di Andrea Romanazzi
I canti natalizi rappresentano uno dei simboli più emblematici delle festività, portatori di gioia e spiritualità. La loro melodia incanta, le parole evocano immagini di calore domestico e di comunità, mentre il loro messaggio unisce persone di tutte le età. Ma dietro queste dolci armonie si cela una storia ricca di tradizioni e significati che si intrecciano con la cultura popolare e le radici più profonde dell’umanità.
In particolare questi canti assumono un significato speciale quando diventano un evento comunitario, con gruppi di cantori che, casa per casa, portano la loro musica mantenendo viva una pratica antichissima. In Grecia, questa tradizione assume il nome di Kálanda, una parola che affonda le sue radici nel periodo precristiano. Originariamente legati a rituali pagani, i canti delle Kálanda erano intonati per augurare fertilità, fecondità e abbondanza, elementi essenziali per una società agricola. I canti, eseguiti principalmente da bambini e giovani, venivano accompagnati da strumenti semplici come tamburi e flauti, con lo scopo di allontanare gli spiriti invernali e propiziare il ritorno della luce e del calore. in Romania, invece, una tradizione simile si è sviluppata attraverso i canti noti come Colinda, eseguiti da gruppi di cantori, spesso vestiti con abiti tradizionali, che attraversano i villaggi portando messaggi di speranza, pace e abbondanza. Ogni villaggio conserva melodie e testi unici, tramandati oralmente di generazione in generazione, rendendo ogni esibizione un momento di connessione con le proprie radici culturali.
La Misteriosa notte dei Fornai
Torniamo però in Italia e raggiungiamo ora Toritto, in provincia di Bari, dove ancora oggi, nella notte dell’antivigilia di Natale, ossia tra il 23 e il 24 dicembre, le strade si popolano di gruppi di cantori e musicisti – un tempo garzoni dei forni, da cui il nome “fornai” – che intonano antiche melodie natalizie davanti alle case, ricevendo in cambio cibo, bevande, offerte e auguri. Questa pratica, densa di significati religiosi, sociali e culturali, non solo conserva un legame profondo con la storia locale, ma riflette anche la capacità di una comunità di mantenere viva la propria identità attraverso la musica, il racconto orale e la condivisione di momenti di festa.
Origini storiche e contesto geografico
Per comprendere appieno la “notte dei fornai” di Toritto, è necessario collocare questa tradizione all’interno del contesto territoriale e storico dell’Alta Murgia barese, un’area caratterizzata da altopiani carsici, paesaggi brulli e un’economia tradizionalmente agro-pastorale. Proprio l’ambiente rurale e la dimensione comunitaria tipica dei piccoli borghi hanno favorito, nei secoli, la nascita e il radicamento di riti collettivi legati alla terra, alle stagioni e alle ricorrenze religiose.

Secondo le testimonianze orali e i documenti storici rinvenuti, la pratica dei “fornai” risale ai primi anni del XX secolo. All’epoca, i garzoni dei forni del paese – per lo più giovani apprendisti panettieri – giravano di notte per le vie, fermandosi davanti alle case e intonando canti a tema natalizio.
Elementi principali, oltre al canto, sono la questua e il forno comunitario.
l forno sociale, conosciuto anche come forno comunitario, era un elemento fondamentale nella vita quotidiana delle comunità rurali e dei piccoli centri abitati. Prima dell’introduzione dei forni domestici e dell’industrializzazione della panificazione, questo spazio rappresentava non solo un luogo per cuocere il pane, ma anche un punto di ritrovo e socializzazione per gli abitanti del villaggio. Spesso collocato in una posizione centrale rispetto al borgo, poteva essere di proprietà collettiva, o appartenere al signore locale, ma era aperto a tutti i membri della comunità. Il fornaio non era quindi il proprietario del forno ma colui che ne conosceva le dinamiche la gestione della temperatura e i tempi di cottura, assumendo talvolta il ruolo di mediatore tra la comunità. Egli ritirava i panificati impastati dalle famiglie e identificati attraverso l’uso dei timbri per il pane, che permettevano di riconoscere i propri prodotti una volta sfornati. Il Fornaio, in cambio del lavoro, aveva una percentuale sul prodotto delle famiglie. Ebbene, qui si inserisce l’altro aspetto della notte dei fornai, ovvero attraverso canti e questua si chiedeva un “aumento” della retribuzione in panificati e dolci. I Garzoni soprattutto, dopo il duro lavoro notturno di preparazione del pane e dei dolci, portavano con i canti un augurio di pace e prosperità alle famiglie del vicinato sperando in qualche regalia di cibo per affrontare meglio il Natale. E’ la tradizione della “strenna”, pratica che trae le sue radici dalle festività romane dei Saturnalia, caratterizzate dallo scambio di doni augurali. Durante il periodo delle celebrazioni romane dei Saturnalia che si svolgevano proprio tra il 17 e il 23 dicembre, le persone scambiavano doni augurali come segno di prosperità e buon auspicio per il nuovo anno. Nel corso del tempo, la tradizione della strenna si è evoluta, mantenendo il suo significato di doni augurali durante le festività natalizie, sebbene il contesto e le pratiche abbiano subito variazioni culturali e religiose.
Nel caso specifico di Toritto, la questua dei “fornai” aveva una dimensione circolare e rituale: un gruppo di giovani, spesso guidato da un “capo” più esperto, partiva dal forno principale del paese la sera del 23 dicembre, subito dopo aver sfornato il pane per le festività, e iniziava un percorso itinerante che sarebbe durato l’intera notte. Elemento importante è poi il repertorio musicale. Nonostante sia l’elemento più caratteristico, esso è però anche il più tardo. Secondo i racconti di Vito Lisi, decano dei fornai e memoria storica del paese, attorno ai primi anni del Novecento, accanto ai garzoni impegnati nei canti, comparve un suonatore di chitarra battente che, rimasto vedovo, chiedeva in dono dolci da portare ai suoi figli. Fino agli anni Sessanta del secolo scorso, il canto della questua rimase solo accompagnato dalla chitarra battente, successivamente venne affiancata dalla chitarra francese e dalla fisarmonica, arricchendo il carattere musicale di questa tradizione, che intrecciava espressioni di bisogno e solidarietà con il patrimonio culturale e musicale del territorio. Tra i canti di tradizioni, oltre alle tarantelle, spicca la “pastorellë”, una variante locale della celeberrima “Tu scendi dalle stelle”, il canto natalizio per antonomasia in Italia. In particolare la “pastorellë” assume nella tradizione di Toritto una connotazione particolare: arricchita da inflessioni dialettali, melodie antiche e talvolta strumenti di accompagnamento come la fisarmonica, il tamburello o la zampogna, si trasformava in un momento di raccoglimento, di gioia e di preghiera collettiva. Da un lato celebrava la nascita di Gesù, dall’altro onorava la generosità di chi aveva aperto la propria casa ai musicisti. Il canto, in questo senso, era un mezzo per suggellare un patto di reciproca riconoscenza tra ospiti e visitatori, un legame che si rinnovava ogni anno e che accresceva il senso di appartenenza alla comunità.
La celebrazione religiosa all’alba
Il rito dei “fornai” non si concludeva solamente con la distribuzione di cibo e denaro, né si limitava alla sfera privata delle abitazioni. La tradizione prevedeva infatti, nelle prime ore del mattino del 24 dicembre, una speciale funzione religiosa in chiesa. Qui, i “fornai” avevano l’opportunità di esibirsi nuovamente, cantando i loro brani natalizi davanti all’intera comunità riunita. Questa messa all’alba, che precedeva la vigilia di Natale vera e propria, era un momento denso di significato: le melodie ascoltate nella notte, diffuse strada per strada, si ritrovavano tra le mura sacre del luogo di culto, rafforzando la dimensione spirituale del gesto.
In questo modo, la tradizione dei “fornai” attraversava più piani della vita comunitaria: la dimensione sacra della chiesa, la dimensione domestica delle case e la dimensione pubblica delle strade. Il Natale, con la nascita del Redentore, veniva così celebrato in ogni ambito del vivere quotidiano, dal privato al collettivo, dal religioso al profano, in un intreccio di significati che rende questa tradizione tanto ricca e multiforme.
La trasformazione del rito nel tempo
Negli ultimi anni, nonostante i mutamenti socio-economici, il progresso tecnologico e della diversa organizzazione del lavoro, le amministrazioni locali hanno cercato di preservare la tradizione, e ancora oggi, infatti, si possono ascoltare gruppi che animano la notte tra il 23 e il 24 desiderosi di mantenere vivo l’antico rito.
L’importanza della “notte dei fornai” non risiede soltanto nella sua dimensione folcloristica o nella piacevolezza dei canti, ma anche nel suo valore di “bene culturale immateriale”. Oggi, istituzioni culturali, associazioni locali, appassionati e ricercatori collaborano per documentare, studiare e tutelare questa tradizione.
Terminiamo con un link a rare registrazioni di frammenti di canti dei “Fornai” tratti dall’Archivio Sonoro di Puglia – Biblioteca Nazionale di Roma





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