Il pane di Altamura, rito collettivo

di Andrea Romanazzi

La città di Altamura, nasce come nucleo urbano attorno al VIII secolo quando, secondo gli storici, contava tre o più nuclei di capanne con una popolazione che forse superava i 100 abitanti.  Non vi sono documenti storici che indichino con sicurezza il nome originario della città di Altamura prima dell’anno 1000. Nei secoli passati si sono tramandate informazioni fuorvianti che attribuivano ad Altamura gli antichi nomi di Petilia e Altilia. In particolare, quest’ultimo nome è legato ad una leggenda locale che vorrebbe la città fondata dalla regina dei Mirmidoni Altea.

Secondo la tradizione orale, infatti,  il primo nucleo abitativo sarebbe stato fondato col nome di Altilia o Alter Troia, come testimoniato da una iscrizione sul portale della chiesa di San Lorenzo che conteneva esplicito riferimento ai mirmidoni. La città come oggi la conosciamo, però, fu fondata solo nel 1243 da Federico II di Svevia che la chiamò Altamura a causa della presenza di enormi mura megalitiche costruite tra la fine del V e la seconda metà del IV secolo a.C, ancora oggi visibili, simbolo più imponente e rappresentativo dell’antico insediamento. Lo stesso nome traspare da alcuni documenti notarili della città di Gravina dell’inizio del XIII secolo, invece, si evince l’esistenza, nella zona interessata dall’attuale Altamura, di un piccolo centro chiamato Murum.

La città oggi è diventata un importante centro produttivo e turistico noto in tutto il mondo, tra l’altro, per il famoso Pane. L’arte dei panificati nel territorio è davvero antichissima. E’ nel Neolitico che sul territorio inizia a diffondersi l’attività cerealicola in particolare la coltivazione del frumento, del farro e dell’orzo. Sono del 7000 a.C. i primi ritrovamenti di impasti di grano macinato e acqua che poi veniva cotto direttamente su pietre roventi come testimoniato da numerosi reperti archeologici. Il forno chiuso arrivò solo successivamente, realizzato con un impasti a base argillosa.

Nei pressi dei focolari e dei forni non mancava lo svolgimento di pratiche del tutto peculiari connesse ai rituali di fertilità. Uno stretto legame tra la divinità e il grano è poi sintetizzata nella tradizione della “pagnotta rituale”, il pane preparato nei templi della dea e utilizzato durante i suoi riti. In molte tombe neolitiche sono state rinvenute statuine rappresentanti donne intente a macinare il grano e ancora moltissime sono le focacce e i pani rituali dalle molteplici forme e decorati con losanghe, zig-zag e altri simboli della dea.  La sacralità del gesto di cibarsi del sacro pane non è casuale, infatti il primitivo credeva che cibandosi del simbolo della divinità o meglio espressione stessa della divinità, egli non faceva altro che rendersi partecipe di quella scintilla di divino che è insita nella immanenza stessa della dea, così il consumare cibo non era solo un rito ma un modo di partecipare al potere della divinità, da qui il tabù di non gettare questi sacri alimenti, era come rifiutare e gettar via una parte del dio. Se così il pane era simbolo della dea, anche il forno ove esso veniva cotto doveva essere un luogo sacro. La Gimbutas  narra come in moltissime tombe jugoslave  datate 5.000-4.500 a.C. siano state trovate miniature di forni ornati con i simboli della dea. La simbologia del forno potrebbe essere duale, infatti in alcuni casi esso rappresenterebbe l’antro, il luogo sacro ove dimora la dea e dunque dal quale può provenire la stessa divinità sotto forma di pane. Ma è anch’esso incarnazione della divinità come testimonierebbero i numerosi forni antropomorfi rinvenuti in molte sepolture, ornati con occhi e bocca o ancora con le forme della dea e strane protuberanze quasi ad identificare il cordone ombelicale simbolo di vita.

Una tradizione millenaria, dunque, quella di Altamura. Nella città da sempre erano presenti forni pubblici tradizionali autorizzati alla cottura di pane impastato dalle famiglie. La produzione del pane era dunque un atto corale, sul piano sociale e culturale, nel quale la sfera familiare e privata si incrociava con quella pubblica. Per evitare che le pagnotte si confondessero, il fornaio procedeva a marchiarle con le iniziali del proprietario o del capofamiglia, impresse su un timbro di ferro. Solo allora procedeva ad infornarle. Esiste anche un Museo del Pane, a pochi passi dalla Cattedrale di Santa Maria Assunta, in via Onorato Candiota, 2, in uno dei forni più antichi di Altamura. Ritrovamenti di un atto notarile di compravendita, lo fanno risalire al 1300, quando un fornaio di nome Giovanni e sua moglie Barisana donarono metà della proprietà del forno alla chiesa di Santa Maria Assunta, attuale Cattedrale di Altamura. Per questo motivo è conosciuto come “U’ furn d’ la chjisa ranne”. 

Principale caratteristica di questo pane, prodotto solo con farina di grano duro, era la durevolezza, indispensabile per assicurare il sostentamento di contadini e pastori nelle settimane che trascorrevano lontano da casa, al lavoro nei campi o nei pascoli, sulle colline murgiane. Il pranzo di questi lavoratori consisteva infatti essenzialmente in una zuppa di pane insaporita con olio di oliva e sale. E’ la nascita della ciallèdde se fatta con pane fresco o nella fèdda rosse, se abbrustolita sul fuoco fino al pane ndorat-e-fritte che mi faceva mia nonna dopo averlo passato nell’uovo e fritto nell’olio caldo e successivamente condito con zucchero abbondante. Come detto, il Pane di Altamura è stato riconosciuto il marchio denominazione di origine protetta e ancora oggi deve essere realizzato seguendo l’antica ricetta: sfarinato di grano duro, lievito madre, sale e acqua

Esiste oggi un Consorzio che si occupa di assicurare la funzione di tutela, di promozione, di valorizzazione e di informazione del consumatore, nonché di cura generale degli interessi relativi al Pane di Altamura e di cui fanno parte alcuni forni storici come il “Panificio e Biscottificio F.lli Di Gesù s.n.c.”, a cui si riferiscono le foto, che vanta una tradizionale esperienza nella produzione e commercializzazione di prodotti artigianali da forno, cominciata già nel 1838, come piccolo forno di quartiere, per la cottura del pane “fatto” in casa.

Oggi il Pane di “Altamura” è caratterizzato principalmente da due forme, a tuppe de segnure detto anche pane morbido oppure a cappidde de prèvete o sckanéte.

In realtà in passato le tipologie erano molte di più, tra queste c’erano u cecì, la pagnotta donata al fornaretto che trasportava le forme e le panèdde, pagnotte di farina bianca. I nostri avi poggiavano così al petto queste belle forme e, con un coltello, le trasformavano nel pasto di un re, condendole con un po’ d’olio e sale, magari con un pomodoro.

Infine la focaccia,  soffice e profumata come il pane tipico cotta a terra o come si dice in gergo “sulla chianca” detta così poiché veniva cotta direttamente sulla pietra del forno che la rende più leggera e condita con pomodorini, origano e olio extravergine d’oliva.

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