili con l’originaria scaffalatura completamente in legno, sulla quale sono presenti circa 400 preziosi vasi in maiolica dell’epoca, realizzati da Donato Massa (Fig.2).

Il cortile vanta due fontane storiche, gli scaloni monumentali e il “pozzo dei pazzi”, un pozzo dove venivano calate le persone in stato di agitazione per farle calmare. Dal 2010 una parte del complesso, inclusa la storica farmacia e la chiesa di Santa Maria del Popolo, sono entrate a far parte del “museo delle arti sanitarie di Napoli”, dove sono esposti documenti di archivio, arredi, argenteria, sculture, strumenti sanitari risalenti all’antico ospedale (Fig.3-4-5-6).



La mammana e la magia popolare
Abbiamo parlato di sifilide ma ben presto l’ospedale diviene noto per aver dato i natali alla branca della ginecologia. Per secoli il parto è stato considerato un affare di donne, legato alla natura, quindi, soggetto a riti, superstizioni ed abitudini che non si erano evolute con il corso della scienza. La stessa medicina ufficiale per lungo tempo si era sempre disinteressata a tale argomento considerandolo una scienza “impura”, come impuro era il corpo della donna. Proprio per questo il parto e la crescita del bambino, affidata più all’esperienza e alla superstizione che alla scienza, rimaneva in un misterioso limbo che, purtroppo, portava a molte morti di parto. Fino al Cinquecento la capacità di affrontare e risolvere un problema ostetrico era affidato alla “mammana”, levatrice che diveniva vera e propria autorità nel villaggio. Il suo operare era una via di mezzo tra tecniche manuali dettate dall’esperienza e ricordi dell’antica magia pagana. Così, ad esempio, si usava far mangiare alla partoriente della ruta, pianta cheera ritenuta sacra a Ecate. L’idea era che, ingerendo tale erba, il sangue si sarebbe fatto “amaro” e dunque immune dai malefici che potevano essere stati lanciati contro la puerpera.Altra curiosa credenza era quella che considerava la polvere raschiata dalle edicole votive uno strumento utile per facilitare il parto, come è testimoniato nelle tradizioni venete e marchigiane. In Umbria, invece, per facilitare l’apertura dell’utero, la donna che al momento del parto si trovava alla destra della partoriente doveva scucire la tasca della sottana dicendo: “Allargati natura, come allargo questa fessura”.Allo stesso modo, si usava ungere gli usci delle case con olio di lupo o di porco o con la pece d’abete. L’unzione era di per sé simbolo di abbondanza, ma aveva anche un significato metaforico: la porta era simbolo della vagina femminile e l’olio era il liquido sacro che permetteva di agevolare la nascita. Sempre per evitare gli aborti, le donne pugliesi portavano un nastro nero attorno alla vita al quale era legato un osso girevole posizionato su un asse d’argento forato e fatto indossare preventivamente a un bambino durante il Battesimo. La forma e il meccanismo dell’oggetto non erano casuali; se, infatti, streghe e demoni avessero tentato di impossessarsi dell’osso questo, girando, sarebbe sfuggito alle loro prese e, così, il bimbo sarebbe rimasto al sicuro nella pancia della mamma. Un amuleto molto diffuso era poi la “pietra d’aquila”, nota in Puglia come petra prena. Portata al braccio o al collo durante la gestazione per attirare il feto verso l’alto ed evitare l’aborto, allo stesso modo, al momento del parto essa veniva legata alle caviglie per facilitare l’uscita del feto.
Il parto e la scienza
Come detto, dunque, tutto ciò che circondava il parto era legato a magia e conoscenza pratica. Non mancavano eccezioni, ed infatti si deve alla Scuola Medica Salernitana un primo interesse nei confronti di tale argomento da un punto di vista scientifico. Qui doveva operare la prima celebre dottoressa della storia della medicina una certa Trotula o Trottula De Ruggiero, attiva a Salerno nei secoli XI e XII. Non se ne sa molto, alcuni dubitano fosse realmente di sesso femminile, ad ogni modo è a lei che dobbiamo il primo trattato scientifico sull’argomentoDe passionibus mulierum seu de remediis muliebris et eorum cura, che contiene interessanti osservazioni ginecologiche e ostetriche, oltre ai consigli in caso di alterazioni mestruali e all’indicazione di tecniche di protezione del perineo durante il parto. Nel 1596 viene scritto da Scipione Mercurio il primo trattato italiano di ostetricia: La comare o raccoglitrice, anche se è solo nel 1688 che troviamo il primo testo riferibile all’ostetricia moderna scritto da Francesco Mauriceau in lingua francese. Mosche bianche e comunque legate più a teoria che alla pratica. Infatti le donne in Italia non sapevano leggere, figurarsi se avevano la possibilità di studiare libri in latino.Fino al Settecento la teoria e la pratica dell’ostetricia erano, dunque, completamente separate, la prima affidata allo studio scientifico maschile, la seconda alla praticoneria femminile. Nel corso del 1700, sotto l’impulso delle ricerche sull’anatomia sulla fisiologia degli organi genitali, si iniziò a sviluppare, però, una vera e propria scuola medica interessata alla gravidanza e al parto, che porterà alla nascita della figura del chirurgo-ostetrico. Anche in quest’ambito il Regno di Napoli si distingue, in Italia, come fortemente innovatore. E’ qui che nel 1787 nasce la moderna “arte ostetricia” femminile. Per volontà della regina Maria Carolina,nel 1785 giunge a Napoli Teresa Ployant, che divieneostetrica maggiore e maestra presso la sala di maternità degli Incurabili. Pubblica il primo il saggio “Breve manuale dell’arte ostetricia di Teresa Ployant” (Fig.7),

dove, per la prima volta, con metodo scientifico si parla della cura delle donne durante la gravidanza, dell’aborto, dei parti gemellari, delle cure del neonato e così via…Fonda presso l’Ospedale degli Incurabili la prima scuola di ostetricia italiana. Secondo Teresa le levatrici dovevano, inoltre, dimostrare di essere donne adatte a condurre a buon esito i parti, ma per fare ciò dovevano imparare le procedure corrette e quelle sbagliate, le nozioni di anatomia, saper riconoscere “i segni della pregnezza”, dei parti naturali e difficili, essere pronte a reagire ad ogni situazione con i rimedi giusti.Era davvero importante che la mammana conoscesse perfettamente l’anatomia femminile. Per questo ella descrive in modo dettagliato tutte le parti esterne ed interne dell’apparato riproduttivo femminile. Nel 1812 viene istituita la Clinica Ostetrica, con lo scopo di istruire gli studenti di Medicina sull’Ostetricia con lezioni teoriche e dimostrazioni pratiche sui parti “malconformati”. L’ospedale degli Incurabili era diventato una eccellenza.
La Farmacia degli Incurabili
Veniamo ora alla Farmacia. Nel Settecento si decidedi realizzare nel complesso una nuova spezieria, affinando i lavori all’ingegnere Bartolomeo Vecchione. Negli anni immediatamente successivi essa diventa centro importante per la produzione di farmaci, droghe e sciroppi. Eppure ancora magia e scienza convivono tra tali mura. Dappertutto sono nascosti bafometti e volti nascosti ad indicare “una verità che non può essere svelata”.Al soffitto troviamo il dipinto di Pietro Bardellino che rappresenta Macaone, figlio di Ippocrate, che cura un soldato ferito, forse Menelao. In bella mostra, nella sala principale, troviamo due sculture rappresentanti il parto. Da una parte quello naturale, dall’altra quello assistito attraverso il cesareo (Fig.8).

Sono facilmente riconoscibili i punti di sutura e dunque l’immagine dei primi interventi chirurgici, frammisti però alla magia e superstizione. Così l’utero viene ritratto con un diavolo messo di traverso che, secondo l’idea popolare, impediva la normale uscita del feto.In un misto tra chimica e alchemia, dunque, tra meravigliose maioliche, tele e raffigurazioni del Di Fiore come l’allegoria dell’utero virginale, tra vasi in ceramica decorati, ecco che la spezieria vendeva ancora prodotti farmaceutici misti a prodotti legati al mondo del superstizioso come mandibole, ossa e denti di animali.
La Teriaca o Elisir di lunga vita
Tra i fortissimi profumi di erbe antiche e miracolosi farmaci, sciroppai, unzionari, medici, fisici e cerusici, ritiravano personalmente i prodotti dalla farmacia che fu, per molti secoli, punto di riferimento per il commercio dei medicinali destinati, più che altro, a nobili e regnanti. E’ in questo ambiente, infatti, che troviamo un curioso artefatto,una urna marmorea, realizzata da Crescenzio Trinchese, contenente la famosa Teriaca o Triaca, l’immancabile «elixir di lunga vita», un rimedio che sarà venduto sino ai primi anni del Novecento basato sulla carne di vipera e decine di altre eterogenee sostanze, compreso l’oppio (Fig.9).
L’elisir dell’Immortalità è un tema da sempre presente nella storia alchemica del nostro paese. L’interesse per tale preparato lo troviamo in diversi documenti di Ruggero Bacone inviati al papa Clemente IV ove appunto si parlava dell’arte di “khem” e dell’elisir di longevità. Roma, infatti, non era estranea a tali ricerche magiche come testimoniato da numerosi trattati di studiosi e alchimisti che si avvicinarono a questa disciplina sempre all’interno delle mura Vaticane. La ricerca dell’elisir di lunga vita non era infatti osteggiato dal pensiero cristiano, anzi, ad esempio nella condanna portata da Giovanni XXII agli alchimisti nel decretale ‘Spondent quas non exhibent’ nonsi menzionava la ricerca dell’elisir, ma solo il problema della falsificazione dell’oro. Ecco perchè Giovanni da Rupescissa, ad esempio, poté scrivere il suo “De consideratione quintae essentiae” nel carcere papale di Avignone senza che questo aggravasse la sua posizione. Questa ricerca del medicamento miracoloso non poteva mancare a Napoli. Nasce la Teriaca. Si narra che la preparazione di tale mistura sia nata in Asia Minore per volere di Mitride il Grande, ossessionato dalla paura di essere avvelenato. Sarà poiAndromaco il Vecchio, medico dell’Impero Romano, a perfezionare la ricetta aggiungendo, ad esempio, la carne di vipera, ingrediente poi rimasto per secoli. L’elisir fu sempre più studiato e migliorato fino a quanto Galeno gli aggiunsepiù di sessanta ingredienti. Oggi ne conosciamo vari, la già citata carne di vipera femmina catturata dopo il letargo invernale e proveniente dai Colli Euganei, oppio, cinnamomo, rabarbaro, mirra, balsamo orientale, gomma arabica, castoro, calcite e molto altro ancora. Panacea di tutti i mali, era usata contro l’avvelenamento, la febbre, l’emicrania, la pazzia, la dissenteria. Tra i saggi più noti dedicati a questo farmaco troviamo “Della Theriaca et del Mithridato libri due”, scritto nel 1572 dal medico e alchimista Bartolomeo Maranta.Il preparato poteva essere utilizzato per più di trent’anni, senza scadere mai. Come già detto la Farmacia degli Incurabili fu tra le principali produttori di Teriaca. Era conservata e venduta sotto forma di una mistura grassa in una enorme urna oggi ancora visibile. Nel 1764 Napoli fu colpita da una epidemia di « febbre petecchiale », detta anche « febbre dissenterica» o cholera. Si è calcolato che, in sei mesi, si ebbero 45 mila morti in Napoli, 300 mila in tutto il Regno. Ebbene, tra i tanti rimedi consigliati come china-china, succo di limone, vino, ecc. vi era la triaca e l’acqua teriacale. All’inizio dell’Ottocento la produzione di Teriaca viene affidata al Real Istituto di Incoraggiamento alle Scienze Naturali di Napoli, fondato nel 1778 da re Ferdinando IV di Borbone. Il re, infatti, resosi conto delle potenzialità economiche del composto, nel 1779 ne impone il monopolio statale con l’obiettivo dichiarato di proteggere dalle teriache contraffatte. La novità, dunque, era che essa, preparata a cura di una istituzione scientifica di tutto rispetto, doveva essere l’unica in vendita, in una sorta di battaglia economica con quella proveniente da Venezia. La fama di tale farmaco non aveva soluzione di continuità, se ancora Gennaro de Rosa, nel 1850 scriveva “…Qual rimedio può stare a fronte della teriaca pei beni che ha sempre recati all’umanità, per tanti secoli, sotto qualsivoglia sistema, tra tutte le mani, in tutte le parti del mondo? Di qual farmaco può ripetersi con più convenevolezza che curi ‘tuto, celeriter et jucunde ‘? …” rievocando la solenne cerimonia alla quale di recente aveva assistito per la preparazione della teriaca di Andromaco. Il suo consumo era così diffuso che alle farmacie era fatto obbligo di esserne sempre fornite ed in grado di mostrarla in occasione di eventuali ispezioni. Solo con l’Unità di Italia cadde il diritto proibitivo di produzione, Napoli si avvia verso la sua decadenza, oggi la Farmacia è divenuta una attrazione turistica.





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