Elfisio Marini e la conservazione “reversibile”
Gli studi di Segato non furono mai abbandonati e continuarono ad interessare la comunità scientifica. Nel 1838 il veronese Giovanni Battista Messedaglia ricevette la menzione d’onore da parte del Regio Istituto Lombardo Veneto di Scienze, per la solidificazione di alcune parti anatomiche.
Aveva lasciato scritto il procedimento in un manoscritto che però venne affidato a un imprenditore di Crema, che si proponeva di commercializzarlo, ma fece perdere traccia di sè. Più o meno nello stesso periodo Bartolommeo Zanon (1792-1855) descrisse accuratamente il metodo impiegato per la preparazione di un cuore di vitello. Tentativi di avvicinarsi al Segato, senza molto successo. Ecco però che un nuovo “pietrificatore” appare sulla scena scientifica. E’ Efisio Marini, nato a Cagliari il 13 aprile 1835 (fig.6). Medico e studioso di storia naturale si cimentò nel campo della conservazione di cadaveri e parti anatomiche. Egli elaborò un metodo completamente personale di pietrificazione sui cadaveri che permetteva, a suo dire, di mantenere consistenza ed elasticità dei tessuti e dei liquidi organici, il colore e la consistenza originali. Il primo successo lo ottenne operando su un braccio umano (Fig.7). La novità del “metodo” Marini era la “reversibilità” della pietrificazione, ovvero la capacità di rendere i tessuti induriti nuovamente flessibili. Nel 1867, all’Esposizione Universale di Parigi, restituì al piede di una mummia egizia la flessibilità naturale. Risultato simile ottenne con il con il corpo di una ragazza già in avanzato stato di putrefazione, ovvero “pel fetore che tramandava come pel colorito verdastro-lurido qua e là nell’addome”. Come esaminato dal prof. De Crecchio, dopo il trattamento Marini l’edema della ragazza era praticamente sparito, le chiazze di putrefazione scomparse e dall’autopsia diede l’impressione di non avere più di ventiquattrore. Il Ministero della Pubblica Istruzione nominò anche una Commissione di Inchiesta per esaminare il metodo inventato dal dottore. I suoi lavori furono mostrati a Vienna, Londra, Parigi, Milano, Torino e Roma dove pietrificò il sangue ed organi interni di alcune cavie. La sua fama varcò l’oceano, il San Francisco Call gli dedicò una illustrazione dal titolo “Wonderfull process of emblaming the dead discovered”. Proprio come Segato, regalò a Napoleone III un tavolino composto da parti di organi del corpo umano tra cui bile, cervello e sangue. Questi elementi, come se non bastasse, erano mossi da meccanismi piuttosto ingegnosi che procuravano un senso allucinatorio (Fig.8). Oggi il tavolino è custodito al Musée d’Anatomie Delmas-Orfila-Rouvière di Parigi. Tra le varie storie che circolano sul Marini, si narra che, partito nel 1863 come medico sull’Aspromonte, ebbe modo di curare le celebri ferite di Garibaldi pietrificò il suo sangue poi donato, al condottiero, in un medaglione.
“…Generale, commetto a mani del vostro segretario sig. F. Plantulli, il glorioso vostro sangue da me pietrificato. Abbiatelo come una testimonianza dell’affetto grandissimo e della riverenza che ho per voi. Possiate, contemplandolo qualche volta rinfiammarvi all’ultima lotta, possano quanti hanno la fortuna d’accosarsi ricordarsi che questo che io vi offro è parte di quel medesiomo sangue che voi spargeste sulle rocce dell’Aspromonte”. Oggi il medaglione è visibile nel Museo del Risorgimento i Milano.
Tacciato di negromanzia anche a causa del trattamento che riservava ai suoi cadaveri che, dopo il trattamento conservavano il loro aspetto incorrotto, abbandonò Cagliari alla volta di Napoli. Cercò di applicare le sue tecniche anche a livello industriale ma la sinistra fama che lo circondava non gli permise di raggiungere il successo meritato. Morì l’11 settembre del 1900, portando nella tomba il suo segreto. Egli infatti si rifiutò più volte, anche sotto pressioni e ricatti, di rivelarlo. Oggi la collezione Marini è visibile nel Museo di Anatomia Umana di Napoli in via Armanni, 5.
Paolo Gorini pietrificatore e vulcanologo
Più o meno negli stessi anni in cui Marini sviluppava le sue ricerche, operavano, tra Salò e a Lodi, altri due celebri pietrificatori Paolo Gorini (Fig.9) e Giovan Battista Rini. Paolo Giuseppe Antonio Enrico Gorini nacque a Pavia, il 28 gennaio 1813. Figlio di Giovanni Gorini, docente universitario di materie matematiche, fu anch’egli matematico e scienziato italiano. Nel 1834 assunse la cattedra di Scienze Naturali e Fisica del Liceo Comunale di Lodi dove si dedicò con particolare attenzione alla geologia e alla vulcanologia, giungendo a costruire modellini di vulcani artificiali per meglio illustrarne le dinamiche eruttive e dando il via, contemporaneamente, ai primi tentativi di conservazione “delle sostanze animali e delle pelli”. Nel 1871 diede luce al noto saggio “Sull’origine dei vulcani. Studi sperimentali” e gli fu assegnato dal governo italiano il compito di redigere un accurato studio sulle caratteristiche dei vulcani in Italia e sulla loro eventuale pericolosità. Come detto, però, si interessò ai processi di pietrificazione dei cadaveri ed inventò un procedimento segreto basato, fondamentalmente, sul bloccare la proliferazione dei batteri che, nei liquidi organici, producono enzimi che cominciano a divorare il cadavere dall’interno. Il processo si doveva basare da una parte sull’inibizione di tali fenomeni attraverso la sostituzione dei liquidi organici con altre sostanze meno favorevoli al loro sviluppo e, al contempo, nella generazione di una sorta di mineralizzazione delle strutture. Gorini spiegò pubblicamente l’utilità di tale scoperta in una nota relazione inviata all’Università degli Studi di Torino nel 1864. Gli scopi che lo scienziato lombardo si prefiggeva erano molteplici:
1. Conservazione indefinita dei cadaveri degli animali a corredo dei musei di storia naturale
2. Conservazione indefinita dei cadaveri umani affinché le sembianze delle persone amate o illustri fossero conservate all’affetto dei conoscenti od alla ammirazione dei posteri
3. Conservazione dei cadaveri umani in condizione da poter servire agli studi anatomici
4. Conservazione di parti del corpo umano a corredo dei musei anatomici
5. Conservazione delle carni commestibili
6. Indurimento delle sostanze animali di origine non umana per favorire nuove materie di lavoro agli intarsiatori, agli impellicciatori ed ai tornitori
Ci sono pervenuti dei documenti autografi di Paolo Gorini, che mostrano alcune delle formule utilizzate dallo scienziato “Soluzione di acido solforico nella proporzione del dieci per cento”, “Soluzione satura alcoolica di Bicloruro di Mercurio e di Muriato di Calce nella proporzione che il volume della prima sia dieci volte quello della seconda” (Fig.10). Oggi si contano 131 reperti inclusi 6 corpi di neonati mummificati, 16 teste d’uomo (Fig.11-12-13) e 5 di donna complete di occhi, pelle, denti, capelli, lingue, il tronco completo di un soggetto acromegalico; e poi arti deformi, cuori, cervelli, cavità orbitarie, vasi del collo, articolazioni, vesciche, uteri, organi genitali nonché il famoso Pasquale Barbieri “…il primo morto che azzardai preparare per intero. È bene il conservarlo pel suo valore storico…” così come testimoniato nel suo testamento, è ancora oggi conservato presso la collezione anatomica lodigiana intitolata allo studioso.
Gorini entrò però prepotentemente nelle cronache perché chiamato a pietrificare la salma di Giuseppe Mazzini. La scelta ricadde su di lui perché, oltre che scienziato, fu un attivista Risorgimentale. Purtroppo l’operazione non riuscì forse a causa del già avanzato processo di decomposizione. Anche Gorini non rivelò mai la composizione, mantenendo gelosamente il segreto della “pietrificazione”, ambendo ad a un ruolo sociale e professionale che lo inscrivesse fra i grandi scienziati accademici. Agostino Bertani e molti altri amici parlamentari dello studioso lombardo si prodigarono a lungo, nelle sedi adeguate, per l’istituzione di una cattedra universitaria di Geologia sperimentale da affidargli. Tuttavia, i numerosi tentativi risultarono sempre inefficaci e, al di là di alcuni sporadici premi in denaro, lo scienziato non ottenne mai riconoscimenti sufficienti a fargli rivelare la propria tecnica. Quest’aura di segretezza non giovò certamente allo scienziato. Contrastato dalla Chiesa, che non tollerava assolutamente lo scempio sui corpi e con argomentazioni di carattere religioso e morale, in bilico tra la figura del negromante e il cliché romantico dello “scienziato pazzo” chiuso nel suo laboratorio lodigiano tra formule e metodi che gli fecero conquistare un’aura di mistero e diffidenza tra i concittadini.
Nel 1872 iniziò a dedicarsi alla ricerca di come distruggere” i corpi. Si immerse quindi nello studio della cremazione fino ad inventare e perfezionare il forno crematorio che brevettò lui stesso. utile per scongiurare il sovraffollamento delle salme nei cimiteri. Nel 1875 sarà eseguita a Lodi la prima cremazione. Oggi la Collezione anatomica “Paolo Gorini” si trova nell’antico Chiostro della Farmacia dell’Ospedale Vecchio di Lodi. si spese il 12 febbraio 1881.