La Divina Commedia e i Seguaci d’Amore

di Andrea Romanazzi

La Divina Commedia è forse una delle opere italiane più lette e studiate al mondo , la cui realizzazione è dovuta a uno dei più grandi compositori di tutti i tempi, Dante Alighieri il “Poeta” d’Italia.

Ma come spesso accade nelle grandi opere anche la Divina Commedia racchiude, tra i suoi canti, tra le sue figure e tra gli stessi luoghi di dannazione o paradisiaca potenza in essa descritti segreti che van ben oltre lo sguardo del lettore distratto, e che ripropongono pensieri e credenze nascoste di misteriose sette provenienti dall’oriente e legate a quella forza cosmica chiamata “amore”: i “fedeli d’amore”!

Anche se in nessuna storia ufficiale della letteratura se ne parla ci sono alcuni studiosi come  Luigi Valli (“il linguaggio segreto di dante e dei fedeli d’amore “) che sostengono che i poeti del Dolce Stil Novo tra cui appunto Dante , nn scrivessero semplici poesie d’amore , ma nei loro versi essi utilizzavano un codice segreto con il quale comunicare ai loro fratelli. Gran parte di questi poeti, infatti, sarebbero stati seguaci d’Amore, una confraternita che aveva tra i suoi scopi il ritorno alla purezza della dottrina cristiana, essi lottavano contro il potere temporale della chiesa  favorendo, cosi’ il potere imperiale che a lei si opponeva.

Notiamo un legame stretto con il catarismo che a sua volta traeva origine da un movimento, il Manicheismo che era nato appunto in Persia.

Italo Pizzi, nel libro “storia della poesia persiana” da una serie di interpretazioni ad alcune comuni parole usate nelle poesie degli stilnovisti

 

Madonna:fedeli d’amore

Donna:adepto

Folle:fuori della setta

Piangere:simulare fedelta’ alla chiesa

Noioso:contro la setta

Fiore:simbolo della potenza divina

Vento  e gelo:forze opposte all’amore

Pietra:la chiesa romana

 

Come molti altri componimenti degli stilnovisti anche nella Divina Commedia e’ nascosto il “vero” ed e’ lo stesso Dante a farci cenno di questo quando nel Purgatorio, VIII, 19-21 , egli dice:

aguzza qui ,lettor, ben li occhi Al vero,

che ‘l velo e’ ora ben tanto sottile,

certo che ‘l trapassar dentro e’ leggiero…

Nel medioevo il simbolo e il numero erano i cosi detti “principia individuationis”, la loro funzione, in tutte le opere, sia letterarie sia architettoniche e’ importantissima, e lo stesso Dante nn si sottrae al Simbolismo numerico ed e’ grazie a questo che il Poeta nasconde il “sacro credo” , infatti esaminando la Divina Commedia notiamo ( una piu’ approfondita analisi e’ presente sul libro del Prof.Vlora “Dalla valle delle piramidi a Federico II di Svevia”) che il poeta nn usa mai meno di 115 e nn piu’ di 160 versi per ogni canto. La frequenza maggiore e’ sui valori 139 e 142, inoltre notare che egli nn chiude MAI un canto con 118-121-127 versi. La cosa strana e’ che pur scrivendo in terzine il poeta nn impiega mai un numero che sia divisibile per tre, anzi, il numero dei versi finali di ogni canto e’ pari ad un multiplo di 3  piu’ 1!

Se facciamo un rapido conto:

118= 39 terzine +1

121= 40 terzine +1

127= 42 terzine +1

Quindi, per la logica detta prima tali numeri potevano essere utilizzati, ma come evidenziato il poeta cerca di scansare i numeri 39, 40, 42  LA CUI SOMMA RESTITUISCE IL 121, QUADRATO DELL’11!

Secondo la simbologia cristiana l’11 rappresenterebbe il PECCATO , 11 sono per esempio le spire del labirinto della cattedrale di Chatres che il penitente doveva percorrere a scopo purificatorio e 11 sono i cubiti di altezza della camera del sarcofago della grande piramide, dunque 11 e’ il numero del  peccato!

Questa tradizione risale non alla stessa religione Cristiana , ma a una cultura ancora piu’ antica , quella egiziana e in particolare alle sue tradizioni sul numero 111 il Numero divino.Il 111 rappresenta la perfezione e la divinita’, il primo 1 e’ il bene, il secondo 1 l’unione, il terzo 1 il male. Il problema e’ che in Egitto il bene e il male non erano intesi come da noi, non poteva esistere il bene senza il male, il bene e’ male e il male e’ bene, cioe’ non esiste una differenza, e’ un po’ come il concetto di yin-yang orientale, essi si compenetrano l’un l’altro, sono due volti della stessa medaglia!

Ebbene se alla perfezione , il 111 , togliendo uno dei tre 1 otteniamo l’  11 , il PECCATO! Certo il significato medievale nasceva da ben altro, ormai le antiche tradizioni egizie erano ormai perse, ma il numero rimaneva!

Continuiamo con i calcoli. Infatti esaminiamo il I canto dell’Inferno si compone di 136 versi cioe’ 1+3+6=1001+0=1

Se facciamo questo per tutti i canti del’Inferno otteniamo tre numeri: 1 , 4 , 7.  Esaminiamo il loro simbolismo.

Il numero 1 e’ alla base della numerazione, esso indica il monoteismo, l’espressione del dio creatore.

Il numero 4 rappresenta la completezza, l’UOMO, presso i babilonesi esso indicava le 4 regioni del mondo, per gli ebrei ricordava il paradiso terrestre con i suoi 4 fiumi, e anche per S. Agostino esso gode di  grande importanza perche’ “in quaternario numero est insigne temporalium”, per gli alchimisti medievali i 4 elementi.

Il numero 7 indica invece la perfezione,  esso e’ somma del 3+4, cioe’ dio (la trinita’ ) e la materialita’ (i 4 elementi).

 

Dunque 1– DIO

4-L’UOMO

7-IL CONGIUNGIMENTO UOMO CON DIO dopo l’espiazione dei peccati

(11)

 

tutto quindi sembra in tema con lo spirito della divina commedia, l’uomo che raggiunge dio dopo l’espiazione dei peccati.

 

 

Non finisce certo qui, infatti il 147 lo ritroviamo anche “geograficamente” nell’inferno. Infatti esso, dal limbo a Belzebu’ e’ alto proprio 147 miglia e la stessa altezza la ritroviamo nel purgatorio.

Torniamo ai versi , il canto centrale e il 17, ed e’ qui che Dante compendia tutto il suo insegnamento, infatti

Il canto 17 restituisce i numeri 1,4 e 7  nei rispettivi 3 libri.

Inferno           1

Purgatorio     4

Paradiso         7

E quindi ritroviamo ancora il 147, mentre per il canto immediatamente successivo e precedente ottengo il numero 111, altro numero con grandi significati di cui abbiamo gia’ parlato abbondantemente nella prima parte .

 

Ovviamente, il Poeta , nel scrivere la sua Opera ha tenuto conto della numerazione araba  gia’ introdotta in occidente da Fibonacci, studioso che opero’ alla corte di Federico II. A questo punto pare chiaro come anche Dante fosse vicino al culti misterici orientali che oramai perse le antiche tradizioni egizie, tramandavano nel numero un loro ricordo vago.

Sono cosi’ i fedeli D’amore di cui lo stesso Dante faceva parte, quasi per sua stessa ammissione:

“…Vero è che tra le parole ove si manifesta la cagione di questo sonetto si scrivono dubbiose parole…E questo dubbio è impossibile a solvere a chi non fosse in simile grado fedele d’amore.”

(Dante –Vita Nuova)

Dice L. Valli: “Quando la crociata degli albigesi desolò con le sue ripetute stragi la Provenza, essa disperse per il mondo insieme la poesia d’Amore e l’Eresia…”.

Del resto  I fedeli d’amore erano una confraternita che aveva tra i suoi scopi quello il ritorno alla purezza della dottrina cristiana e che quindi piuttosto vicini all’eresia catara e i cui scopi nn erano poi lungi da quelli dei seguaci Sufi e del resto i poeti del Dolce Stilnovo si rifacevano alla poesia mistica persiana, e proprio dalla Persia nacque il movimento manicheo  da cui ebbe origine l’eresia catara , eresia che appunto voleva un ritorno alla poverta’ della chiesa e che era molto vicina al pensiero templare gia’ che comunque tutte e due furono profondamente influenzate da particolari sette islamiche e dall’adorazione per il Baphomet.

Ecco così che si apre un altro interrogativo, chi era la “donna” d’animo puro e gentile di cui tutti gli stilnovisti “cantano”? Essondo fortemente influenzati dalla cultura Egizia e dunque dalle tradizioni isidee questa mistica donna potrebbe essere un chiaro riferimento al culto della Dea Madre , la Vergine Nera medievale alla quale eran state dedicate diverse cattedrali in Francia.

Un esempio e’ dato dalla seguente  poesia del Cavalcanti in cui si parla di una “donna” di Tolosa (vecchio centro dell’eresia albigese):

Una giovane donna di Tolosa
bell’e gentil, d’onesta leggiadria
tant’è dritta e simigliante cosa
ne’ suoi dolci occhi , de la donna mia…
ma tanto è paurosa
che no le dice di qual donna sia.

Ritroviamo in queste parole anche un accenno alle antiche tradizioni isidee in cui nn bisogna mai pronunciare il nome della divinita’ e quindi , in questo caso , della Donna. La donna dunque come Madre che racchiude in Sé il mistico verbo chiamato Amore di cui Dante era un “Fedele”!

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