Castelmezzano, tra Streghe, Templari ed antichi culti agrari

di Andrea Romanazzi

Questo breve approfondimento sul comune di Castelmezzano, in Lucania, vuol essere un breve viaggio tra le curiosità, le leggende, i misteri e le bellezze di questo borgo della Basilicata.

La fondazione di Castelmezzano è attribuita ai coloni greci che penetrarono nella valle del Basento e fondarono il primo nucleo abitativo di Maudoro, cioè Monte di Oro. Nel X secolo d.C., a causa delle invasioni saracene, la popolazione locale dovette spostare l’abitato in una zona più sicura a ridosso dei monti. Una leggenda Popolare vuole che un semplice pastore, Paolino, mentre portava al pascolo le sue greggi, scoprisse un luogo a mezzacosta, detto dell’arm Gervasio, ricco di acque e di vegetazione . Paolino fu imitato da molteplici altri pastori e dagli abitanti di Maudoro che così si spostarono in massa fondando il nuovo nucleo del paese. Il paese fu poi  interessato dall’occupazione prima Longobarda e poi Normanna. A questi ultimi si deve la costruzione del castello i cui resti sono ancora visibili e il toponimo del borgo, ovvero Castrum Medianum, castello di mezzo, per via della sua posizione tra quelli di Pietrapertosa e di Brindisi Montagna.

Le Streghe e i Masciari

È in questo scenario che nascono storie e racconti su figure tipiche della tradizione popolare come streghe e guaritori. Il tipico masciaro lucano era chiamato Zì Giuseppe, un nome che non sempre era quello di battesimo ma che era strettamente connesso al nome del padre del Cristo, il che trasformava la figura in una specie di papà del popolo. Quasi ogni paese della Basilicata aveva il suo “zio Giuseppe”. A Rionero in Vulture viveva un magaro chiamato Zio Giovanni, di cui lo studioso Michele Melillo descrive la casa, ricca di simboli ed elementi cristiani ed esoterici, nonché di alcuni ritratti di Dante e di una polverosa Divina Commedia. Forse però il più temuto e riverito abitava proprio a Castelmezzano, dove nacque nel 1876.

Al secolo Giuseppe Cavallero, detto Fieramosca o Feramosca, dal borgo si spostò in un casolare, a una mezz’ora di cammino da quello che è il “ponte della vecchia” di Albano.

Diverse sono le leggende attorno alla costruzione, si narra che fosse stato costruito da una vecchia baronessa dopo che un suo figlio annegò nel fiume mentre si recava alla scuola di Tricarico. Da qui il ponte prese il nome di: “Ponte della Vecchia”. Altri racconti però parlano di una masciara che viveva nelle vicinanze. Come già traspare da queste narrazioni, non mancavano paure legate alle streghe e alla loro capacità di provocare danni  e magie amorose. La fattura più nota e diffusa era quella del pentolino amoroso, un incantesimo, diffuso in tutta l’area meridionale, costituito da una scodella nella quale venivano posti i più disparati ingredienti come mercurio, maggiorana, alcool, sapone, ossa di rane, ali e zampe di pipistrello, segatura di particolari legni, rettili, interiora di pesci e ancora peli di ascelle o del pube e varie secrezioni femminili, e che aveva lo scopo di far innamorare il malcapitato. La presenza di tale tradizione anche a Castelmezzano è testimoniata dal libro di Mimmo Sammartino “Vito ballava con le streghe” e dal curioso percorso definito delle “sette pietre”.

E’ un sentiero facile che collega Castelmezzano con Pietrapertosa, per raggiungere la quale ci vuole circa un’ora. Per prendere il sentiero dovete andare al cimitero di Castelmezzano. Da li troverete le indicazioni molto chiare. Scendete nella valle fino a raggiungere una pianura (l’antro delle streghe). Superate il torrente Caperrino attraversando il ponte romano. Da li il sentiero si inerpica nel bosco fino a Pietrapertosa.

Ogni tappa del sentiero prevede uno spazio allestito che accoglie l’opera artistica evocatrice di una delle sequenze del racconto, ed una ambientazione sonora che regala ulteriori suggestioni alla magia della natura che si svela. Le tappe sono 7 e ciascuna di esse propone una parola chiave che restituisce il senso del racconto: destini, incanto, sortilegio, streghe, volo, ballo, delirio.

Per quanto connesso Ad un’opera letteraria, il percorso doveva  essere simile a tanti altri della Basilicata lungo i quali la popolazione locale diceva di incontrare la processione dei morti,  storie di donne che, mentre raccoglievano l’acqua, scorgevano nel riflesso del catino strane processioni di uomini tra cui riconoscevano alcuni loro defunti. Queste “visioni” erano accomunate da un particolare: avvenivano solo in particolari momenti della vita dell’individuo o in particolari periodi dell’anno, spesso coincidenti con festività agrarie, come ad esempio la festa di Onnissanti o la notte di San Giovanni. Ecco così che lungo le buie vie che conducono le contadine nei campi, capitava spesso, al buio, di incontrare anime dannate che comunicano un messaggio per il mondo dei vivi. “… una volta un forese scommise con il suo padrone di andar ad attingere acqua ad una fontana lontano dal paese …il forese si mise in cammino ma giunto nei pressi dela fontana di Tromacchio           vide quattro persone che portavano a spalla una bara…decise di andare alla fontana di spando ma anche qui il cammino era sbarrato dai quattro…allora gli venne incontro un sacerdote morto da  qualche tempo che lo prese per mano e gli disse “queste scommesse non le devi fare… “.

Qui anche latitudine di molte donne della Basilicata a dialogare con i defunti: …zia Maddalena, una contadina di Castronuovo … sapeva fare le coronelle, cioè aveva l’attitudine        di mettere i vivi in rapporto con i defunti …una volta la madre morta di un certo Vincenzo Fortunato        apparve in sogno a Zia Maddalena e la pregò di avvisare il figlio che se fosse passato con il mulo per       una certa tempa avrebbe corso il rischio di cadere nel burrone … . Vincenzo non si mostrò molto propenso a credere all’avvertimento … e chiese alla donna una prova che lei era realmente in contatto con la madre … . Vincenzo si recò per nove notti al Calvario con lei … . Alla nona notte,  proprio a mezzanotte, apparve la processione dei morti, ed a un certo punto si sentì accarezzare da una mano gelida … restò per tre giorni con freddo e febbre…

Il Maggio Arboreo

Una testimonianza degli antichi culti pagani è presente poi a Castelmezzano nell’espressione delle feste del Maggio. Varie sono le ipotesi sull’origine etimologica del nome per alcuni studiosi da un’antica dea della fecondità, Maja. In questo periodo, infatti si tenevano delle feste, chiamate Majume, durante le quali si compivano riti orgiastici e, proprio a causa del loro carattere di deboscia, proibite dall’Imperatore Costantino. Questi rituali, però, compiuti nel bacino del Mediterraneo da tempo immemore e connessi alla fertilità, non erano facili da sradicare e così con una operazione sincretica il Cristianesimo sostituì alle feste di Majume la “giornata delle rose”. il Frazer nel suo libro “Il ramo d’oro” descrive tantissime tradizioni europee nelle quali usanza più diffusa era quella di portare al villaggio un enorme albero per poi adornarlo con i frutti della terra, animali e piante, come ringraziamento alla divinità ma anche come gesto basato sul concetto di magia simpatica per il quale “il simile produce il simile”: L’esporre frutti e vivande altro non era così che un modo per propiziare fertilità e abbondanza. Queste tradizioni erano già presenti nei “floralia” che si tenevano nell’antica Roma durante le Calende di Maggio,  quando, dopo canti e balli, si propiziava la fertilità con rituali a sfondo orgiastico, usanze che ancora ritroviamo nell’Inghilterra del 1500 e che tanto facevano scandalizzare i Puritani. Altra tradizione, sempre in tema di “accoppiamento” era poi la presenza di un Re e una Regina del Maggio, idea sicuramente successiva a quella arborea ma che ben ricorda i rituali di accoppiamento che si tenevano in quei periodi. Per approfondire il tema vi invitiamo a guardare il seguente link https://centrostudiomisteritaliani.com/2021/02/27/il-rituale-del-maggio-in-basilicata/. In particolare quelle a Castelmezzano si tengono nelle date di che si festeggia il 12-13 settembre, legate alla festa del patrono Sant’Antonio da Padova. “…nel dì al santo Patrono sono usi i rotondesi di piantare un maestoso albero di abete che, reciso nella montagna, trasportano ed ergono a grave stento…”.

Il mistero dei Templari a Castelmezzano

In un borgo così misterioso non potevano mancare leggende legate ai Templari, meglio noti come i Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone («Pauperes Commilitones Christi Templique Salomonis»), ordine monastico-cavalleresco fondato in Terra Santa nel 1118 (o 1119) da Hugues de Payns (o Payens), nobile dello Champagne imparentato con i conti di Troyes, o, secondo altri, da Ugo de’ Pagani, nobile dell’Italia meridionale originario di Nocera Inferiore. Non si conosce con precisione quando l’Ordine del Tempio cominciò ad insediarsi nella nostra penisola: alcuni studiosi ritengono che il primo insediamento italiano fu a Messina nel 1131, altri nel 1138 a Roma presso S. Maria dell’Aventino, altri ancora a Milano a S. Maria del Tempio nel 1134.  Da ricerche negli archivi storici si evince come i Templari possedessero numerose proprietà anche in Basilicata. Risulta, ad esempio, a Melfi la chiesa di san Nicola “cum domibus et ortis sitis in territorio eiusdem terre ante terram eamdem que site sunt iuxta aemdem ecclesiam et ex alia parte site sunt iuxta viam puplicam”. Sempre a Melfi troviamo tre staciones in località Albana; una domus nella parrocchia di S. Adoeni; un’altra domus ed una vigna nella terra che fu di Alibrando di Melfi. A Lavello un grande tenimento di terre era situato in località Girono, dove «dicta domus Templi» aveva «massariam suam». A Venosa i Templari possedevano un vignale, un grande palazzo in piazza che fu di Bisanzio, una domus situata in parrocchia di S. Barbara; un casalino sempre in parrocchia di S. Barbara; diverse vigne «in parte Vallonis sancti Blasii que fuerunt dopni Bisancii»; una pecia di terra nella valle de frussa, vicino al fiume; la terza parte di una domus nella parrocchia di S. Nicola; la terza parte di un vigneto in parte Riali; una domus in parrocchia S. Marco; una terra in loco vie vallonis, due petie di terra situate in loco faraucosi; una terra situata in parte ciglani; un appezzamento di terra situata in parte flumis ed un altro situato in parte vallonis de flurco. Non si hanno notizie, invece, di sedimenti a Castelmezzano. Ad ogni modo con la rimozione dell’intonaco della Chiesa Madre,  è emersa una croce patente che può essere legata all’ordine citato.

Tra l’altro, all’interno della Chiesa Matrice dedicata alla Madonna dell’Olmo, è presente  un affresco della Madonna stella del Mattino, fortemente venerata dai Templari.

Se due indizi non fanno una prova, eccone  un terzo. Nel paese Infatti è presente il toponimo “spinalva. La spina È un termine che viene spesso ritrovato nei luoghi legati ai Cavalieri del tempo sia in Francia, sia in Italia, Espressione della venerazione verso la Sacra Corona di cristo.si narra che i Cavalieri Templari Portarono in Europa molte di queste reliquia È, una tradizione vuole che è una spina della corona di Cristo fosse presente anche Castelmezzano poi trafugata. Oggi, dopo l’Unità d’Italia il protettore del paese San Rocco.La festa viene Il 19 per permettere ai Pellegrini di poter partecipare ai rituali di Tolve, centro principale del culto. Nel giorno del canto, però, a mezzanotte, viene In atto una processione legata a San Rocchicchio,  una sorta di Santo Popolare legato al culto dei pastori che , non potendo partecipare di giorno alla festa mettevano in atto una processione la notte molto molto velocemente, quasi di corsa.  Curiosità nella curiosità, all’interno sempre della chiesa matrice è presente una bellissima del tela raffigurante le anime del Purgatorio e la loro evoluzione da persone anziane, ovvero peccatrici, ad anime nuove ovvero rinnovate. E’ chiaro il messaggio del “rinfresco” messo in atto da una curiosa Confraternita di cui sulla tela è raffigurato anche un incappucciato. Bene la curiosità è che in Castelmezzano non sono note confraternita delle anime purganti.

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