di Andrea Romanazzi
Il culto del Gatto e i culti nordici
Dall’Egitto ci spostiamo nel mondo nordico. Qui troviamo la dea Ceridwen a cui piaceva tramutarsi in un gatto nero e Freya, dea dell’amore sessuale, della bellezza, della seduzione e della fertilità, che viaggiava su un carro trainato da due gatti volanti, uno maschio e uno femmina, espressione della vita e della morte, del buio e della luce.
La tradizione vuole che, svegliata da tremendi frastuoni causati da Thor che cavalcava un carro trainato da due capre, Freya attirò rapidamente l’attenzione del dio sgridandolo per così tanto rumore fino a farlo allontanare verso un fiume. Qui il dio fu colpito da una adorabile canzone che lo rilassò a tal punto da farlo addormentare. Si trattava del dolce suono di una gatta che cercava di far dormire i suoi cuccioli Bygul e Trigul. Thor pensò che sarebbero stati un bel regalo per farsi perdonare da Freya che infatti, appena visti, se ne innamorò e li accolse subito per far trainare loro il suo carro. Non mancano racconti su eroi legati alla figura del gatto come quello sulle imprese del re irlandese Cairpre detto “Testa di gatto”, mentre altre leggende narrano di un’isola abitata da uomini con testa felina e da guerrieri con elmi ricoperti dalla pelliccia di gatti selvatici che incutevano grande timore ai loro nemici. Probabilmente questa tradizione si riferisce alla tribù dei Kati, presente nel Caithness, il “promontorio dei gatti”, nel Sutherland. Del resto per l’antico, travestirsi con le pelli dell’animale equivaleva a trasformarsi nello stesso acquisendo i suoi poteri e le sue capacità come testimoniato dai cacciatori Pawnee o i Mau-Mau, gli uomini leopardi piaga e terrore dei soldati inglesi nelle colonie del centro Africa o ancora i guerrieri nordici Ulfhednar, le teste di lupo e i non lontani cugini Berseker, i camici d’orso. I Gatti viaggiavano abitualmente sulle navi vichinghe con lo scopo di cacciare i topi.
Resti del gatto egiziano sono stati trovati nel porto commerciale vichingo di Ralswiek sul Mar Baltico del VII secolo d.C. Anche nel druidismo il gatto è considerato sacro. La dea Brighid, nota nella tradizione irlandese come “la figlia dell’orso”, aveva un gatto come compagno. Nella tradizione gallese la dea Ceridwen, nella sua manifestazione come la grande scrofa Henwen, avrebbe dato alla luce un cucciolo di lupo, di aquila, di ape e di gatto. Philip Carr Gomm, capo scelto dell’Ordine dei Bardi, Ovati e Druidi, OBOD, ne L’oracolo dei druidi, enfatizza il legame tra il gatto e la Dea Madre venerata dai celti mentre di “druidic beasts from the cave of Cruachan” parla N.J. Princeton proprio in merito al gatto.
Il Gatto nella tradizione russo-siberiana
Furono probabilmente le navi vichinghe a portare il gatto in Russia. Del resto “Rus” è un termine introdotto durante l’Alto Medioevo per indicare le popolazioni scandinave che vivevano nelle regioni che attualmente fanno parte di Ucraina, Bielorussia e Russia occidentale. Per i popoli slavi i gatti erano animali potenti nella lotta contro gli spiriti maligni. Del resto un tempo i Rus vivevano principalmente nei villaggi e ogni casa aveva un gatto come rimedio anti-topo. A causa del freddo, il felino russo era caratterizzato da un lungo pelo. Si parla così di gatto delle foreste siberiane, di solito chiamato semplicemente gatto siberiano o siberiano, un’antica razza che ora si crede essere l’antenato di tutti i gatti a pelo lungo. Se nella tradizione sciamanica asiatica non si riscontrano tradizioni scritte legate all’animale, è nel politeismo slavo che lo troviamo legato a Weles, dio delle pianure, degli inferi e del bestiame e a dio del tuono Perun. Molteplici sono poi le fiabe e i racconti popolari che narrano di gatti-eroi. Nel racconto russo “Kip the Enchanted Cat“, si narra di esseri umani trasformati in gatti da una maledizione di una strega. Allevati da una principessa alla fine si tramuteranno in bellissimi principi che si sposeranno poi con altrettanti reali. Protagonista di molte storie di avventura era poi il gatto “Blu di Russia”, che, si narra, cavalcasse con i cosacchi e viaggiasse sulle navi mercantili slave. In Europa viene conosciuto per la prima volta in Inghilterra nel lontano 1860 sbarcando da una nave che aveva in precedenza attraccato presso la città portuale di Archangelsk, nell’estremo nord della Russia. Noto per la sua bellezza, fu un gatto molto amato dalla famiglia reale inglese e dagli zar, che ne apprezzavano il carattere mansueto e l’aspetto aristocratico. Fu Pietro il Grande, fondatore di San Pietroburgo, a portare con sé un felino di ritorno da un viaggio in Olanda. Successivamente sua figlia, l’imperatrice Elisabetta ordinava di mandare a corte numerosi gatti per la caccia ai topi. Anche quando il palazzo reale fu trasformato poi nel Museo dell’Hermitage, i felini non furono mai cacciati. Tutt’ora qui vive una colonia di gatti che risiede nel seminterrato del museo con tre custodi dedicati ai loro bisogni e un piccolo ospedale. Nel maggio 2013, se ne contavano ben 74 gatti, di entrambi i sessi. Ancora oggi il museo organizza il Cats Day, una giornata all’anno in cui il pubblico si mette in coda non per visitare i Velásquez, Caravaggio o Matisse ma i felini.
