Il Gatto tra Magia e Folklore (Parte 4: Le persecuzioni nell’Europa delle Streghe)

di Andrea Romanazzi

Il Gatto e la stregoneria in Occidente

Il gatto dunque simbolo di prosperità e benessere? Non sempre e non in tutte le epoche. In realtà la prima demonizzazione del gatto non avvenne, come si potrebbe pensare, con l’avvento del Cristianesimo ma molto prima, nella cultura ebraica.

Cosa non troppo strana, dato che esso era sacro al mondo egizio, cultura ad essa “antagonista”. Il cristianesimo si limitò a esacerbare questo aspetto. Tra il 1000 e il 1700 furono bruciati sul rogo milioni di gatti insieme alle loro padrone, perché espressione e incarnazione del Male. Ecco così che san Domenico, nei suoi sermoni, identificava il gatto con il diavolo e negli atti della sua canonizzazione si narra che egli avesse sconfitto un enorme felino nero con occhi e lingua fiammeggianti. Fu poi nella bolla papale “Vox in Roma” del 1233 che Gregorio IX descrisse questi animali come portatori di sventure e protagonisti scelti dei Sabba ai quali era abitudine baciare le parti posteriori. Allo stesso modo, il gatto fu accostato alla setta eretica dei Catari attraverso un’errata etimologia che farebbe provenire il loro nome da cattus. L’ufficializzazione dello sterminio dei felini, soprattutto quelli col pelo nero o rosso, avvenne quando si decise che ogni buon fedele di Dio che ne incontrasse uno era tenuto a inferire sulla povera bestia strazianti pene. Così, nel 1484 papa Innocenzo VIII decretò che qualunque donna avesse dato del cibo ai gatti poteva esser accusata di stregoneria, ed è forse da qui che nasce la figura della “gattara” che popola molti racconti italiani. Le fobie nei confronti dei felini dovettero avere origine nelle numerose confessioni di streghe, che ammisero di introdurre gli animali nelle case delle loro vittime per far malefici e di recarsi alle riunioni malefiche sotto forma di gatti. Per fare qualche esempio ricordo la storia della fattucchiera Chicchera di Navelli, in provincia dell’Aquila, che era solita recarsi a Benevento sotto forma di gatto: “Con un’ora vado e vengo alla noce di Benevento”.

Anche Matteuccia da Todi, una delle presunte streghe più note in Italia, confessò che era solita recarsi al Sabba del mistico noce tramutata in gatto: “…e immediatamente appare davanti a lei un demonio con l’aspetto di capro e lei stessa trasformata in gatta, cavalcando sopra lo stesso capro e andando sempre per fossati, va al detto noce sibilando come un fulmine…”. I racconti di streghe “infilzate” per questo motivo testimoniano dunque un tessuto di credenze e timori ben diffuso sul territorio. Secondo molte tradizioni popolari, quando ad un gatto gli si cavava un occhio o amputato un arto, puntualmente il giorno dopo, nel paese venivano ritrovate donne con un occhio o un arto mancanti. 

Per fare un esempio, riporto una storiella abruzzese, simile a moltissime altre presenti sul territorio nazionale pubblicata da Di Giacomo, ne Leggende del diavolo, per Universale Cappelli:

“…Una donna aveva un figlio solo, che dovendosi accasare aveva scelto aveva prescelto una giovane di suo genio … a capo di nove mesi nacque una bellissima bambina … non aveva cominciato a mettere i denti ed era grassa e grossa. Ed ecco che a poco a poco, manca, manca e muore … la stessa cosa per altre cinque creature, che vennero appresso … Fu raccomandato al giovane di stare attento nella notte, e di far dormire la novella creatura vicino a sé e quando vedesse un gatto sul letto, subito corresse a cercarlo … Una notte dopo aver udito un rumore come di vento alla porta della camera, sente qualcosa sul letto, si volta e vede una gatta. In un momento afferra la gatta e, con il rasoio che aveva preparato sotto il cuscino, le taglia il piede. La mattina appresso, la madre si alzava e guaiva. Va il figlio “mamma che hai?”. “Figlio mi hai ucciso, mi hai ucciso”. E vide che aveva la mano tagliata…” Narrazioni simili parlano di misteriosi gatti che, di notte, si aggiravano nei pressi delle culle di bimbi appena nati. Nel 1612 a Coredo, in Val di Non, furono processate alcune streghe, accusate di operare malefici dopo essersi trasformate in gatti: “…ho sintuto dire che, essendo andata una gatta già alcuni anni, in casa di Fidrizza di Fidrighi, che la sgnaolava sì che non potean farla tazer, un fratello detto Fidrigo gi cacciassi in bocca uno stizzo affocato et che la mattina seguente fussi vista detta Tornella con un fazol intorno al col, volendo dir che lei la fussi quella gatta…”. Infine, nel processo di Nogaredo troviamo scritto “…e divenni piccola piccola in forma di gatto, et andassimo di compagnia in casa Sparamani, entrando per la parte della stalla di sotto … et arrivate dove detto Cristoforo era in letto solo, che dormiva, cominciò ad ontarlo aiutandola sempre la Mercuria, et incominciarono dal capo sino alii piedi, né mai esso si mosse dal sonno, né io mai le aiutai…”. La figura del gatto era particolarmente legata ai rituali amorosi, che poi sfociarono nel Sabba. Ecco così che nelle zone alpine si usava, nel mese di febbraio, giocare al “gioco del gatto”: i ragazzi del borgo andavano a trovare furtivamente le proprie donne arrampicandosi di notte sulle cataste di legna o sui tetti. Tale usanza era talmente diffusa nel paese che, quando all’interno della casa si udivano strani rumori, gli stessi genitori della ragazza ripetevano la frase: “C’è il gatto, chiede che gli aprano”.  Anche in questo caso le origini del rito sono antichissime: era infatti Diana che insegnava alle donne come andare a trovare i propri uomini assumendo le sembianze del felino. L’animale divenne simbolo dell’amore segreto, sentimento atavico che va riposto nel più profondo antro del cuore. Così, chi percorre il sentiero d’Amore si lascia guidare dal gatto, perché con lui non esiste l’oscurità. Poiché questa tradizione fu presto bandita, i giovani continuarono a incontrarsi clandestinamente, spostandosi negli antri e in altri rifugi alpini ove si suonava una musica frenetica, in alcuni casi detta “musica dei gatti”.

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