di Andrea Romanazzi
Il Viaggio tra i misteri italiani ci porta in Sicilia, tra le tradizioni popolari che parlano di popolazioni o gruppi familiari capaci di guarire dai morsi velenosi. Qui diverse sono le tradizioni sul “guaritore del serpente” detto “ciaraulu”.
La tradizione si inserisce in una già da noi investigata e legata al popolo abruzzese dei Marsi di qui qui riportiamo il link.
Anche in questo caso sembrerebbe che le “facoltà” siano acquisite per diritto di nascita, anche se in forma differente. Il Pitrè ci segnala che chi nasce il venerdì, chiamato vinnirinu, ha il potere di maneggiare serpenti velenosi e guarire il mal di luna[1]. E’ sempre di venerdì che si beve come preservativo delle vipere, la così detta grazia di San Paolo, che dovrebbe essere una polvere recata dall’isola di Malta[2], altra tradizione che ci riporta alla “polvere” di San Domenico di Cocullo. Per quanto riguarda san Paolo, il legame tra il santo e il morso dei serpenti è legato ad una vicenda che coinvolge il santo durante il suo viaggio per Roma. Colto da una tempesta la nave del santo viene arenata sull’isola di Malta.
“…e usciti che fummo fuor del pericolo allora conoscemmo che l’isola chiamatasi Malta. A ci trattarono quei barbari con molta umanità. Imperocché acceso il fuoco ristorarono tutti noi dalla umidità che ci offendeva e dal freddo. Ma, avendo Paolo raccolto alquanti sarmenti e messili al fuoco, una vipera saltata fuori dal caldo, se gli attaccò alla mano. Or tosto che videro i barbari pendergli il serpente dalla mano, dicevano tra loro:”Certo che qualche omicida è costui, cui salvato dal mare la vendetta di Dio non permette che viva”. Egli però, scosso la serpe nel fuoco non ne patì male alcuno. Ma quegli si aspettavano che egli avesse a gonfiare e a cadere ad un tratto e morire. Ma avendo aspettato molto e non vedendo venirgli alcun male, cangiando parere dicevano che egli era un dio…”[3]
E’ da questo mitico antefatto che deriverebbe il potere antiofidico dell’Apostolo. Successivamente si sviluppa la tradizione delle glossopetrae, le pietre speciali di San Paolo che guariscono, in realtà denti di squalo fossilizzati nell’area maltese utilizzati successivamente come amuleti e talismani. Le maggiori proprietà antiofidiche le aveva la terra di Malta, una terra argillosa di cui si facevano pastiglie rotonde e quadrate su cui si imprimeva il sigillo del santo. Questa terra non era prelevata a caso ma doveva provenire da una grotta di Ribatto, vicino Cittavecchia.
Fin ora la tradizione lega il santo a poteri sul serpente. Solo successivamente questa si sposa con un’altra tradizione, stessi poteri dati ad alcune particolari famiglie che, forse a causa della precedente “istoriola”, vengono considerati diretti discendenti di Paolo. La virtù deriverebbe da un particolare rapporto di grazia con San Paolo, ad esempio gente che aveva ospitato il santo nel suo viaggio.
“Vivono sino al giorno d’oggi a Vitello in Sicilia, alcuni di una famiglia detta dei Cirauli nei maschi e femmine della quale per molti secoli si è andata trasfondendo la miracolosa virtù di guarire non solo con il tatto, con lo sputo e con le parole, ma ancora con l’immaginazione tutti i morsi velenosi di ogni sorta e di far morire ogni specie di velenati quanto si voglia lontani…Le donne estranee che vengono ingravidate dai maschi di quella famiglia per il tempo che sono gravide acquistano la medesima virtù, e scaricate che sono la perdono trasfondendola nei figli; dove per contrario le donne di questa famiglia che sono ingravidate da maschi estranei, essendo gravide perdono la loro virtù, ma dopo il parto la riacquistano, né mai lo trasfondono ai figli. Perché essa fu solamente concessa ai maschi dal sommo Dio.”[4]
E’ così che nell’interessante scritto “mirabili facoltà di alcune famiglie di guarire certe malattie” il Pitré enuncia una serie d famiglie siciliane che si crede avessero questo potere, ci sarebbero i Potenzano, nell’area di Marsala i Grassellini, che riuscivano a guarire alcune malattie con la propria saliva, mentre i Cirauli avevano capacità antiofidiche.
Ancora una volta, poi, il medicamento è la saliva o lo sputo risanatore, proprio come nella tradizione dei serpari abruzzesi
“anzi i morsicati lontani, in una distanza, col disseccamento della saliva in bocca, conoscevano il vicino arrivo de’ morsicati. Le donne di tal famiglia possedevano però tal virtù in stato virginale, e passate a stato di matrimonio perdevano tal virtù.”[5]
NOTE
[1] Pitré G., Coriosità di usi popolari, Editoriale Insubria, Milano, 1979
[2] Ibidem.
[3] Pazzini A., I santi nella storia della Medicina, Roma, Edizioni Mediterranee, 1937
[4] Pazzini A., I santi nella storia della Medicina, Roma, Edizioni Mediterranee, 1937
[5] Pitré G., Coriosità di usi popolari, Editoriale Insubria, Milano, 1979