Questo “fuoriporta” ci conduce nell’alto Salento, in particolare nella meravigliosa città bianca di Ostuni, uno dei borghi più visitati di Puglia. Tra le tante bellezze del paese però si nasconde, nel piccolo museo delle civiltà preclassiche della Murgia Meridionale, qualcosa di davvero unico. Avete mai sentito parlare della Grande Madre?
Si tratta di uno dei primi culti dell’uomo, era dedicato ad una divinità femminile primordiale, diffusa tra moltissime culture e civiltà dedite all’agricoltura e l’allevamento animale. La Grande Madre rappresentava, nell’immaginario religioso dell’uomo antico, il grembo della Natura che riesce a dare sostentamento all’uomo e i suoi cicli di nascita, maturità, morte e rigenerazione. Fortemente legata alla riproduzione e alla fertilità, sia naturale che umana, il culto della Dea nasce all’interno della Sacra Grotta, il primo santuario dell’Antico. I dipinti parietali e le incisioni presenti in molte di queste indicano, senza dubbio, che era qui che si svolgevano i primi rituali magico-religiosi dell’antichità, in questi luoghi immaginati come espressione delle femminee profondità uterine. Raffigurazioni della Dea le troviamo in Francia, nelle grotte di Gare de Couze, Cougnac, Angles-sur-Anglin, Dordogna, Ariege e Correze, in quelle di Ardeche e Gard in Spagna, di Gagarino e Avdejevo in Ucraina, di Dolni Vestonice in Repubblica Ceca, di Willindorf in Austria, e l’elenco potrebbe continuare per molte pagine. Se ne parla poco ma grotte con raffigurazioni parietali legate alla dea, datate IV millennio a.C., sono state scoperte anche in Africa, ed in particolare negli antri del Sahara, oggi il più vasto deserto della Terra ma, 8 mila anni fa, un’area dal clima umido e fertile. E’ ad esempio nel deserto libico, ove gli egizi credevano “andasse a morire il Sole”, sull’altopiano di Gilf Kerbir, che troviamo le testimonianze dell’arte parietale africana legata alla Grande Dea.
Senza però dover andare troppo lontano, anche in Puglia, sono presenti antri sacri alla Grande Madre. Nelle grotte carsiche pugliesi, infatti, il culto legato alla figura della Dea Femminile era già fortemente diffuso fino al tardo Neolitico. Tra le enigmatiche stalattiti ecco così che sono state rinvenute statuette e raffigurazioni della dea come le “veneri” ritrovate nella grotta di Parabita, Romanelli, Zinzulusa e Badisco risalenti a 15.000 anni fa e conservate al museo di Maglie. Forse però la più incredibile testimonianza del culto della dea è stata ritrovata nella Grotta-Santuario di Agnano, proprio nelle vicinanze di Ostuni. Qui sono state ritrovate importanti tracce di una frequentazione religiosa testimoniate da una serie di ritrovamenti sacrificali come statuette a forma di maialini o di toro, spesso utilizzati come protezione per i morti e per i vivi in quanto sintesi di quei principali temi di nascita e fertilità connessi alla loro rapida crescita e forma uterina. Ma c’è molto di più. Qui fu sepolta 28.000 anni fa una donna. Si tratta di Delia, così come venne battezzata dal suo scopritore, il paletnologo Donato Coppola, che individuò la sepoltura il 24 Ottobre del 1991. Si trattava di una ragazza possente, di circa 20 anni, abbastanza muscolosa, alta 1.70 metri. La caratteristica più interessante, però, è che si trattava di una donna gravida. La gestante, al nono mese, giaceva poggiata sul fianco sinistro mentre il braccio destro era posizionato sul ventre quasi a protezione del feto: tradizioni magico-rituali che si evidenziano come inconfutabili segni e simboli di una religione che non è mai scomparsa. In base agli studi svolti finora, si ritiene facesse parte di una comunità di agricoltori-cacciatori che non doveva superare le dieci unità e che avrebbe scelto questo luogo perché permetteva un più facile controllo degli spostamenti degli animali. Siamo ancora lontani dai veri e propri villaggi dell’età del Ferro. Si trattava di uomini di Cro Magnon, i primi “europei”, poiché già presentavano aspetti culturali ecumenici, caratteristici della civiltà del luogo. La consapevolezza della morte e l’ anelito all’ immortalità tramite la sepoltura è segno che tra gli uomini della preistoria comincia a svilupparsi la vita spirituale. Ma c’è di più. La sepoltura è forse la prima espressione di un culto di divinizzazione del Parto e della Maternità. Una mano lievemente posata sul ventre gravido. Un atto d’amore, di protezione verso un corpicino, un feto all’ottavo mese di gestazione trovato sotto una pietra che copriva il grembo.
Che non si tratti di una semplice sepoltura ma di qualcosa di molto più complesso e rituale lo si può capire dal corredo funerario e dalla posizione dell’inumazione. Attorno a Delia, questo il nome dato alla madre di Ostuni, furono deposte ossa di cavallo e di bue, in un simbolismo rituale di fertilità e propiziazione. La donna, inoltre, è stata sepolta con bracciali di conchiglie forate e un copricapo realizzato con più di 600 conchiglie Cyclope Neritea, impastate con ocra rossa intervallate, ogni 80 pezzi, dal canino di un cervo.
L’utilizzo dell’ocra già di per se riporta ai culti di fertilità, ripropone il tema del sangue femmineo e dunque delle profondità uterine da dove proviene la vita e che, anche dopo la morte, garantisce la sua continuità. Il copricapo di conchiglie è tipico dell’ornamenti della Dea, come testimoniato dalle sue molteplici rappresentazioni iconografiche e nelle statuine. Un copricapo simile infatti lo ritroviamo sulle Veneri di Willendorf e di Brassempouy in Francia
in alcune statuette siberiane, sulla testa della Venere di Balzi Rossi e nelle molteplici statuette ritrovate in Sardegna ed in particolare presso la località Su Cungiau de Marcu, oggi visibile al Museo Nazionale di Archeologia di Cagliari. La diffusa presenza del copricapo di cypree fa pensare che non si tratti di un semplice ornamento ma sicuramente di una sorta di vestiario sacro legato al culto della Mater. La sepoltura infatti non era solo un rito ma il defunto doveva, come per chiudere il suo ciclo di morte e rinascita, tornare nel ventre che lo aveva generato: il grembo della terra.
Tutto questo è oggi visibile nell’ex monastero carmelitano di Santa Maria Maddalena dei Pazzi, con l’annessa chiesa di San Vito Martire. Si tratta davvero di un piccolo gioiello. All’interno della Chiesa sono esposti vari corredi delle tombe di età messapica reperti di età medievale, rinascimentale e moderna provenienti dalla cosiddetta Torre Medievale di Ostuni e dal giardino del Convento di Santa Maria Maddalena dei Pazzi nonché, come detto, i ritrovamenti della Grotta di Santa Maria di Agnano. Un viaggio nella storia del nostro territorio che non può mancare durante una visita in questo splendido paese.
Interessantissimo 🙂 Grazie !!
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Grazie a Te, spero vorrai continuare a seguirmi.
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Grazie a te per il commento! A breve altri approfondimenti in terra di Puglia
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