Il Gatto tra Magia e Folklore (Parte 1: L’Egitto)

di Andrea Romanazzi

La Magia del Gatto tra Oriente ed Occidente

Gentili Lettori, perché un approfondimento sul gatto? Ebbene, questo lavoro cercherà di esporre le motivazioni della sacralità di questo animale tra le varie culture e di mettere in luce cosa si nasconde nello sguardo fiero e furbo dei nostri amici domestici.

Da sempre il felino è stato compagno dell’uomo. Secondo ultimi rinvenimenti archeologici, già 10 mila anni fa, nelle aree del nord Africa e del Medio Oriente, attorno ai villaggi, erano presenti gatti selvatici che si avvicinavano agli insediamenti umani attratti dalla presenza di roditori. La presenza di questo animale faceva comodo all’uomo: teneva lontano i topi dai raccolti di grano stoccato, cacciava insetti dannosi e parassiti. Questi i principali motivi per cui si cominciò a tollerare la loro presenza e ad addomesticarli. Nell’antica Mesopotamia, ad esempio, sono stati rinvenuti circa duecento gatti mummificati e perfettamente conservati risalenti al Neolitico a testimoniare come, già a quei tempi, l’animale doveva essere considerato sacro o almeno fortemente rispettato. Genetisti e paleontologi, tra cui l’italiano Claudio Ottoni con il progetto “FELIX – Genomes, food and microorganisms in the (pre)history of cat-human interactions”, hanno decodificato il DNA di alcuni di essi, scoprendo che già allora dovevano essere addomesticati [https://www.nature.com/articles/s41559-017-0202].  Molto probabilmente il primo gatto ad essere stato allevato dall’uomo fu il Felis silvestris lybica noto anche come gatto del deserto. Questo nobile animale divenne ben presto simbolo del mondo numinoso nonché immagine delle divinità. Fu così che il felino iniziò il suo viaggio tra le culture via terra, dal Medio Oriente e dall’Anatolia verso l’Egitto e, di qui, lungo le vie commerciali marittime, nei diversi porti europei fino ad arrivare al Mare del Nord, tra VIII e XI secolo. Avventuriamoci così tra i culti, le credenze e i misteri, spesso poco conosciuti, legati a questo animale.

Il culto del gatto nell’Antico Egitto

La storia ci narra che furono gli antichi egizi i primi a cercare di addomesticare ufficialmente i gatti che vivevano nei pressi del delta del Nilo con lo scopo di allontanare i topi che infestavano i granai delle città. Il gatto divenne un animale così richiesto ed utile che gli stessi egiziani vietarono il loro commercio generando una sorta di “mercato nero” da parte dei pirati fenici. Un animale così ricercato doveva certamente divenire sacro. E’ così che il gatto intraprende il suo alto e dignitoso cammino verso l’Olimpo gli dei. Chiamato mait o mau, ovvero “colui che può vedere”, fu inizialmente associato in Egitto al culto dell’occhio di Horus di cui era spesso considerato reincarnazione e, successivamente, al dio Ra. L’animale era dunque espressione delle divinità solari, come testimonierebbe il culto del Grande Gatto di Eliopoli, forma esplicita di Ra e protettore del sole nascente Khepri dal malefico serpente Apopi suo eterno nemico. Esiste addirittura un Inno a Ra come “gatto solare” nel capitolo XVII del “Libro dei Morti”, in cui viene esaltato come signore della vita.

“…Io sono questo Grande Gatto che si trovava al lago dell’albero Ished in Heliopolis

quella notte della battaglia in cui fu compiuta la sconfitta dei sebiu

e quel giorno dello sterminio degli avversari del Signore dell’Universo.

Cos’è questo?

Riguardo al Grande Gatto che è al lago dell’albero Ished in Heliopolis,

è Ra stesso ed è stato chiamato gatto (Miu)

dal detto di Shu: egli è simile (miu) a ciò che ha fatto

e gli è venuto così il suo nome di gatto (miu )…”

Ben presto, però, il culto del gatto diventa sempre più autonomo. La prima divinità egizia a possedere sembianze di felino fu Madfet, “colei che corre veloce“, espressione antropomorfa dalla testa di ghepardo. Era la dea della giustizia, ed infatti, durante il Nuovo Regno, Mafdet governava spiritualmente la sala del giudizio a Duat dove i nemici del faraone venivano decapitati con “l’artiglio di Mafdet”. Era però anche custode delle stanze dei Faraoni, protettrice dai morsi di serpenti e scorpioni. Il culto è attestato già intorno al 3000 avanti Cristo e questo ne fa uno dei culti legati ai felidi più antichi del mondo.

Non si tratta, però, di un culto strettamente connesso al gatto, anche se in un papiro si dice che “…Mafdet strappasse i cuori dei malfattori, consegnandoli ai piedi del faraone come gatti presentano agli umani roditori o uccelli che hanno ucciso o mutilato…”.

Successivamente è la dea Sekhmet a divenire l’immagine legata ai felidi più cultuata e nota della religione egizia. Raffigurata come una leonessa, era vista come la protettrice dei faraoni e loro guida nelle battaglie. Anche Sekhmet era una divinità solare, considerata figlia di Ra e portatrice del disco solare. Tra le più importanti divinità che agivano come la manifestazione vendicativa del potere di Ra, detta infatti “la potente”, si diceva che i venti caldi del deserto fossero il suo respiro. Una leggenda narra che inviata sulla terra dal dio per punire gli uomini, avrebbe distrutto quasi tutta l’umanità se Ra stesso per fermarla, non l’avesse ingannata versando nella birra dell’ocra rossa, in modo da farla somigliare al sangue,  facendola così ubriacare ed addormentare.

Sebbene non c’è dubbio che queste due divinità fossero in relazione con il gatto, probabilmente, però, il culto egizio più strettamente legato al felino è quello della dea Bast o Bastet. Spesso associata a Sekhmet, fa la sua comparsa nella Seconda Dinastia. Originariamente venerata anch’essa come dea leonessa, Bastet rappresentava l’aspetto più gentile dei felidi. Il mutamento iconografico della divinità si lega però indissolubilmente al gatto rispondendo al cambiamento della funzione dell’animale: da animale selvaggio e cacciatore che sconfigge il serpente nemico del Sole, il felino, e dunque il suo corrispettivo divino, diventa protettore del focolaio domestico. Bast incarnava, dunque, l’animus più domestico del gatto, era invocata contro le malattie contagiose, le epidemie e gli spiriti maligni.

Anche nel caso di Bastet ci troviamo di fronte ad una dea solare, era figlia di Ra e Iside, nonché consorte di Ptah, con la quale ebbe un figlio Maahes. Come protettrice del Basso Egitto, era vista come difensore del faraone e, di conseguenza, del dio Solare. Inoltre, come detto, insieme ad altre divinità come Hathor, Sekhmet ed Iside, Bastet era associata all’Occhio di Ra. Era anche una dea della gravidanza e del parto, forse a causa della notevole fertilità del gatto domestico. Il suo culto raggiunge l’apice in epoca tarda in particolare nella città di Bubastis del Delta dove, secondo Erodoto, si svolgevano festeggiamenti periodici in onore della dea, comprendenti processioni di barche sacre e riti orgiastici. Ogni anno, il giorno della sua festa, si diceva che la città attirasse circa 700.000 visitatori e che i gatti fossero vestiti con gioielli d’oro e potevano mangiare dai piatti dei loro proprietari. Il gatto in Egitto era divenuto così sacro che esistevano specifiche necropoli che accoglievano gatti mummificati. Infatti, alla morte dei sacri gatti del tempio, questi venivano sepolti con gli onori e le cerimonie dei funerali di stato. Sono stati ritrovati circa 300.000 gatti mummificati nei siti archeologici di Speos Artemidos e Saqqara. In epoca tarda, in particolare durante il periodo ellenistico, tra il 323 e il 30 a.C., il gatto inizia ad essere anche associato ad Iside come indicato da un’iscrizione al Tempio di Edfu che riporta la frase “Iside è l’anima di Bastet“. Molto probabilmente il culto del gatto era diventato così importante e diffuso che i sacerdoti di Iside vollero appropriarsene. Inizia ad apparire, associato al gatto, un curioso oggetto, il sistrum, strumento musicale costituito da una lamina metallica a ferro di cavallo trapassata da tre o quattro asticciole mobili e terminante in un manico diritto, agitando il quale si produceva il suo caratteristico suono. Ebbene, spesso il felino era raffigurato sull’apice dello strumento, in alcuni casi rappresentato con una mezzaluna sulla testa come testimoniato da un sistro conservato a Napoli, nel Museo Archeologico Nazionale, sulla cui base è presente l’immagine di un gatto seduto sulle zampe posteriori mentre sulla sommità è raffigurata un’altra gatta sdraiata in mezzo ai due suoi cuccioli.

L’animale era così importante e sacralizzato da essere protetto anche dalle leggi faraoniche: chi ne uccideva un esemplare riceveva per condanna la pena capitale. Il Mau era dunque entrato a far parte della religione e delle tradizioni ma soprattutto si era conquistato un posto nel cuore delle famiglie egiziane.

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