di Andrea Romanazzi
Nella letteratura popolare medievale e rinascimentale un topos fortemente diffuso, poetico e suggestivo, è quello dell’Acqua della Vita, ovvero della mistica fonte della giovinezza che ha il potere di resuscitare o di ringiovanire l’uomo.
Il tema è molto antico, l’acqua è da sempre elemento cosmogonico per eccellenza, essa crea, guarisce, rigenera e purifica. Il sacro liquido ha da sempre colpito l’uomo antico a causa dalla sua comparazione con l’umidità del “sesso” femminile e dei liquidi naturali secreti dalla donna che avvolgono l’infante al momento della sua nascita. Elemento importantissimo del culto diventano così le sorgenti, come testimoniato da ritrovamenti nei loro pressi di ceramiche votive dell’Eneolitico. Il culto delle acque è presente poi nel mondo classico. Pausania narra di come alcune divinità traevano la loro energia dalle acque. E’ questo il caso di Hera la quale ogni anno, per celebrare il mistero delle nozze con Zeus, si tuffava nelle acque di una sorgente chiamata kanotos per recuperare la sua verginità, e stessa cosa faceva Atena tra le onde dell’Inaco. Un altro mito classico è quello della dea Juventa la quale, trasformata da Giove in una fontana, aveva la virtù di ringiovanire chi da essa si abbeverava. Da questi racconti si desume chiaramente il valore che assume il bagno rituale nelle religioni pagane ed in particolare nei culti delle grandi dee della fecondità e dell’agricoltura. Nella tradizione autoctona italica, legate al culto dell’acqua, riecheggiano il nomi della Dea Meftis, antica divinità locale osca della fertilità e prosperità connessa con il culto delle sorgenti e di Artemis Bendis.
Il Cristianesimo non è indifferente alla tradizione della mistica fonte e dell’acqua della vita. Importanti testimonianze di questo elemento le troviamo nel De Origine Animae di Sant’Agostino che parla di come a Santa Perpetua fosse stato concesso di vedere il fratello defunto “…aggirarsi pieno di bellezza e di salute in una splendida dimora bevendo acque miracolose entro una coppa d’oro…”. E’ poi lo stesso Gesù che ricorda il simbolismo dell’acqua della vita quando dice “…chi berrà dell’acqua che io gli darò non avrà mai sete, anzi l’acqua che io gli darò diverrà in lui una fonte d’acqua saliente in vita eterna…” Ovviamente il Cristianesimo però ne cambia profondamente i significati. La “fonte” non è più lenitrice di mali fisici, ma diventa purificatrice e rigeneratrice per l’animo e la vita ultraterrena: essa è così metafora della comunione eterna e la purificazione da ogni peccato. Anche dal punto di vista iconografico al tema della fontana “profana” proveniente da Oriente che proprio nel periodo Medievale raggiunge la sua massima diffusione, si contrappone una fontana “sacra”, la figura del Cristo messo in croce dalle cui piaghe sprizzano getti di sangue (Fig.1).

La tradizione parla ad esempio della ferita prodotta al costato del Cristo da Longino e al sangue misto ad acqua che, sgorgando da questa e finendo negli occhi malati del milites romano, lo guarisce. Ad Oporto nella Chiesa della Misericordia esiste un dipinto, “la fontana della vita” ove è raffigurato Gesù la cui croce è infissa dentro una enorme vasca piena del sangue che cola dal suo corpo. Scena simile la troviamo in Francia, a Vendome, ove in una vetrata è raffigurato il sangue del Cristo che si raccoglie in una fontana ove Adamo ed Eva si bagnano. Il messaggio della fonte che riconduce a novella vita e cancella i peccati “mortali” è davvero molto chiaro. E’ dunque il concetto del sangue del Cristo che dona la vita, un tema che, al pari della mistica fontana “profana” orientale, spopola nel mondo cristiano soprattutto nel periodo delle Crociate dove questa “nuova acqua”, il sangue del Messia, è simbolo di salvezza e di fede. Dalle desolate lande orientali così venivano così riempite ampolle con il “sangue del Cristo” poi portate in reliquiari in Europa. Queste reliquie sono ancora oggi ben visibili in molte cattedrali e chiese occidentali come l’ampolla conservata nella cattedrale di Bruges, forse una delle più importanti reliquie cristiane, giunta in Belgio nel tredicesimo secolo, o ancora le ampolle sacre presenti nella Basilica di Sant’Andrea a Mantova. Queste ampolle, la cui tradizione vorrebbe portate nella città proprio da Longino, avrebbero poi guarito Papa Pio II, gravemente malato.

Il misterioso regno di “Prete Gianni”
Tornando però al tema più propriamente legato alla Fonte di Giovinezza, Il tema dell’acqua che ridona la salute acquista grande diffusione nel periodo medievale. Dal 1100 questo elemento costituisce il topos letterario più diffuso dei bestiari e dei romanzi cortesi. L’area di diffusione è quella franco provenzale, come testimoniato da Filippo de Thaon che, nel suo “Bestiaire”, datato 1119, parla di “une fointaine dunt l’ere est clere e saine” e stessa tradizione ritroviamo nella “Conquista di Gerusalemme” di Richard le Pelerin del 1200.
La tradizione romanzesca vuole queste sacre fonti posizionate in terre esotiche orientali. Lo scrittore Huon de Bordeaux, ad esempio, ne indica una nel giardino dell’Emiro Gandise, e allo stesso modo è nota la leggenda del famoso regno di Prete Gianni ove vi è una fonte che “fit rajovenire la gent”. La figura di questo mistico sovrano è poi un mistero nel mistero. Se infatti inizialmente si immaginava Prete Gianni come una figura fantastica tipica del mondo medievale, ultimamente si è dimostrata la sua reale esistenza. Il nome deriverebbe infatti da un errore di traduzione nella lingua D’oc del veneziano “Preste Zane”. Ben lungi da esser solo una leggenda, Prete Gianni sarebbe stato un sovrano della Cina Settentrionale in un periodo tra 906 e il 1125 (Fig.2). Il “Gianni” però noto alle cronache medievali occidentali sarebbe stato, però, uno dei suoi eredi, detentore di questo titolo “sovrano-sacerdotale” a cui si attribuiscono, tra l’altro, alcune famose lettere note con il nome di “Lettera del Prete Gianni”, scambi epistolari tra questa enigmatica figura e i più importanti sovrani europei, come Manuele I imperatore di Bisanzio o Federico Barbarossa.
E’ proprio in questi scritti che Prete Gianni, descrivendo le meraviglie del suo palazzo, racconta di una fonte la cui acqua “…non ha l’eguale per fragranza e per sapore, e che non esce da quelle mura, ma corre da uno a un altro angolo dei palazzo, e scende sotterra, e correndo quivi in contraria direzione, ritorna là d’onde è nata, a quella guisa che torna il sole da Oriente ad Occidente. L’acqua ha il sapore di quella cosa che colui che la gusta può desiderare di mangiare o di bere, ed empie di tanta fragranza il palazzo come se ci si manipolassero tutte le sorta di balsami, di aromi e di unguenti…”.
La Fonte di Giovinezza e i nuovi mondi
La leggenda dell’Acqua che dona la giovinezza non è poi estranea all’area indiana. Nel XIV secolo Giovanni di Madeville descrive un suo viaggio in India nel quale parla di una fontana miracolosa vicino la città di Polambe che avrebbe potuto guarire da ogni male.
E’ il periodo delle grandi esplorazioni e con esse si moltiplicano le leggende di uomini e mercanti che casualmente, durante il loro viaggi in Oriente, assetati, si abbeverano ad una fonte che poi scoprono esser proprio quella della giovinezza per poi vivere più di 300 anni. Queste credenze le ritroveremo così nelle Americhe, ove successivamente sarà collocata la mistica fonte di vita. Con la scoperta del Nuovo Continente, infatti, iniziano a fiorire leggende sul suo posizionamento in Florida, terra scoperta all’inizio del XVI secolo dall’esploratore spagnolo Juan Ponce de León. Esploratore e conquistatore spagnolo, nato nel 1474 a Santervás de Campos, in Spagna, nel 1513, Ponce De León guidò la prima spedizione europea sulle terre di quel continente sconosciuto che Ponce De León chiamò Florida (Fig.3). E’ tra i suoi diari che troviamo la narrazione della favolosa ricerca della fonte della giovinezza, già tentata da molti uomini prima di lui. Sarebbe infatti stato il primo governatore di Porto Rico a tentare la ricerca della fonte insieme ai propri cartografi nell’arcipelago dei Caraibi. Affascinato dai racconti dei nativi portoricani e aiutato da carteggi di antichi saggi, Ponce de Leon partì con la propria flotta alla ricerca della fonte. Un resoconto di questo viaggio appare anche nella Historia General de las Indias di Francisco López de Gómara del 1551.
Purtroppo questa ricerca gli fu fatale, nel tentativo di colonizzare queste terre, l’esploratore fu ferito e subito imbarcato sulla sua nave per far ritorno a Cuba dove morì all’età di 46 anni a causa delle ferite infette. Se dunque fisicamente, ovviamente, la “fonte” non fu mai trovata, certamente divenne il simbolo delle floride terre ignote, il tema del mitico paradiso terrestre o della più pagana terra di cuccagna, idealizzate con le terre lontane ove trovatori e viaggiatori narravano delle più impensabili bellezze.
Il Paese di Cuccagna
E’ da questo mito che ne nasce un altro, il Paese di Cuccagna, il luogo ove la fantasia delle persone disagiate si rifugiava alla ricerca di quello che la vita non poteva garantire loro.
Una delle più antiche testimonianze del paese di Cuccagna è quella presente nel Decamerone di Boccaccio quando il giovane Maso parla con l’altro personaggio della storia, Calandrino, descrivendo una terra “…che si chiama Bengodi,nella quale si legavano le vigne con le salsicce, e avevasi un’oca a denaro e un papero per giunta. Et eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che fare maccheroni e ravioli, e cuocergli in brodo i capponi, e poi li gettavan quind giù, e chi più ne pigliava, più se ne aveva. E ivi presso scorrea un fiumicel di vernaccia, della migliore che si bevve, senza avervi dentro un sol goccio d’acqua…”
La descrizione più precisa però di questo mistico reame è presente nella “Historia nuova della città di Cuccagna”, attribuita ad Alessandro e Bartolomeo da Siena e redatta nei primi anni del ‘400.
Il fatto stesso che, appunto, questa opera fu chiamata con il termine di “storia nuova”, presuppone una già notevole diffusione, almeno per via orale, di questo tema, almeno nella tradizione italiana. Ecco che però sarà con il ‘400 che il tema pare esplodere proprio con i nuovi viaggi e le rotte commerciali.
Infatti il paese di Cuccagna è il mondo magico e leggendario del lontano orizzonte, luoghi da dove provenivano le più importanti e danarose merci, ove l’uomo poteva godere dei frutti della terra senza lavorare, come descritto in un breve poemetto del 1500 “lo aviso et vision venuto alli berberi”, ove si dice “…questa è la terra di latte e miele, che gli animali nascondon senza fele, un fiume di tal sorta qui si trova, sei hore acqua scorre, poi se ne renosa, quattro fiate si muta alla giornata, in dolce vin e in latte e poi gioncata…”
Il più famoso racconto del paese di Bengodi è però la “storia di Cipriano il Contadino”, la tipica narrazione popolare che narrano di un povero che, grazie alla sua astuzia, riesce a trionfare.
Ebbene ecco che il narratore pone il leggendario luogo dentro un giardino ove le vigne sono legate con salsicce e vi scorre un fiume di vino e alte montagne, del tutto simili a quelle boccaccesce ove “…v’è di cacio grattuggiato, et una donna che fa maccheroni, e favvisi laggiù di gran bocconi…”.
Ecco però che appare anche il tema sessuale, così “…et evvì ancora di molte zitelle, che seco stan sempre a sollazzare, che non vedesti mai forse più belle. I’so che vi faria meravigliare con lor acconciature, e con gonnelle che in quel paese l’usan portare, con baci e gentilezze che ti fanno, da non partirsi da lor di quest’anno…”.
Ovviamente queste narrazioni si associano agli avventurosi racconti dei pellegrini e dei carovanieri, sempre pronti a raccontare degli immaginifici luoghi ove si recavan in Oriente, e delle loro testimonianze che arricchirono la novellistica locale “…io son stato nel paese di Cuccagna, o quante belle usanze son fra loro! Quello che più dorme più guadagna…Io ci dormì sei mesi, o sette foro, solo per arricchire in quel paese. Pensate io guadagnai un gran tesoro…La non ci parlar di lavorare che subito ti mettono in prigione e un anno dentro ti ci fan stare…”.
Ancora una volta però è il tema dell’Immortalità a farla da padrone: il giardino del paese del Bengodi, rievoca le terre iperboree, si trasforma ad un tratto in “isole della fortuna”, che ripropongono, ancora una volta, leggendari luoghi, già noti nelle antiche mitologie, come ad esempio l’Avalon delle culture nordiche.
Del resto tutti i popoli e tutte le letterature hanno nel loro bagaglio culturale il tema del “paradiso” dell’età dell’oro, di un mondo ove la terra produceva i suoi frutti senza dover lavorare. E’, in alcuni versi, lo stesso tema dell’Eden, il giardino primordiale, sicuramente uno degli archetipi del tema di Cuccagna, al cui centro era sempre presente la mistica fonte.
La Fonte della Giovinezza in Italia
Non sarà un paese del “Bengodi”, ma se in Italia volete “vedere” una fonte della giovinezza dovete recarvi a Saluzzo, in Piemonte. Qui, nel Castello della Manta, vi è forse il più antico affresco raffigurante questo elemento, datato 1200. La struttura del castello è frutto di aggregazioni posteriori all’impianto originario del XII secolo. L’edificio, trasformato nel tempo in dimora signorile, iniziò ad assumere la fisionomia attuale solo all’inizio del Quattrocento grazie all’opera della famiglia Saluzzo della Manta, originata da Valerano, figlio illegittimo del marchese Tommaso III di Saluzzo. Numerose sono gli ambienti che lo caratterizzano tra cui la famosa sala baronale dove si conserva il più importante ciclo pittorico del castello. L’opera, completata poco dopo il 1420, è attribuita all’anonimo pittore Maestro del Castello della Manta che rappresenta una serie di eroi ed eroine, da re Artù a Carlo Magno, quasi a grandezza naturale su un prato fiorito (Fig.4-5). La raffigurazione però più interessante è quella della Fonte della Giovinezza. La scena è diviso in tre episodi un triste corteo di vecchi che si avviano alla fontana speranzosi di poter giornaliere la fase del bagno e quindi il ritorno alla gioventù (Fig.6-7).
Fontana della Giovinezza, alla quale si attribuivano le virtù di ringiovanire i vecchi, di restituire verginità e bellezza alle dame, e preservare dalle malattie. La narrazione del mito è costituita da tre momenti: la corsa alla fonte, i bagnanti, i ringiovaniti.
Qui si vedono rappresentati uomini anziani che in processione si dirigono verso la fontana e che dopo un bagno nelle sue acque riacquistano la gioventù perduta.
L’Ancona descrive così la raffigurazione: “…sorge in mezzo ad un prato fiorito ed è di forma poligonalem nel centro un piedistallo regge una seconda tazza polilobata, ricoperta in alto da un baldacchino gotico, tutto a pilastri e pinnacoli…Presso il fonte ferve movimento e vita. A sinistra i nuovi arrivati si affrettano a deporre le vesti e si aiutano a vicenda…Ma eccoli tutti nelle acque, lieti, trasfigurati. La triste vecchiaia è sparita e con essa ogni guaio: tornano gli anni felici e i palpiti d’amore. Stretti abbracci e lunghissimi baci appassionati sono le prime manifestazioni della vita rinnovellata…”
Raffigurazione simile è presente nel Palazzo dello Steri a Palermo ove tra il 1377 e il 1380 vengono dipinte scene di cicli cavallereschi che non dimenticano la misteriosa fontana, ed ancora il tema dell’Acqua della Vita lo ritroviamo a Modena, inciso in un miniatura di un codice De Sphoera del XV secolo conservato nella Biblioteca Estense di Modena.
Tuttavia è nel Salone delle Grottesche che troviamo l’arazzo più misterioso e a cui non è ancora stata data una spiegazione certa. Sul soffitto del salone, voluto nel 1560 da Michele Antonio della Manta, troviamo la rappresentazione del Carro infuocato del profeta Elia. A fianco, in un ovale, vi sono tre putti; dalla parte opposta, sempre in un ovale, è rappresentato un mappamondo con la scritta “SPIRITUS INTUS ALIT” (lo spirito alita dentro). E’ questo il vero mistero irrisolto del castello: su di esso sono infatti rappresentati l’ Europa, l’ America e l’ Antartide, continente che sarebbe stato scoperto solo circa duecento anni dopo.