di Andrea Romanazzi
Tutto l’arco alpino è caratterizzato da una fortissima devozione contadina e popolare che si manifesta nelle tantissime edicole che costellano le strade dei territori e nelle piccole chiese montane spesso dedicate a santi dai nomi più strani e curiosi.
Se guardiamo al Piemonte, ad esempio, troviamo il culto di San Nen, santo assolutamente sconosciuto a tutte le agiografie. Nel monferrino appare San At e San Guinass, protettore di guadi e ponti. Nelle valli di Lanzo troviamo san Sion, colui che cura le fratture, il cui nome, sion, in dialietto significa “erba selvatica da foraggio” e San Tutt, nominato un’unica volta nel testo del 1300 il Pardo di Dio. In val Cenis troviamo San Driè, il guaritore delle pecore. In val di Susa è fortemente venerato San Culot, citato unicamente da Gioffredo Peretta nel suo Chronicon de Veanus, insieme a San Cre e San Fasson, quest’ultimo legato ad un culto rurale alpino dagli allevatori di bestiame. Infine un certo presente San Sairon, patrono dei funghi, è presente nel saluzzese, dove, nel dialetto locale, con il termine sansairon si indica appunto il fungo prataiolo, mentre tra gli alpigiani valdostani è veneratissimo San Giut, un Santo Guaritore, il cui nome deriverebbe dal termine gui, ovvero “vischio”, una reminiscenza degli antichi culti druidici. L’elenco potrebbe continuare per varie pagine. Si tratta di santi inventati o antichi culti antropomorfizzati e successivamente fagocitati dalla nuova religione? Sta di fatto che questi sono solo pochi esempi di questa strana devozione popolare.
I martiri Tebei: un massacro tra Svizzera e Piemonte
Il culto più diffuso, però, tra le valli piemontesi, valdostane e lombarde è quello dei Martiri della Legione Tebea, santi dai nomi così strani e dalle agiografie così misteriose da far dubitare della loro esistenza ma a cui è fortissima la dedizione alpina e contadina. Secondo Eucherio, nella sua Passio Acaunensium Martyrium, questa legione era composta interamente da africani cristiani che prestavano servizio ai confini orientali dell’impero. Qui sorge il primo interrogativo, che ci facevano degli egiziani tra le Alpi e perché non utilizzare formazioni locali avvezze al territorio montano? Sta di fatto che, dopo aver combattuto in Gallia, la legione fu utilizzata contro le rivolte contadine dei Bagaudi, una popolazione celtica seminomade stabilita nel Canton Vallese, a confine con la Valle d’Aosta e province di Vercelli e Verbano-Cusio-Ossola, che aveva abbracciato la religione cristiana. Eucherio narra che i soldati, quando Massimiano ordinò di attaccare tale popolazione, si rifiutarono proprio perché adoratori dello stesso dio. Al mattino, mentre le trombe imperiali suonano l’adunata a Ottoduro, la legione Tebea non comparve. Maurizio e i suoi legionari erano rimasti al loro accampamento. Il Generale romano decise così, per punizione, di applicare prima la decimazione, e poi, successivamente, visto che i Tebei non cedevano, lo sterminio dell’intera legione presso Agaunum, oggi San Maurizio in Vallese. Maurizio, il loro comandante in capo, cade fra i primi e lo seguono fedelmente i suoi ufficiali e i suoi legionari. Quale Santo e Soldato, portatore di una spada che, secondo una diffusa tradizione, era la stessa del soldato romano Longino che ferì il costato di Cristo, Maurizio divenne il patrono del Sacro Romano Impero. Sarà poi nominato patrono di Borgogna, del Piemonte e del Canton Ticino, nonché protettore della famiglia reale dei Savoia, e infatti nell’Armeria Reale di Torino ancora si conserva la meravigliosa Spada del Santo. Ancora oggi il borgo di San Maurizio in Vallese è noto proprio per la presenza dell’abbazia territoriale di San Maurizio d’Agauno. La tradizione fa risalire a Teodoro la costruzione, nel 381, del primo santuario dedicato al santo e ai legionari della legione Tebea, santuario che venne poi ampliato nel V secolo per il moltiplicarsi dei pellegrinaggi verso tale chiesa che custodiva i resti di San Maurizio.
I Santuari montani
In realtà, secondo la tradizione popolare, non tutti i legionari tebei furono uccisi, molti scamparono al massacro per poi evangelizzare, secondo la tradizione, le valli del nord-ovest alpino. Da questo episodio, probabilmente di fantasia, si sviluppano moltissime leggende. I martiri tebei, o almeno i santi riconosciuti tali sono tantissimi, se ne contano almeno un centinaio. Sarebbe davvero impossibile elencarli tutti e descriverne le loro caratteristiche. In questa sede vogliamo così interessarci dei santi più propriamente “alpini”. Un esempio è san Besso, evangelizzatore dei montanari della Val Soana. Evangelizzatore delle valli alpine, la leggenda narra che venne catturato e scaraventato giù dal Monte Fautenio. Infatti, durante un pasto con i valligiani, scoprì che la carne di cui si stavano cibando era rubata. Il santo così redarguì gli avventori che, per tutta risposta, lo uccisero gettandolo dalla rupe. Sarà proprio in quel punto che verrà edificato il santuario a lui dedicato e dove, ancor oggi, nella festa in suo onore celebrata annualmente il 10 agosto. Il santuario posto tra le montagne del Parco Nazionale del Gran Paradiso, nell’alta Val Soana ad oltre 2000 metri di altitudine è tra i più alti santuari d’Europa. A san Besso ancora oggi si associano caratteristiche taumaturgiche, ovvero è il protettore degli animali e lo si invoca contro i malefici messi in atto dagli stregoni della vallata. In realtà il luogo era certamente già sacro in passato e legato ai culti di venerazione litica, e così ecco chi sostiene che Besso proverrebbe dal dialettale besc, ovvero bestia, con riferimento al montone. Lo sperone rupestre dedicato al santo, dunque, con grande probabilità era già sacro e legato a sacrifici animali svolti dai pagani e che poi furono sostituiti dal martirio del Santo. Le reliquie di san Besso oggi sono conservate in un sarcofago romano nella cripta del Duomo di Ivrea. Un altro meraviglioso santuario alpino è presente alle pendici del Monviso
a Crissolo. Pare infatti che qui, come narra un antica leggenda, all’inizio del sec. XIV, un contadino, arando il terreno ai piedi del dirupo, ritrovò un sarcofago contenente i resti di un corpo umano. Nel dialetto locale a questo misterioso personaggio fu attribuito il nome di “San Ciafrè” e sulla sua tomba sorse il celebre santuario di Crissolo. Il culto, diffuso tra le alpi Graie, è legato a questo santo che, scampato all’eccidio, raggiunse le valli alpine dove poi fu martirizzato nel 270. In quanto ad altitudine il santuario di san Chiaffredo è secondo solo a san Magno, venerato nell’omonimo santuario a 1800 metri di altitudine in val Grana dove viene ancora celebrato il 19 agosto.
Il culto di san Magno, in realtà, compare nel Piemonte sud occidentale con il risorgere delle strutture monastiche benedettine a partire dal secolo XI, e comunque legato alla importante opera di evangelizzazione che l’Ordine svolse in quell’area. E’ probabilmente è sovrapponibile alla figura di un monaco omonimo proveniente dal monastero bavarese di Fussen. Anche in questo caso, comunque, il culto del santo si sovrappone a quelli pagani, infatti la zona era già consacrata al dio Marte. Interessante è poi il culto di san Fiorenzo, anche lui inserito nella folta schiera dei santi Tebei e venerato nell’omonima e bellissima chiesa a Bastià completamente affrescata con gli episodi della Vita del Santo. La ricorrenza liturgica di San Fiorenzo è dai alcuni antichi calendari posta al 14 giugno, come testimoniano ancora le cronache del settecento, data a cui era associata una “festa del grano” legata alla mietitura e alla fertilità, e del resto il nome stesso, Fiorenzo, ovvero florens, riporta a elementi naturali. Altri due interessanti culti sono poi quello di san Restituto la cui chiesa dedicata si trova a Sauze di Cesana, probabilmente realizzato sopra un’area di culto pagana legata alle fonti e alle divinità alpestri e di san Defendente, che sarà importante per l’evangelizzazione dell’area di Novara e Lodi, dove lo si invocava contro il pericolo dei lupi e degli incendi. Il suo scheletro è conservato, insieme al sangue e alla sua spada, nella chiesa di San Giorgio a Chieri.
La leggenda dei pagani pietrificati
Se non ci siamo stancati di andare per monti a visitare i luoghi dei martiri tebei, ecco una interessante passeggiata ad una quota compresa tra 650 e 950 m presso la Riserva naturale dei Ciciu del Villar, tra Busca e Dronero in provincia di Cuneo, ai piedi del monte San Bernardo. Con una breve passeggiata dal centro del paese, si raggiunge l’ingresso a questo interessantissimo parco caratterizzato da curiose rocce sormontate da un grosso masso di pietra, denominate “Ciciu”, cioè pupazzi. Si tratta di formazioni morfologiche naturali, con una tipica forma di funghi, il cui cappello è costituito da un masso erratico, anche di notevoli dimensioni, ed il cui gambo è costituito da terra e pietrisco.
Questo fenomeno naturale prende origine al termine dell’ultima era glaciale. Infatti, in seguito allo scioglimento dei ghiacciai, il torrente Faussimagna iniziò ad erodere le pendici del monte San Bernardo trasportando a valle un’enorme massa di detriti che costituiranno i gambi degli attuali funghi di erosione. In seguito, presumibilmente per effetto di frane e terremoti, rotolarono a valle diversi massi staccatisi dal monte San Bernardo: pietre di colore più scuro, che ricoprirono il terreno alluvionale. Nel tempo il terreno subì l’azione erosiva degli agenti atmosferici ma i sassi fornirono una sorta di “protezione” alle colonne di terreno sottostanti creando queste strane sculture. I visitatori possono fruire di tre diversi percorsi per conoscere ed ammirare i Ciciu del Villar tra cui uno che permette di raggiungere in circa 3 ore il Colle della Liretta. Cosa centra tutto questo con i martiri tebei? Ebbene la leggenda narra che formazioni rocciose non erano altro che dei pagani che, volendo uccidere il Santo, furono da lui maledetti e dunque pietrificati. Si narra infatti che Costanzo fosse arrivato fino al monte San Bernardo, per sfuggire a 100 soldati romani che volevano ucciderlo. Oramai circondato si voltò verso i legionari che lo schernivano e minacciavano di morte, e disse loro: “O empi incorreggibili, o tristi dal cuore di pietra! In nome del Dio vero vi maledico. Siate pietre anche voi!”. Così i soldati furono trasformati in pietra, anche se il santo non ebbe sorte migliore. Morì decapitato fra faggi e castagni sulle pendici del monte San Bernardo dove sorge ancora oggi il maestoso complesso architettonico del santuario detto di San Costanzo al Monte.
Conclusioni
Il culto dei martiri tebei, come abbiamo visto, è diffusissimo lungo tutto l’arco alpino ed è caratterizzato da molteplici sfaccettature, credenze e tradizioni. Vediamo però cosa si può nascondere tra le pieghe di questo culto popolare. La volontà della Chiesa di cercare di cancellare o coprire le antiche credenze religiose pagane, come già visto fin ora, può aver portato alla creazione di miti in grado di assorbire le pratiche spirituali delle comunità montane. Ecco così che attorno alle figure di questi santi si sono cristallizzati culti e pratiche popolari che poco hanno a che vedere con il Cristianesimo. Molte delle festività legate a questi martiri, ad esempio, cadono in date strategiche al mondo stagionale pagano. Ecco dunque che l’agiografia popolare aveva proprio il compito di favorire la nascita di una sorta di “mitologia” cristiana in grado di cancellare quella degli dei più arcaici. Il culto dell’eroe diviene così espressione di quella ricerca del divino che doveva certamente popolare gli animi di quelle genti da sempre abituate a venerare antenati, divinità e simboli legati al pensiero magico.