di Andrea Romanazzi
Il periodo delle festività riconducibili al “Natale” è legato ad un corpus di credenze, tradizioni magico-popolari, folkloriche e religiose nate moltissimi secoli prima della venuta del Cristo, quando l’uomo, immerso nell’immanenza della Natura, guardava stranito i suoi prodigi. L’Antico sapeva bene che tutto è dominato da cicli, in un eterno susseguirsi di buio e luce, vita e morte che, come eterna spirale, assicurano la continuità umana. Il questa visione ciclica, importanti diventano le scansioni temporali durante le quali l’uomo, con una serie di rituali basati sul concetto della magia simpatica, ovvero sull’idea del “simile che produce il simile”, tenta di ingraziarsi la divinità o la natura per cercare di ridestarla dal suo torpore e così assicurarsi prosperità e fecondità.
Il periodo delle quattro settimane dell’Avvento risale al VII secolo ed è detto anche tempus ante natale Domini. Tali settimane, o meglio le quattro Domeniche, rappresenterebbero i quattromila anni, che gli uomini, dovettero attendere per la venuta del Salvatore, dopo aver commesso il peccato originale. In realtà in passato le settimane erano sei, dal giorno di san Martino al 6 gennaio ed infatti ancora oggi per le religioni Ortodosse l’Avvento dura sei settimane. E’ invece nel 1570, durante il pontificato di papa Pio V, che nel rito cristiano viene portato a quattro settimane. Il periodo dell’Avvento è però strettamente legato a culti pagani. In epoca romana, tra il 17 e il 23 dicembre si festeggiavano i Saturnali, festività dedicate a Saturno. Avevano inizio con grandi banchetti e sacrifici, in un crescendo che poteva anche assumere talvolta caratteri orgiastici. I partecipanti usavano scambiarsi l’augurio dei Saturnalia, accompagnato da piccoli doni simbolici, detti “strenne”, vasi di miele, datteri e fichi adornati con le foglie di lauro. L’usanza della “strenna” è dunque davvero molto antica. Il termine deriva dal latino strēna, vocabolo di probabile origine sabina, con il significato di “regalo di buon augurio”, dalla quale derivò il termine strenae per i doni di vario genere. Secondo Varrone “quasi fin dalle prime origini della città di Roma si adottò l’uso delle strenne istituito da Tito Tazio, il quale per primo prese come buon auspicio per l’anno nuovo il ramoscello di una pianta propizia [arbor felix] dal bosco della dea Strenia”. E’ questa l’origine dei doni natalizi. Durante le festività di Saturno era consentito il gioco d’azzardo che, se normalmente era prerogativa delle divinità o dei Re, in questo periodo era consentito anche agli schiavi. Si giocava perlopiù con i dati. Ancora una volta l’abitudine di giocare nei giorni “natalizi” non è altro che un ricordo sbiadito dei giochi che si svolgevano nella Roma imperiale.
All’interno del periodo dell’Avvento cadono alcune festività importanti.
6 dicembre: San Nicola. Non esistono notizie storiche certe del santo. Nato a Pàtara, città greca della Licia il 15 marzo 270, lascia la sua città natale e si trasferisce a Myra dove viene ordinato sacerdote. Tra i più noti miracoli vi ùè quello della dote di tre fanciulle povere che il padre avrebbe fatto prostituire perché non disponeva dei soldi per farle sposare. Per tre notti Nicola getta loro, attraverso la finestra aperta, altrettanti sacchi d’oro, divenuti nell’iconografia del santo le tre palle che lo accompagnano. Questa storia dà a Nicola la fama di generoso portatore di doni, diviene così colui che dispensa regali, compito per il quale diviene successivamente noto come Santa Claus, ovvero san Nicolaus. E’ nel Medioevo che si diffonde in Europa ed in particolare in Belgio, Lussemburgo, Francia nord-orientale, soprattutto in Lorena e Alsazia, Paesi Bassi, Germania e Svizzera, l’uso di commemorare questo episodio con lo scambio di doni nel giorno del santo, il 6 dicembre, commemorazione della morte del santo avvenuta nel 343 a Myra.
8 Dicembre – Immacolata Concezione. Si tratta di una festa antichissima, ispirata al protovangelo di Giacomo e quindi databile inizio del II secolo. Nell’Apocrifo Gioacchino, uomo molto ricco di Israele mentre faceva le sue offerte al tempio fu affrontato da alcuni uomini che gli dissero di non avere diritto a esser lì in quanto non aveva generato prole, infatti sua moglie Anna era sterile. La donna più volte aveva implorato il Signoredi esaudire la sua preghiera, ovvero avere un figlio finchè un angelo le apparve e disse “Anna, Anna, Il signore ha ascoltato la tua preghiera e tu concepirai e partorirai e si parlerà della tua parola in tutto il mondo“. Allo stesso modo un angelo apparve a Gioacchino consigliandogli di tornare a casa in quanto il Signore aveva esaudito la sua preghiera. Da qui l’idea che Maria avesse goduto di un concepimento speciale. Nel già citato Protovangelo di Giacomo, il concepimento di Maria è presentato infatti come una grazia divina. Questa credenza la ritroviamo anche nel Vangelo dello pseudo Matteo, altro scritto apocrifo dove viene esplicitato che Anna avrebbe concepito Maria senza intervento umano. Proprio per tale idea la bolla Ineffabilis Deus sancisce come la Vergine Maria sia stata preservata dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento. La sera dell’Immacolata in Terra di Bari esistono una serie di tradizioni culinarie. Quasi in tutta Puglia il giorno della Vigilia dell’Immacolata si usa preparare la pasta con il baccalà. Il pesce va tagliato a tocchetti e fatto rosolare insieme a cipolla e sfumato con vino bianco. Quindi si aggiungono i pomodori e/o la passata, le olive e i capperi per portare il tutto a cottura. A Toritto c’è la fecazza spigghjuète, tipica dell’Immaccolata, di cui vi riproponiamo la ricetta presa da www.torittonline.it. “Prendete un bel po’ di cipolle lunghe bianche che mangiate crude, purificano il sangue e liberano l’intestino e sono indicate anche contro i calcoli. Per la quantità si deve tener conto del numero dei commensali e di quei parenti e amici, cui si dovrà offrire una bella fetta di “calzone”. Si affettano le cipolle sottili e si mettono in una padella a rosolare unitamente a un goccio d’olio e ad un po’ di pomodori che vengono preventivamente pelati. Quando la cipolla si spappola, si lascia raffreddare; nel frattempo si snocciolano un bel po’ di olive (di quelle che si preparano in casa il mese di novembre). Con la sfoglia più grande si ricopre il fondo e i bordi già oleati; si mette la cipolla cotta, le olive snocciolate, formaggio pecorino grattugiato (c’è chi preferisce la ricotta forte), due capperi, qualche acciuga dissalata e diliscata, un po’ di ventresca, pomodori e per ultimo una pizzicata di sale e pepe. Si ricopre con l’altra sfoglia di pasta, si fa il bordo intorno, si punzecchia la superficie con una forchetta e si manda al forno. “
13 dicembre – santa Lucia. La festività di santa Lucia apre le festività del Fuoco. Il nome deriva dalla parola latina lux, che significa luce, che si collega con le giornate che iniziano a crescere dopo il solstizio. Ed infatti la celebrazione della festa in un giorno vicino al solstizio d’inverno è probabilmente dovuta anche alla volontà di sostituire antiche feste popolari che celebrano la luce. Proprio come nel caso di san Nicola, ricadendo nel periodo dei Saturnali, anche in tale giorno si usava portare doni e dociumi. “Santa Lucia bella / che dei bimbi sei la stella / tu porti dolci e doni / a tutti i bimbi buoni / ma i regali più belli / portali ai poverelli“. In Puglia si usa preparare tarallini glassati chiamati “occhi di santa Lucia” in onore della santa che era protettrice degli occhi per una credenza, postuma, che la vuole martirizzata con enucleazione dei bulbi oculari. In particolare il preparato zuccherato, a base di acqua e zucchero, era detto sclepp, di cui ogni donna custodiva le uniche, corrette proporzioni [Aggiungere allo zucchero a velo poca acqua calda e mescolate fino a ottenere una glassa liscia e densa]. Era inoltre in tale data che le famiglie realizzavano in casa il presepe e albero di Natale che sarebbero poi stati tolti alla Candelora.