di Andrea Romanazzi
Sempre legato alla tradizione natalizia e arborea è il mistico vischio, considerato una pianta magica per la sua origine: non spunta dal terreno ma, nascendo sui tronchi dei meli, delle querce e dei pioppi, sembra nascere dal cielo , inoltre le sue bacche si sviluppano in nove mesi proprio come il feto umano e si raggruppano in numero di tre, numero da sempre sacro in tantissime culture.
Presso i Druidi il Vischio era considerato una pianta sacra e veniva reciso dall’albero su cui nasceva con una solenne cerimonia, usando un falcetto d’oro, infatti il vischio e’ una tipica pianta lunare e dunque , recidendola con un metallo legato alla divinità solare come l’oro si riunivano le opposte energie. Lo stesso falcetto, la cui forma è proprio quella della Luna crescente altro non sarebbe che un simbolo di riunione delle energie del cosmo e dei due principi, quello femminile e lunare con quello maschile e solare. La raccolta del vischio avveniva in due momenti particolari dell’anno, a Samhain, il primo Novembre , vero e proprio Capodanno celtico e durante il Midsummer’s Eve, la famosa festa di San Giovanni. Queste tradizioni legate alla pianta le ritroviamo anche nella cultura romana ove il suo nome significa “che guarisce tutto”. Nell’Eneide Virgilio paragona il ramo d’oro al vischio consacrando così la pianta a Proserpina.
Quando infatti Enea chiede alla Sibilla il permesso di Apollo per scendere nell’Averno a trovare il padre Anchise, si sente rispondere che è indispensabile, per affrontare tale viaggio, avere con sé il Ramo d’Oro, che dovrà essere dato in dono a Proserpina. “Come ne’ boschi al brumal tempo suole di vischio un cesto in altrui scorza nato spiegar le verdi fronde e gialli i pomi,e con le sue radici ai non suoi rami abbarbicarsi intorno; così ‘l bronco era de l’oro avviticchiato a l’elce, ond’era surto; e così lievi al vento crepitando movea l’aurate foglie.” Tra le varie tradizioni di prosperità legate al vischio, c’è quella che vuole il baciarsi sotto la pianta perché di buon auspicio, tradizione che ancora oggi si effettua in molte case, e sopravvissuta alla religione cristiana , deriva da antiche conoscenze druidiche che vorrebbero il vischio una pianta apportatrice di fecondità dato che le sue bacche, schiacciate davano un liquido molto simile al “seme” maschile.
La Befana come figura della vecchia mater
Altra tradizione natalizia è quella che descrive una antica figura pagana, la donna-sacerdotessa del culto arboreo, le cui sembianze oggi sono quelle di una strana vecchina, molto simile alle numerose streghe perseguitate e arse nei roghi dalla stessa Inquisizione Cristiana. Essa ha avuto e ha tanti nomi con i quali è conosciuta, Ardoia, Berta, Donazza, Gianepa o Marantega ma oggi potremmo, chiamarla facilmente “befana”, la “vecia” portatrice di abbondanza e legata ai rituali di fertilità, che dispensa doni e “carbone” ai bimbi meritevoli ponendo i suoi regali in vecchie calze la cui forma ricordano fortemente la cornucopia.
Anche se la figura di questa donna dalle chiare origini pagane è stata successivamente trasformata e riadattata dalla moralistica religione Cristiana che le ha dato il potere di premiare o punire i bambini cattivi portando loro del carbone, essa è in realtà legata agli atavici rituali di fertilità, alle tradizioni dei fuochi sacri e del ceppo natalizio a cui il “nero dono” si ricollega fortemente. Il legame con i rituali di procreazione e di abbondanza lo ritroviamo anche in uno dei particolari iconografici che caratterizzano la figura, raffigurata sempre a cavalcioni su una scopa.
E’ in questo strano intricarsi di elementi che prende corpo l’immagine della scopa stregonesca, attrezzo magico che ricorda fortemente il bastone o la “bacchetta magica”, simbolo priapico e al tempo stesso legato all’albero. Sembrerebbe che la tradizione della scopa derivasse direttamente da antichi culti naturali nei quali il bastone era preponderante proprio perché simbolo dell’albero. Un esempio potrebbero essere i rituali dionisiaci dove un elemento importante era il Tirso, il mitico bastone dei satiri avvolto da foglie d’edera e vite e con in capo una pigna, legato alla fertilità a causa dei “frutti”, i pinoli, che nasconde nel suo seno.
In realtà la scopa, spesso dichiarato arnese delle streghe usata proprio dalle donne nei lavori domestici in realtà è un simbolo priapico come è facile intuire dalla sua stessa posizione tra le gambe della donna, un gesto di chiara magia “simpatica” che ricollega la vecchia figura a quelle antiche divinità che, assicurando la fertilità, portavano all’uomo il più grande “dono”, la vita e dunque la continuità della sua specie e l’abbondanza dei campi, l’alimento necessario per se stesso e la sua progenie.
Strane donne a cavalcioni di scope, alberi illuminati, piccole bacche bianche di vischio, atavici simboli che, nel santo periodo natalizio, ci fanno rivivere antiche tradizioni di un mondo e un culto oramai perduto di cui solo il simbolo rimane come unico monito: La Foresta.