Quelle melodie fra le piramidi

da un vecchia intervista giornalistica di MARIA MATALUNO  (senza fonte)

Gli egizi avrebbero per primi tradotto la musica in scrittura – I geroglifici furono anche usati come note – A colloquio con lo studioso Nedim R. Vlora – Un nuovo tassello per conoscere meglio la cultura di una delle più affascinanti civiltà antiche su essa iscritto, un nuovo tassello si aggiunge al mosaico di conoscenze su una delle più affascinanti civiltà antiche: gli Egizi, valenti matematici, astronomi e guaritori, e straordinari artisti e architetti, furono anche esperti nell’arte dei suoni e usavano segni alfabetici per annotare le armonie che i loro musicanti riproducevano su sistri, liuti e tamburi.

Per questo popolo la musica aveva una grande importanza sociale e religiosa. Chiamata hy (gioia), era considerata di origine divina, e perciò suoi custodi erano i grandi sacerdoti; ma era praticata da ogni ceto, da uomini e donne, e spesso accompagnata con la danza e il canto. Essa era strettamente legata alle osservazioni astronomiche e alle dottrine cosmologiche, e le sette note venivano associate ai giorni della settimana e ai pianeti allora conosciuti. Dea della musica, oltre che della danza, della poesia e dell’amore, era Hathor, venerata soprattutto a Dendera e raffigurata come una giovenca che offre generosamente il suo latte alle stelle per farle vivere e risplendere, o come una donna con corna e orecchie bovine.

Fino ad oggi gli studiosi avevano creduto che presso gli Egizi la musica fosse priva di una specifica raffigurazione grafica e che fosse trasmessa oralmente come accadeva in tutte le altre civiltà antiche, fatta eccezione per quella greca dove era in uso una notazione musicale che si fa risalire a Pitagora, il filosofo e matematico di Samo che sulla musica, sul concetto di numero e di armonia fondò la sua concezione del cosmo e della vita umana. Ma recenti scoperte hanno convinto il professor Nedim R. Vlora, docente di Astronomia culturale all’Università di Bari, e la musicologa Anna Caldaralo che furono gli Egiziani e non i Greci i primi a riprodurre la musica per iscritto.

I due studiosi, esaminando i due testi sacri della religione egizia, il Libro delle Piramidi e il Libro dei Morti, si sono accorti che alcuni geroglifici possono essere letti anche come note musicali: il la, per esempio, è raffigurato da una piccola spirale, mentre il re ha le sembianze di un avvoltoio. Di questa scoperta parlo col professor Nedim Vlora.

Professore, fino a poco tempo fa si credeva che gli antichi Egiziani non usassero una vera e propria notazione musicale, ma solo un sistema convenzionale di segni che davano indicazioni di tipo ritmico e melodico. Ora lei ci dice che non era così…

“Contro l’opinione diffusa tra storici ed egittologi, la musica non era trasmessa oralmente in Egitto, bensì accuratamente annotata nei testi mediante l’uso di geroglifici che, oltre a corrispondere a fonemi, costituiscono una vera e propria “grafia musicale””.

Come siete arrivati a decifrare la notazione musicale egizia?

“La professoressa Caldaralo mi domandò se nella scrittura geroglifica avessi notato l’uso improprio di segni. In effetti in alcuni testi i segni corrispondenti alle lettere dette “semivocali” – ovvero le consonanti “deboli” che, a seconda del contesto, possono valere anche come vocali, come la i di fiume o la u di uovo – e alla sillaba nu sono sovrabbondanti, mentre sono del tutto assenti o in minore quantità nelle stesse parole contenute in altri testi, quasi la grafia obbedisse a leggi sconosciute. Sicché suggerii di indagare in tal senso su testi sacri in lingua originale. L’ipotesi che quei segni potessero corrispondere a note si rivelò presto esatta”.

Qual era la funzione della musica nella cultura egiziana e che legame aveva con la religione?

“Dalla ripetitività ordinata e misurabile dei fenomeni celesti il sacerdote egizio aveva desunto che l’unico dio nel quale i figli del Faraone credevano avesse costruito l’universo in modo ordinato e armonico, in perfetto equilibro tra le forze contrapposte (giorno-notte, alluvione del Nilo-siccità, caldo-freddo, uomo-donna, bene-male ecc.). Pertanto la musica, che per l’Egizio rispecchia sulla terra l’armonia cosmica, diviene elemento essenziale non solo delle cerimonie sacre, ma anche della vita di tutti i giorni, quale momento di fusione tra dio e l’uomo”.

Gli Egizi conoscevano l’armonia? Quali erano gli accordi più frequenti nella loro musica?

“Probabilmente conoscevano l’armonia, e ciò è testimoniato dal fatto che nei dipinti e nei rilievi compaiano degli insiemi strumentali che probabilmente realizzavano delle combinazioni simultanee di suoni, o, appunto, armonie. Come è stato dimostrato dagli egittologi della prima metà del secolo, gli accordi usati sono quelli considerati naturalmente consonanti, come quelli di quarta, quinta e ottava”.

In che modo è possibile provare con certezza la corrispondenza tra geroglifici e suoni?

“I segni usati per la notazione musicale sono esclusivamente quelli relativi alle semivocali e quindi solo sette sugli oltre settecento usati nella scrittura egizia. La musica che risulta dalla lettura dei testi sacri ha una struttura che non è affatto casuale, ma, come hanno confermato i musicologi, corrisponde a canoni precisi. Tutti i brani cominciano e terminano con la stessa nota per indicare compiutezza – quale quella divina – oltre a imitare lo scorrere del tempo, che per gli Egizi è circolare. Ogni brano include un numero non casuale di note; raddoppiando questo numero si ottengono sempre valori astronomici, per significare la continuità tra l’armonia terrena e quella celeste, cioè la fusione tra dio e l’uomo. Astraendo solo le parole che contengono le note, si ottiene un riassunto compiuto dell’intero brano: lo stesso metodo fu impiegato nei canti sacri medievali”.

Generalmente si fa risalire l’introduzione dell’armonia e della notazione musicale a Pitagora, che vedeva uno stretto rapporto tra le note costituenti la scala musicale e l’armonia prodotta dal movimento dei corpi celesti. Anche le note egizie, secondo la sua teoria molto vicine a quelle pitagoriche, hanno valori numerici che corrispondono a quelli dei moti celesti. Dunque il modello di Pitagora fu la scala egiziana?

“Il modello di Pitagora è certamente dedotto da quello egizio, in cui la scala musicale riproduce l’armonia dei corpi celesti e alcuni fenomeni celesti. Il filosofo greco lo modificò lievemente per rispettare una certa progressione aritmetica”.

“Stiamo leggendo musica dai testi incisi nella piramide di Unas (V Dinastia) per evidenziare eventuali differenze tra la musica più antica e quella più recente (Papiro di Ani, XVIII Dinastia). Si tratta in ogni caso di testi anteriori alla diffusione della cultura greca in Egitto, cominciata solo dal VI secolo a. C. E stiamo scrivendo un libro sulle nostre scoperte. Nel giugno scorso abbiamo organizzato un concerto di musica egizia per un ristretto numero di cultori. Spero che presto possa essercene uno su scala più vasta, per far sentire a tutti questi accordi che tacciono da più di duemila anni”.

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