di Andrea Romanazzi
Passeggiando in Corso Vittorio Emanuele II, giunti ad angolo con Via Cairoli, si nota una targa commemorativa dedicata a Luigj Gurakuqi. Non ne avete mai sentito parlare?
Facciamo un passo indietro, nel 1912 siamo di fronte all’ennesima crisi balcanica dovuta ad un indebolimento della Turchia dopo la guerra italo-turca. Le piccole nazioni balcaniche, tra cui l’Albania, ne approfittano e, sotto la spinta della Russia, creano una sorta di lega balcanica a cui aderisce anche il Montenegro e la Grecia, ma per questo vi suggerisco di leggere il capitolo “Quando a Bari passeggiavano i Sovrani” del mio saggio “57 Storie, Leggende, Curiosità di Bari e Dintorni che nessuno vi ha mai raccontato”.
Il 28 novembre 1912 viene dichiarata indipendenza dell’Albania, poi sancita con il trattato di Londra nel 1913 dove si decide che sarebbe divenuta un principato ereditario tedesco. Il 7 febbraio del 1914 Guglielmo di Wied, diviene “principe di Albania”. E’ il periodo storico dell’orgoglio nazionalistico, della determinazione dei popoli, eppure le potenze europee assegnano un sovrano straniero all’Albania.
La pace dura poco, il 28 giugno dello stesso anno viene assassinato, a Sarajevo, l’arciduca d’Austria Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este, evento che darà origine alla prima guerra mondiale. Al termine del più sanguinoso evento bellico della storia, Il presidente degli Stati Uniti, Woodrow riconosce finalmente l’Albania come stato indipendente. Non sarà tutto rosa e fiori. Diversi governi albanesi di idee politiche contrapposte. Nel 1924, dopo aver guidato la rivoluzione democratica albanese, diviene primo ministro Theofan Stilian Noli, tra l’altro fondatore della Chiesa Ortodossa Albanese, fino al dicembre dello stesso anno, quando la rivoluzione fallisce per la reazione di Ahmed Zogolli, sostenuto dal Regno di Jugoslavia e dai rifugiati bianchi.Zogolli si proclama Re degli Albanesi il 1º settembre 1928, istituisce una monarchia costituzionale e, come era in uso in quel tempo, cerca di eliminare tutti i suoi oppositori politici. E’ in questa vicenda che si inserisce la figura di Luigj Gurakuqi, poeta e patriota, uno tra i quaranta firmatari della proclamazione dell’indipendenza del 28/11/1912. Lo scrittore si forma a Napoli sotto il maestro Girolamo De Rada, si dedica alla Letteratura, alla Poesia e alla Pedagogia. Diventa un importante esponente della ‘questione albanese’ non solo dal punto di vista politico, ma anche e soprattutto linguistico. Scrive per la rivista La Giovane Albania, diretta da Francesco Petta e Giuseppe Schiro, pubblicata in lingua italiana e in lingua albanese, ma soprattutto, diventato membro del governo albanese, spinge per una scuola nazionale e soprattutto statale.
“quando parliamo delle nostre scuole, dobbiamo intendere solo quelle in cui si impara l’albanese, per di più, quelle in cui l’apprendimento sia di carattere popolare, basato sulle nostre tradizioni e consono ai bisogni nazionali”. Legato al nuovo romanticismo, Gurakuqi non riduceva il concetto di civiltà a quello di modernità ma asseriva che “la tradizione nutre lo spirito senza il quale il popolo non poteva formare un sentimento nazionale che era il primo passo verso la civiltà e il progresso”. Oggi chi di noi non gli darebbe ragione. Non solo letterato, il poeta-soldato, prende parte alla rivolta nella rivolta di Scutari nel 1911, alla rivolta nel sud dell’Albania nel 1912, e diviene sostenitore della Grande Albania, ovvero un territorio allargato ad alcune terre del Kosovo e della Çamerïa, che erano popolate da albanesi. Oppositore di re Zog, fuggito a Bari, il 2 Marzo del 1925, veniva accoltellato a morte da suo cugino proprio dove oggi s’ trova la targa.
Senza pretesa di dare un giudizio politico in questo breve scritto sulle figure di Gurakuqi e il re Zog, certamente a Bari moriva uno dei più importanti patrioti albanesi, sostenitore della Lingua e dell’educazione nazionale, che ebbe anche, tra l’altro, il grande merito nella costruzione dei programmi nazionali dell’educazione e dell’istruzione in lingua albanese.
Purtroppo Garakuqi non fu l’unico fratello albanese ucciso, a Bari, da pallottole albanesi. Alcuni anni dopo è il sangue di Mazar Sopoti ed essere versato sulle strade della città, colpito dalla “peste rossa”, e di cui si è perso il ricordo. Scrittore e direttore generale di tutta la stampa albanese nonché esponente di spicco del fronte nazionalista degli anni Quaranta, ben presto il suo impegno politico lo porta a essere, proprio come Garakuqi, un seguace del già citato Fan Stilian Noli. Successivamente si schiera politicamente con il Fronte Nazionale che aveva come obiettivo l’unione di Albania e Kossovo.
Nel 1929 si trasferisce a Bari dove diventa redattore capo della edizione in lingua albanese della Gazzetta del Mezzogiorno nonché speaker di Radio Bari che trasmette un libero notiziario per l’Albania. Nel 1938, nonostante fosse stato nominato redattore capo della “Gazeta Shqiptare” di Bari, invece di accettare una nuova carica in un giornale di Roma, Mazar decide di far ritorno a Tirana, sicuro di poter continuare il suo fiero lavoro di giornalista nel suo paese d’origine. Scrive in un articolo pubblicato su “Bashkimi i Kombit”, nr. 140 del 16-06-1944,
“I leggendari olocausti, le lotte titaniche e il nostro martirio per essere e restare davanti a chiunque quello che realmente e orgogliosamente siamo: Popoli dell’Aquila. […] Negare il passato, quello dei nostri nonni e bisnonni, per ogni albanese intelligente significa negare se stessi, quanto di più inconcepibile […] una nazione è grande solo quando la terra in cui vive è grande, larga e popolosa, ma soprattutto lo è nella capacità di dare una prova essenziale: quando riesce a trasformare in una vera realtà le sue energie spirituali. L’anima della nostra stirpe, nell’ottica dell’interpretazione della nostra storia, dall’antichità fino ai nostri giorni, si è sempre contraddistinta per indipendenza, libertà e albanità. Per questo la nostra stirpe è una nazione, per questo il nostro popolo vuole essere quello che è sempre stato ed è: integralmente albanese: nei sentimenti, nel sangue, nella lingua, nei costumi”.
Purtroppo il suo sentimento antislavo non viene molto gradito dal Partito Comunista albanese: giudicato nemico del popolo dal regime albanese filocomunista al servizio di Tito e di Belgrado, ritorna a Bari. Per due volte, nel 1944, i comunisti tentano di eliminarlo ma gli agguati non vanno a buon fine. Purtroppo in quegli anni, però, a Bari non riesce a trovare la giusta protezione: la città è diventata un importante centro antifascista e quindi un uomo di destra come Sopoti, benchè non avesse nulla a che fare con il fascismo, venne emarginato e posto in un centro profughi. È qui che viene ucciso da sicari comunisti, il 1 dicembre 1944, anche se viene messa poi in giro la voce che si sarebbe trattato di una morte accidentale per via di un’operazione alla gola. Le sue ossa disperse in una fossa comune del cimitero di Bari.
Sia a Destra che a Sinistra, ancora oggi, non piace il libero pensiero.
Come ognuna delle nostre storie, termino una ricetta, perchè il cibo,cultura di un popolo, possa fermare meglio il ricordo di tali racconti. Ed ecco il Tavë dheu, un piatto tipico di Tirana, da cuocere rigorosamente nel coccio, proprio alla “barese”. Si fanno soffriggere 150 gr di vitello a pezzi e 100 gr di fegato a pezzi con aglio e pomodorini per poi aggiungere un pò d’acqua e cuocere per 20 minuti. Quindi al termine aggiunto il “gjizë” una specialità albanese simile alla nostra ricotta.