di Andrea Romanazzi
“Laudato sia l’ulivo nel mattino! Una ghirlanda semplice, una bianca tunica, una preghiera armoniosa a noi son festa. Chiaro leggero è l’arbore nell’aria E perché l’imo cor la sua bellezza ci tocchi, tu non sai, noi non sappiamo, non sa l’ulivo. Esili foglie, magri rami, cavo tronco, distorte barbe, piccol frutto, ecco, e un nume ineffabile risplende nel suo pallore!”. È così che Gabriele D’Annunzio, il Vate d’Italia, inizia la sua poesia l’ulivo. Simbolo di sacralità l’ulivo è presente nelle più importanti religioni.
Nella Bibbia si narra che una colomba annunciasse a Noè la fine del diluvio con un ramo di ulivo, prova di vita e quindi forse prima pianta a rinascere dalle ceneri del diluvio universale. Nell’antica Grecia l’olivo, nella sua versione selvatica, ovvero l’oleastro, era considerato un dono di Atena agli uomini. Si narra che la dea si contendesse con Poseidone il territorio dell’Attica. Ci fu una gara per il miglior dono agli uomini. Mentre Poseidone fece sgorgare una sorgente di acqua marina sull’acropoli di Atene, Atena donò una pianta di ulivo. La popolazione ateniese assegnò così la vittoria alla dea giudicando l’ulivo più essenziale dell’acqua stessa. Nella mitologia Romana si narra invece che gli stessi Romolo e Remo nacquero sotto le fronde di un olivo. geografia nel primo libro dei Re si narra che Salomone costruì il tempio di Gerusalemme proprio con pianta “fece due cherubini di legno d’olivo, alti dieci cubiti… fece costruire la porta della Cella con battenti di legno d’olivo… lo stesso procedimento adottò per la porta della navata, che aveva stipiti di legno d’olivo“. Il legno di ulivo poi lo ritroviamo nel Vangelo come paradigma della sofferenza di Cristo (l’orto degli ulivi). Venendo più meramente alla Puglia, il rinvenimento di alcune foglie fossili fa pensare che possa risalire ad un millennio fa. Molto probabilmente l’olivo venne introdotto in Puglia dagli illiri nel XI secolo avanti Cristo. Per altre studiose il suo arrivo in Italia è molto più antico, ovvero datato VII secolo avanti Cristo importato dai greci. A quei tempi la varietà più diffusa doveva essere l’ogliarola. Successivamente nel 1 secolo arrivarono in Puglia i Saraceni c’è, in particolare nel Salento portarono la varietà Cellina nota anche come Saracena che divenne ben presto quella più diffusa. Nel Quattrocento, però, per volontà del sovrano spagnolo Alfonso d’Aragona fu introdotta nel Basso Tavoliere una varietà da tavola battezzata come Oliva di Spagna, più tardi Bella di Cerignola, forse quella ancora oggi più diffusa sulle nostre tavole. Una leggenda vuole però una origine ancora più antica. Si narra che truppe dell’esercito romano, usavano portare negli spostamenti le olive gettando a terra i noccioli che diedero vita a questa coltivazione. Insieme alla paesana tipica dell’agro di Bitonto, già rinomata già nel XIII secolo e richiesta dai mercanti di Venezia che le richiedeva per l’olio. Il paese in particolare gli diede il marchio a un olio, “cima di Bitonto” famoso in tutto il mondo grazie all’industriale Pietro Ravanas, che introdusse per la prima volta in terra di Bari il frantoio a torchio idraulico ed a doppia macina.
Arriviamo però al dunque: l’oliva a tavola. Vi presentiamo tre ricette tradizionali e semplicissime. La prima è per un semplice “apristomaco”. Olive con sale condite con sale e appassite al forno a fuoco lento. Una variante sono le olive arrostite, sotto la cenere. Era lo “snack” dei nonni, quando bastava un pugno di olive appena raccolte per donare felicità. Diffuse ancora oggi sono le olive fritte, in dialetto “Auui’ sfritt”, tipica ricetta pugliese. Olive, aglio e ottimo olio extravergine di oliva sono gli ingredienti principali. Alcune varianti vedevano l’aggiunta di pomodorini invernali. Nel periodico mensile “la puglia agricola” del 1885 si aggiunge il vin cotto, anche se tale pratica è oggi abbandonata. Se ci provate fatemi sapere…