Rutigliano, tra Normanni, ceramiche e tradizioni apotropaiche

di Andrea Romanazzi

Il viaggio che stiamo per compiere ci porta nell’entroterra di Bari, presso il Borgo di Rutigliano, famosissimo per le ceramiche e per molto altro. pronti ad un viaggio tra Torri normanne, rituali apotropaici e culti mai dimenticati?

Il paese sorge in un’area abitata già dal Neolitico sulla quale, in periodo storico, sorge la città di Azetium, un insediamento costituito con ogni probabilità da un piccolo nucleo di capanne d’argilla e paglia, del tipo già attestato in numerosi villaggi iapigi disseminati nel territorio. Il borgo di Rutigliano, come molti centri meridionali, nasce, in epoca altomedievale, da quel fenomeno chiamato sinecismo, per il quale la popolazione dispersa nelle campagne, o in villaggi insediati principalmente lungo le lame, si coagula intorno a siti caratterizzati da una qualche forma di autorità, laica o religiosa. Primo conte di Rutigliano fu il Normanno Ugo Bassavilla che probabilmente fece costruire la torre normanna e ampliò la chiesa di Santa Maria della Colonna, dove è conservata una lapide con lo stemma del casato e l’iscrizione UGO FIL.US ASGOT DINASTA FUNDATUR (Ugo figlio di Asgot fondatore della dinastia).  Nel 1194 subentrarono gli Svevi e in seguito gli Angioini nel 1266. Nel 1306 il feudo di Rutigliano passa al Capitolo di san Nicola di Bari come dono di Carlo II d’Angiò per un voto.

Il Capitolo doveva possedere diverse proprietà nel paese, tanto che il patrono del borgo divenne lo stesso san Nicola. La Torre Normanna è ancora oggi il simbolo di Rutigliano e conserva particolarissime peculiarità. Infatti all’interno della stessa come accade raramente, sono presenti degli affreschi che mettono in evidenza l’utilizzo di questi ambienti da parte della chiesa. Troviamo così infatti due affreschi tardo quattrocenteschi raffiguranti la Vergine con il Cristo morto e alcuni Santi oggi non più visibili ma di cui si conservano lacerti di affreschi raffiguranti Sant’Antonio Abate, san Cristoforo, e probabilmente, indicato da delle ali palmate che dovrebbero raffigurare il diavolo, San Michele Arcangelo.

Durante il periodo Napoleonico invece la torre viene utilizzata come carcere e, secondo alcuni storici, a questo periodo potrebbero rifarsi le iscrizioni presenti sulle mura interne della stessa. La porta dell’ultimo piano della torre, è evidentemente ricostruita proprio per essere una cella in quanto poteva essere chiusa esclusivamente dall’esterno. Una curiosità è la presenza di un bagno all’interno della cella stessa.

Una curiosa leggenda è invece legata ad un altro palazzo, il Martucci, oggi B&B. Il  Lorenzo Cardassi, nel suo volume “Rutigliano in rapporto agli avvenimenti più notevoli della Provincia e del Regno” narra un evento avvenuto sempre nel periodo napoleonico. Con la caduta dei Borbone in Puglia si affermò il movimento dei Sanfedisti che infervorò, in quegli anni, il Regno di Napoli. Il nome divenne celebre nel 1799 per le gesta degli insorgenti che, tra il febbraio ed il giugno del 1799, prese parte attiva alla restaurazione del dominio borbonico a Napoli, ponendo fine alla Repubblica Napoletana. Il movimento contava su decine di migliaia di volontari fra contadini, borghesi, ufficiali, finanche preti, pronti ad abbandonare famiglia, lavoro, case, chiese, per difendere la monarchia e la santa fede (da cui il nome sanfedisti). Rutigliano non fu da meno. Si narra che, non essendoci nel borgo uomini sufficienti a scacciare i francesi si ricorse ad uno stratagemma.

Mandarono essi persone di loro servizio [ si parla dei sanfedisti] alla masseria così detta di S. Martino, proprietà del Capitolo di S. Nicola di Bari, con ordine di accendere dei fuochi a certa distanza e sempre sulle alture, essendo quella masseria situata in cima ad amena collina, in vista di Rutigliano, alla distanza di tre chilometri circa. Nello stesso tempo ordinarono essi che tutti gli armenti non pochi che ivi erano, forniti nella più parte di campane, fossero sparpagliati e sbrancati tra quei fuochi in direzione di Rutigliano. Verso le ore undici antimeridiane, allarmati dalla Signora Aurelia Martucci, i francesi salirono sopra l’alto belvedere del palazzo, e di là osservando in confuso una grande moltitudine che si moveva alla volta di Rutigliano, credettero realmente che fossero i Sanfedisti, ed ordinarono perciò chiamare in fretta a raccolta i soldati, prendendo in disordine per Porta Castello la via vecchia che menava a Mola, in direzione opposta a quella di S. Martino. La leggenda vuole che, essendo stata la fuga assai precipitosa, gli stranieri avessero dimenticato gran parte del loro bottino presso le famiglie dove avevano alloggiato.

Ora però ci addentriamo nei misteri cittadini ed in particolare tra i rituali apotropaici. Come allontanare la sfortuna? Ebbene, dovevano saperlo bene gli Antonelli, proprietari di un palazzo nobile tra i più belli di Rutigliano. Qui, tra le statue presenti, troviamo quattro amorini due dei quali in curiose posizioni, il primo nell’atto di minzionare, il secondo, invece, colto nel momento di una masturbazione. Sicuramente un gesto apotropaiche legato alla fertilità e procreazione.

Riti apotropaici sono anche nascosti nel simbolo della città, il Fischietto bitonale in terracotta da considerarsi l’erede diretto dei giocattoli e dei tintinnabula fittili prodotti in loco a partire dal V secolo a.C., la cui forma è quella di un iridescente uccello. Il Fischietto avrebbe la forma di un gallo, animale sacro ad Esculapio, a sua volta legato al culto di Ercole, dio-eroe morto e risorto. Come in altre parti della Puglia, nella tradizione popolare era in realtà suonato per scacciare gli spiriti e assicurare la fertilità. Veniva inoltre donato alle coppie, o dal fidanzato alla sua fidanzata, per augurare una buona unione. Nella simbologia sessuale intrinseca a questi oggetti la testa dell’animale riproponeva l’elemento fallico maschile, mentre la parte posteriore, ove si trova la fessura atta a fischiarvi dentro, raffigurava la vulva.

Dal Fischietto alla lavorazione dei Cocci.

Rutigliano è famosa per la lavorazione dell’argilla. Risalgono al Neolitico, ben ottomila anni fa i primi contenitori in argilla decorati ad impressioni a crudo prodotti per contenere soprattutto grano e orzo. Questa attività è ancora oggi parte importante dell’economia del paese in particolare per la produzione di ceramica da fuoco: tegami, pignate, vasi…

Agli inizi del ‘900 risultano attive ancora 24 botteghe, con 103 unità lavorative di figuli, dal latino “figulus”, vasaio, anche se oggi, però, vi è rimasta una sola bottega a mantenere viva una tradizione artigianale. E’ quella di Tonino Samarelli, al civico 245 di via Noicattaro, che continua a modellare con abile maestria le sue inconfondibili “pignate” +per cucinare sughi, legumi, timballi, verdure, che conservano intatto tutto il loro sapore, a differenza dei moderni tegami in acciaio, per poi cuocerle in una fornace che risale al ‘700 .

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