di Andrea Romanazzi
Il Green Man inglese, noto anche come Jack o’ the Green, è una tradizione popolare associata alla celebrazione del Primo Maggio. Questa usanza prevede la realizzazione di una struttura piramidale o conica realizzata in vimini o legno, decorata con fogliame, che viene indossata da una persona durante una processione, spesso accompagnata da musicisti.
La struttura, come detto, è realizzata in legno o vimini, ricoperta di fogliame intrecciato, inclusi rami verdi, foglie e fiori e viene indossata sulla parte superiore del corpo di una persona. Spesso presenta una fessura nella struttura che consente all’individuo all’interno di vedere, e i piedi dell’individuo possono essere visibili sotto la struttura.
La tradizione del Jack in the Green si sviluppò in Inghilterra nel corso del XVIII secolo, ma ha radici ancora più antiche. Originariamente, durante la celebrazione del Primo Maggio nel XVII secolo, le lattaie portavano secchi di latte decorati con fiori e altri oggetti in una processione. Nel corso del tempo, questi secchi decorati furono sostituiti da piramidi adornate di oggetti che venivano indossate sulla testa. Nella seconda metà del XVIII secolo, la tradizione fu adottata anche da altri gruppi professionali, come bunters e spazzacamini. Il primo resoconto documentato del Jack in the Green risale al 1770, in una descrizione di una processione del Primo Maggio a Londra. Nel corso del XIX secolo, la tradizione fu principalmente associata agli spazzacamini.
La tradizione del Jack in the Green andò gradualmente in declino all’inizio del XX secolo, ma nel corso del secolo successivo, diversi gruppi revivalisti hanno continuato a praticarla durante le processioni del Primo Maggio in varie parti dell’Inghilterra. L’usanza del Jack in the Green ha suscitato l’interesse di studiosi del folklore e storici fin dai primi anni del XX secolo. Inizialmente, Lady Raglan suggerì che fosse una sopravvivenza di un antico rituale di fertilità precristiano, basandosi su un’interpretazione influenzata da James Frazer e Margaret Murray. In particolare Frazer sosteneva che queste pratiche fossero espressione antropizzata dell’energia vitale della natura, associata al ciclo annuale di morte e rinascita. Teoria simile aveva Margaret Murray, una storica e antropologa britannica, che ipotizzava che il Green Man fosse una figura centrale nelle antiche religioni pagane europee, rappresentante il dio della fertilità e della vegetazione. Secondo la sua interpretazione, il Green Man era un simbolo dell’unione tra l’umanità e la natura, e la sua figura era associata a riti di fertilità e rigenerazione. Murray ha anche identificato il Green Man con il mitologico dio cornuto, presente in diverse tradizioni pagane europee. Legata al Green Man è la figura del Verde Giorgio o “Jack in the Green”. Anche in questo caso, secondo Hutton, si tratta di una sopravvivenza precristiana di una “figura molto antica” che rappresentava “l’estate stessa, l’antichissimo portatore del tempo dell’abbondanza “. Una interessante interpretazione è data da Lady Raglan nel XX secolo che, ispirandosi alle teorie di James Frazer, suggeriva che il Verde Giorgio fosse una sopravvivenza di un antico rituale di fertilità precristiano.
Sebbene ci siano somiglianze tra il Green Man e il Verde Giorgio, è importante sottolineare che il Green Man è un simbolo più ampio e antico, presente in diverse culture e tradizioni in tutto il mondo. Mentre il Verde Giorgio è una figura specifica dell’usanza inglese legata al Primo Maggio, ma entrambi, tuttavia, riflettono una connessione profonda tra l’umanità e il mondo naturale, sottolineando l’importanza di preservare e onorare la natura stessa.
Il Green Man Italiano
All’inizio la divinità è vista e concepita come immanente, essa permea tutto ciò che circonda il selvaggio, in una visione fortemente animista la vegetazione, l’animale, il cielo, sono espressione della divinità. Successivamente, con il passaggio dall’animismo al politeismo, una nuova idea si fa largo nella mente del primitivo, l’albero non viene più visto come divinità ma come sua dimora, lo spirito arboreo invece di essere considerato l’anima di ogni albero, diventa la divinità della foresta. L’evoluzione della antropizzazione dello spirito arboreo però prosegue e da fantoccio di paglia, simulacro del dio, acquista vere e proprie sembianze antropomorfe pur mantenendo, proprio come a Fossalto, le caratteristiche vegetazionali. Con l’avvento della religione Cristiana, l’evoluzione della divinità arborea è soggetta ad un’ultima evoluzione che porterà ad una ben precisa individuazione della stessa. La difficoltà da parte degli esponenti della Chiesa di allontanare le popolazioni contadine da questi rituali pagani costrinse gli stessi ad “inglobare” queste tradizioni e ad integrarle nelle nuova religione, ecco così che da nomi e cariche astratte lo spirito silvano diventa il Santo cristiano, il San Giorgio Verde degli slavi,o il San Jack in Green inglese Probabilmente il rimango a “giorgio” è legato ad una sorta di cristianizzazione di divinità pagane che garantivano la rinascita della vegetazione attraverso l’uccisione del buio e delle tenebre, e dunque dell’inverno, a favore della fertilità primaverile. Come detto sin ora la tradizione del Green Man è fortemente diffusa nel mondo anglosassone. Vi è però, anche in Italia una tradizione simile anche se poco nota. Parliamo della di Fossalto, comune del Molise, che si tiene il primo maggio. Fossalto è un antico borgo molisano che ha avuto origine come castrum medievale ed è poi diventato feudo delle famiglie Di Capua e Mascione. Qui, il primo giorno di maggio, si svolge una tradizione particolare che rappresenta l’antropomorfizzazione degli elementi vegetali, a cui viene dato il nome di “maio” o “pagliara”. Questa tradizione è presente anche in altre località molisane, come Bagnoli del Frigno, Bonefro, Casacalenda, Castelmauro, Lucito e Riccia. Proprio come nel caso del Green Man la figura della Pagliara è costituita da un uomo vestito con un mascheramento fatto di rami e erbe disposti in forma di cono e con caratteristiche antropomorfe più o meno evidenti, accompagnato da un corteggio di cantori e suonatori. Questa è una parte del testo del canto di maggio della Pagliara, “Ecchite maje”, registrato a Fossalto nel 1954 da Diego Carpitella e Alberto M. Cirese: «Ecchite maje e chi ò ri vò vedene / tutte li massaje i purtassene l’aine ammène / Signora padrona facciame na cosa lèsta / ca li cumpagne ce vuonne passà / e passa e repasseraje bene venga maje / Signora padrona e fai na cosa lèsta / si nin tì curtille / ji mo ti l’imprèste / Signora padrona vattin’a lu nide / si ‘n c’è l’uóve piglia la gallina / Signora padrona vatten’a lu lardare / taja ‘nchin’e guardati le mane / Chèssa figliola chi c’ai dà maritare / bbóna sorta Di ci li pozza dane / Signora padrona facéte na cosa lesta / ca li cumpagne ce vuónne passà / e passa e repasseraje bene venga maje / Jè arrivate maje e core pé la viarella / dèmme lavedat’alla famiglie di ri Canèlle / […]».
Scrive Alberto Cirese in La pagliara del primo in merito a Acquaviva Collecroce ma il rituale è del tutto simile a quello di Fossano
“...Il primo giorno di maggio un gruppo di uomini, tra suoni e canti, accompagnava il majo — e cioè l’uomo rivestito di erbe e di rami — innanzi tutto davanti la chiesa, dove veniva benedetto, e poi di casa in casa, per cantare strofette augurali di anno fecondo, e per ricevere donativi di cibarie da consumarsi poi in comune. Il «maggio» o majo era rappresentato da un uomo rivestito da una sorta di fantoccio di erbe e di rami sul quale si disponevano primizie e altri prodotti di stagione che, secondo queste notizie piti antiche, il prete serbava per sè. Cli accompagnatori del majo recavano rami adorni di nastri, strumenti musicali e cestini per raccogliere le offerte. Dinanzi ad ogni casa essi si dividevano in due gruppi e cantavano alternativamente le strofe del canto tradizionale, mentre il majo faceva salti e scherzi. Terminato il canto, e ricevute le offerte, le donne, dalle finestre, annaffiavano il majo con acqua, e questo, fuggendo con i suoi accompagnatori, cercava di sottrarsi al getto….”. Unica differenza è che a Fossalto non vi è un rimando specifico all’antropomorfo, scrive sempre il Cirese “…Fossalto. In quest’ultima località come del resto può ben vedersi dalla fotografia che mi pare opportuno unire,** il cono di erbe e di rami non ha sagoma umana: è veramente un pagliaio o una pagliara, come lì lo chiamano; e ricorda infatti assai da vicino le piccole capanne coniche, in uso in quelle campagne…”.
Le origini precise di questa tradizione non sono chiare, ma è probabile che sia legata alle antiche celebrazioni pagane in onore della fertilità della terra e della rinascita della natura. L’elemento vegetale rappresentato dalla Pagliara simboleggia il legame tra gli esseri umani e l’ambiente naturale circostante, sottolineando l’importanza di preservare e onorare la natura stessa. Nella tradizione della Pagliara di Fossalto, oltre al mascheramento dell’uomo con rami e erbe, un elemento distintivo è l’usanza di gettare acqua dai balconi durante il giro cerimoniale. Questo gesto, noto come “acquaio”, è una parte integrante della festa e ha diverse possibili spiegazioni e influenze culturali. Una possibile spiegazione dell’usanza di gettare acqua dai balconi durante la Pagliara è collegata alla purificazione e alla rinascita simbolica che caratterizzano il rito. L’acqua, elemento vitale per la crescita delle piante, viene utilizzata per “benedire” la comunità e favorire la fertilità del terreno. Gettare acqua dalle finestre rappresenta quindi un gesto propiziatorio per assicurare un’abbondante stagione agricola e il benessere della comunità. Un’altra possibile spiegazione dell’usanza dell'”acquaio” potrebbe derivare da influenze culturali slave. Durante il periodo medievale, il Molise fu coinvolto in un’intensa interazione con le popolazioni slave dell’Europa orientale, che si insediarono in queste regioni. Alcuni studiosi suggeriscono che l’usanza di gettare acqua dai balconi durante la Pagliara potrebbe essere stata influenzata da antiche tradizioni slave. Nelle culture slave, infatti, l’usanza di gettare acqua durante le celebrazioni è diffusa e assume diversi significati. In alcune festività slave, come il Kupala, l’acqua è considerata un elemento purificatore e protettivo, in grado di allontanare gli spiriti maligni e portare fortuna. Il gesto di gettare acqua potrebbe quindi riflettere l’influenza di queste tradizioni slave nella Pagliara di Fossalto. Non ci sono altri riferimenti simili in Italia. Non rimane che recarsi a Fossalto.
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