di Andrea Romanazzi

La festa del Natale affonda le sue radici in epoche molto anteriori alla nascita di Cristo, quando l’umanità viveva immersa nell’immanenza della Natura, la madre feconda che mostrava i suoi prodigi con un linguaggio misterioso. L’uomo antico conosceva bene il ritmo dei cicli: morte e rinascita, buio e luce, inverno e primavera. Tutto seguiva una spirale eterna, e proprio questo movimento assicurava la continuità della vita.

In particolare momenti dell’anno, l’essere umano cercava di ingraziarsi la Grande Madre attraverso rituali propiziatori, volti a ridestare il suo grembo dal torpore invernale e a favorire prosperità e fecondità. Dentro questa cornice si colloca la festività del Natale, chiamata anche Yule: il Solstizio d’Inverno, quando il Sole — principio maschile fecondatore — raggiunge il suo punto più debole. Tra il 22 e il 24 dicembre, la Grande Madre lo “partorisce” di nuovo, affinché possa tornare a crescere e, più avanti, riportare fertilità alla sua sposa, diventando insieme figlio e amante nel grande mito cosmico.

Molti aspetti del Natale cristiano ripropongono, con abiti nuovi, questi antichi retaggi. La nuova religione ha spesso assorbito i rituali precristiani, cercando di ricoprirli, ma essi continuano a riaffiorare tra le pieghe del racconto liturgico: simboli, gesti e leggende che conservano la memoria della loro origine arcaica. In questa continuità di forme e significati si coglie tutta la profondità di una festa che, da sempre, celebra il ritorno della luce nel cuore del buio.

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Simbolo per antonomasia del Natale è l’albero, elemento che, al di là della fede religiosa, rappresenta nelle case e nelle città la festa nella sua dimensione più mistica. L’albero appare adornato di luci, decorazioni, fili luminosi e sfere colorate: ornamenti di gioia che scaldano il cuore e che, dietro l’apparenza festosa, conservano memorie di antichi riti pagani legati alla fertilità e alla procreazione, oggi riproposti sotto forme nuove, spesso consumistiche, ma ancora riconducibili ai loro arcaici significati.

Secondo molti studiosi, l’albero di Natale avrebbe una derivazione nordica, in particolare germanica, e sarebbe legato al culto arboreo. Lévi-Strauss osservava: «se nei tempi preistorici non vi fosse mai stato un culto degli alberi che poi si è perpetuato in diverse usanze folkloristiche, l’Europa moderna non avrebbe “inventato” l’albero di Natale». In realtà la tradizione ha origini molto più antiche e si diffonde nell’area indoeuropea, dove la concezione sciamanica dell’albero è centrale. Studiando le religioni del passato, infatti, si incontra quasi ovunque il riferimento all’Albero come Asse Cosmico: il pilastro centrale intorno a cui si organizza l’Universo.

Nel tempo, questo simbolo ha assunto molti nomi: Albero Cosmico, Asse del Mondo, Albero Rovesciato, Albero della Vita, Albero della Conoscenza, Albero Alchemico, Albero Mistico, Albero della Libertà, e altri ancora. Nella tradizione nordica l’incarnazione più celebre è il frassino Yggdrasill, l’asse del Mondo, ma anche cavallo a otto zampe la cui scalata conferisce a Odino il potere della Conoscenza. Tra i Sassoni l’universalis columna che sostiene il tutto è chiamata Irminsul, mentre in Mesopotamia l’albero della vita è noto come Kiskadu. Buddha ottiene l’Illuminazione sotto un Ficus sacro, mentre Adamo desidera la conoscenza del Dio monoteista sotto l’albero piantato da Jahveh, che nel giudaismo diverrà la Menorah, il candelabro a sette bracci che riproduce simbolicamente l’Albero dei Sette Cieli. Nella tradizione araba l’albero universale è la Palma, con la chioma nel fuoco del cielo e le radici nell’acqua.

Per gli Altaici, nel punto d’origine del mondo cresce un gigantesco albero i cui rami raggiungono la dimora di Bai-Ulgan, il Dio Progenitore; tra gli Jacuti, l’albero primordiale è Yjyk-Mar, che si innalza fino al nono cielo dove abitano le anime degli sciamani. Nell’Asia settentrionale, l’albero cosmico è una betulla chiamata Udeshi Burkjan, il “guardiano della Porta”; in Cina, l’albero dei “nove Cieli” si chiama Quian mù.

Mircea Eliade, nella sua Storia delle idee e delle credenze religiose, descrive con precisione questo simbolismo: l’asse del mondo si manifesta nei pali che sostengono le abitazioni, nelle colonne isolate, nei monti sacri e negli alberi rituali. Ogni insediamento umano, secondo tale visione, si proietta simbolicamente nel “centro del mondo”; ogni casa, ogni altare, ogni palo centrale o apertura verso l’alto crea una rottura di livello che permette il contatto con il Cielo, e quindi con il divino. L’albero del mondo unisce così le tre regioni cosmiche: le sue radici penetrano la profondità terrestre, il tronco abita il mondo degli uomini, e i rami toccano le regioni celesti. Gli déi si nutrono dei suoi frutti; gli sciamani scalano la betulla rituale per ascendere al cielo; i tamburi sacri sono costruiti col suo legno; e nella yurta le sue immagini sono riprodotte come richiami costanti al suo potere.

Ma l’albero non è soltanto pilastro sciamanico: è anche simbolo del culto vegetazionale evocato all’inizio. E non è un caso che in gran parte delle cosmogonie l’Albero sia la prima grande epifania divina. Il compagno e il Figlio della Dea, nei miti arcaici, è spesso una divinità vegetazionale e nasce a sua volta dall’elemento arboreo.

Un esempio celebre è il mito di Adone, venerato in Fenicia come Eshmun o Aleyn, e nell’area siro-palestinese come Tammuz o Dumuzi. Il racconto parla di Mirra, innamorata del padre Teia, ingannatore e ignaro. Quando la giovane fugge nei boschi inseguita dal re, gli dèi la trasformano in un albero; dopo nove mesi, una fessura del tronco genera Adone. In un’altra variante il padre è Cinira, re di Cipro: ma il bambino nasce sempre dall’albero, segno della sua natura vegetazionale. Adone cresce, diventa bellissimo ed è conteso da Afrodite e Persefone, finendo poi vittima della gelosia di Ade, che si trasforma in cinghiale e lo uccide.

Un mito affine è quello di Attis. Il demone androgino Agdistis, nato dal seme di Zeus, viene evirato dagli dèi, e dal sangue del membro reciso nasce un mandorlo. La figlia del fiume Sangario, Nana, mangia un frutto di quell’albero e rimane incinta di Attis, di cui Cibele si innamorerà. Il giovane finirà per evirarsi sotto un pino, morire e infine trasformarsi egli stesso in un albero sacro.

Il tema della donna vergine che mangia un frutto e diventa gravida ricorre in numerosi miti e fiabe popolari: è sempre la stessa idea dell’albero come manifestazione del dio vivificatore. È il simbolo del concepimento naturale, del grembo cosmico che dona la vita.

Anche la tradizione di Osiride in Egitto riflette questo schema. Il dio, rinchiuso in una cassa costruita da Tifone, viene trasportato dal Nilo fino a Biblo, dove la cassa rimane intrappolata in un albero miracoloso: il re del luogo lo abbatte per farne una colonna del palazzo. Osiride, una volta ritrovato da Iside, viene poi smembrato da Seth, che disperde i pezzi nel Nilo: è il tema della dispersione rituale, della morte della divinità vegetazionale le cui parti ritornano alla terra per garantirne la rinascita.

Anche in Siria-Palestina il dio arboreo è Baal, fratello e consorte di Anat, che muore e rinasce dopo la sfida con Mot, signore dell’oltretomba e delle torride estati. L’albero è il suo simbolo ricorrente.

Spostandoci verso il mondo greco-romano, ritroviamo il tema in Odino, appeso per nove notti all’albero universale, e soprattutto in Dioniso, forse il più complesso fra gli dèi arborei. Venerato come Dendrites, “colui che sta nell’albero”, Dioniso nasce, muore e rinasce in un ciclo naturale continuo. Le sue leggende comprendono lo smembramento da parte dei Titani, il cuore salvato da Atena, la rinascita attraverso Zeus. È il dio della vegetazione, del vino, del grappolo che viene pigiato e trasformato, della linfa che scorre.

A lui si affiancano Priapo e Pan, altre figure legate ai culti della fertilità e del bosco. Pan, nato dall’unione di Ermes con la ninfa Driope, è semiuomo e semicapro, spirito del pascolo, del vento tra i rami, della natura selvaggia. Dioniso lo predilige perché è uno dei volti della stessa antichissima religione vegetazionale.

Tutto questo ci conduce al vero significato dell’albero natalizio: non un semplice ornamento, ma l’erede diretto dell’antichissimo albero cosmico e dell’albero vegetazionale, immagine del dio che muore e rinasce, simbolo di fertilità, di vita e di ritorno della luce nel cuore dell’inverno.

Una replica a “Natale (parte 1): I simboli del Solstizio di Inverno – l’Albero”

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